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Per non deludere 600 milioni di persone con disabilità

Panorama di New YorkSperanza è un termine poco apprezzato tra le persone con disabilità e tra i loro familiari. Si associa al termine miracolo, richiamando il miraggio di una guarigione inseguita con i viaggi verso lontani santuari religiosi oppure verso le istituzioni sanitarie più sconosciute. E troppo spesso il ritorno ha significato una profonda disillusione. Non si è trovato alcun miracolo né “maghi del bisturi” sconosciuti alla comunità scientifica ufficiale. Per alcuni si è trattato di un bel viaggio e di un’esperienza di vita, per altri di un’inutile e barbara truffa. Quasi nessuno, poi, vuole più sentire parlare di speranza.

Comunque sia, è quasi impossibile accostare termini come speranza e diritti. I diritti sono quelli negati dalla società e dalle istituzioni, non dalla natura. Nessuno, neanche i cattolici più ferventi, si lascia più prendere dall’emotività di una parola considerata fuori luogo perché sinergica con pietas, quest’ultima sinonimo di istituto caritatevole e conseguente mancanza di libertà di vivere come chiunque altro.

Intendo qui rievocare la parola speranza nel senso che ad essa attribuiva Sant’Agostino: esiste in coloro che hanno la capacità di indignarsi di fronte all’ingiustizia e hanno la forza d’animo di impegnarsi per cambiarla. Speranza quindi equivale allo sdegno insieme al coraggio. Sotto questa luce, è senza dubbio alcuno il vocabolo più adeguato per raccontare dei giorni trascorsi all’ONU a dibattere di disabilità.

Viviamo un presente caratterizzato dall’incertezza fondata sulla paura di un terrorismo inusitato che colpisce le popolazioni inermi ovunque, in Oriente come in Occidente. Viviamo un’epoca di guerra di aggressione, ove sembrano sgretolarsi le pulsioni che diedero vita ad un nuovo corso della Storia che ritroviamo nel preambolo della Carta Costituente: «Noi, popoli  delle Nazioni Unite, decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all’umanità…». Viviamo un periodo nel quale è difficile parlare di speranza agostiniana perché non sembra esistere spazio per il dialogo.

È lontana la fiducia nella politica di livello internazionale. Ci sentiamo ormai presi nel vortice di uno scontro tra civiltà che rende faticoso l’incedere verso atti generosi di accoglienza della diversità. Ci avvolgiamo su noi stessi in un rapido declino in direzione di meschinità e avarizia. Ciò prelude a politiche di chiusura dei cordoni della borsa, di demonizzazione della redistribuzione delle ricchezze e di governance stretta degli aspetti finanziari.

Difficile immaginare che rappresentanze di interi popoli, nel luogo deputato, stiano consapevolmente e pervicacemente disegnando una rivoluzione culturale e politica: la disabilità non è una malattia e il mondo intero si deve impegnare per garantire i diritti fondamentali dell’uomo alle persone con disabilità.
Difficile pensare che intendano farlo presto e bene, entro il 2005-2006, con la partecipazione e il contributo di tutti, ambasciatori, funzionari statali, tecnici, operatori e persone con disabilità (tante persone con disabilità) arabi e occidentali, israeliani e iraniani, messicani, venezuelani e cubani, russi e cinesi, indiani e pakistani, sudafricani, australiani e tanti altri.
Difficile pensare che siano uniti nello sforzo di produrre estensione dei diritti, inclusione nella società mondiale e partecipazione alla vita di ogni comunità, nel rispetto dei diritti fondamentali e della dignità di tutti gli uomini e di tutte le donne con disabilità o meno.

Un tale atto di coraggio, ad esempio, manderà in pensione l’approccio culturale di leggi italiane come la 118 del 1971 e persino della stessa 104 del 1992, oltre alle politiche restrittive delle Leggi Finanziarie contrassegnate dai tagli di spesa.
Trasferirà le azioni settoriali di integrazione nel mainstreaming, cioè nelle politiche di tutti.
Un'immagine di Pietro V. Barbieri, presidente della FISHAffronterà le questioni della disabilità in termini di non discriminazione e di pari opportunità, a partire dalla Dichiarazione dei Diritti Fondamentali dell’Uomo ed ogni restrizione alla piena inclusione o alla partecipazione alla vita della comunità rappresenterà una violazione ai diritti umani.

Che cos’è una Convenzione
La Convenzione è una legge di diritto internazionale approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite su proposta di una commissione da essa costituita appositamente (Ad Hoc Committee). Le convenzioni dell’ONU rappresentano il fulcro della legislazione internazionale in termini di politiche attive. Mentre l’impianto regolatorio è sancito nei princìpi da dichiarazioni e trattati, le convenzioni stabiliscono le politiche da perseguire al fine di garantire il pieno rispetto dei diritti previsti dal quadro ordinamentale. Pertanto gli articoli delle convenzioni iniziano sempre con le parole State Parties (gli Stati membri) e le declinazioni dei verbi si impegnano, sottoscrivono, garantiscono, devono e così via.

Il diritto internazionale è basato sull’atto della nascita delle Nazioni Unite e, quindi, sulla sua Carta Costituente firmata a San Francisco il 26 giugno 1945, la cui Assemblea Generale istituì contestualmente la Corte Internazionale di Giustizia quale garante dello Statuto. La legge internazionale è sovrana rispetto a quelle degli Stati, in ogni occasione, anche se non fa parte dell’ordinamento giuridico del singolo Paese membro delle Nazioni Unite.

Il tribunale di un singolo paese è sottoposto alle regole dell’ordinamento vigente nel territorio di propria competenza e, a meno che non vi sia una ratifica e contestuale adozione nazionale delle norme internazionali, non può appellarsi al diritto internazionale. Infatti, qualora un cittadino di un paese membro percepisca una violazione dei diritti sanciti dalle leggi internazionali, può rivolgersi alla Corte Internazionale la quale può condannare il Paese membro al rispetto delle norme internazionali anche se in contrasto con quelle vigenti nel proprio ordinamento.

Come funziona la Ad Hoc Committee
Al contrario delle commissioni del nostro Parlamento, essa non è uno strumento permanente e viene insediata per precise questioni da affrontare e risolvere. Infatti, la Ad Hoc Committee termina la propria esistenza una volta approvato un testo definitivo riguardante l’oggetto per il quale è stata nominata.
Nel nostro caso la Commissione è stata istituita il 19 dicembre 2001 dall’Assemblea Generale, con la Risoluzione 56/168 su sollecitazione della Commissione per i Diritti Umani e della Commissione per lo Sviluppo Sociale. Il 23 dicembre 2003, l’Assemblea Generale ha persino accelerato il passo, decidendo che l’Ad Hoc Committee avrebbe dovuto incontrarsi ben due volte nel 2004, fatto non proprio semplice per la provenienza delle delegazioni. A proposito di ciò, è stato istituito un fondo per permettere la partecipazione delle associazioni dei Paesi in via di sviluppo.

Dal 1975 le Nazioni Unite hanno iniziato un percorso di presa in carico delle discriminazioni che le persone con disabilità vivono in tutto il mondo (a partire dalla violazione dei diritti civili e politici), persone che per legge – perché interdette, rinchiuse nelle proprie abitazioni o segregate in un istituto – venivano private persino del diritto di voto.
L’iniziativa si sostanziò nella Dichiarazione dei Diritti delle Persone con Disabilità alla quale fecero seguito azioni di sensibilizzazione nell’anno specificatamente dedicato (1981) e di politiche attive nel decennio 1983-92. Tali iniziative provocarono la crescita internazionale del movimento delle persone con disabilità che culminò nell’ottenimento delle Regole Standard.

Alcuni Paesi membri, con a capo il Messico, percepirono che il quadro dei princìpi era sancito e che vi era il bisogno di passare a strumenti normativi più articolati. Invitarono quindi la Segreteria Generale dell’ONU ad attivarsi per porre all’ordine del giorno dell’Assemblea Generale una risoluzione tesa ad avviare il percorso diretto verso una più ampia Convenzione, consapevoli del fatto che non vi fosse tale sensibilità perché il quadro di diritto internazionale sui diritti umani si era “esaurito” dopo le convenzioni sulle donne e sui bambini.

La Commissione è formata da circa la metà dei 191 membri dell’ONU, rappresentativi di tutti i continenti, delle diverse etnie, religioni e ispirazioni politiche. Partecipano con pieni diritti anche membri senza diritto di voto come la Santa Sede, la Commissione Europea e la Lega Araba, oltre alle agenzie dell’ONU quali l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), la Banca Mondiale e l’International Labour Organization. Grande enfasi viene data anche alla partecipazione di organizzazioni governative come le istituzioni nazionali sui diritti umani e alle associazioni dei disabili, sebbene nella seconda settimana dei lavori non sia stato possibile intervenire. 

A che punto siamo?
I lavori si svolgono seguendo un calendario basato sull’incrocio tra ordine numerico degli articoli e di importanza. Nell’ultima sessione, si sono passati in rassegna generale i primi quindici articoli, per poi scendere nel dettaglio in uno specifico gruppo di lavoro guidato da “facilitatori” che ha analizzato parola per parola gli articoli più complessi che riguardano gli obblighi generali (art. 4), la promozione di un approccio positivo (art. 5), statistiche e privacy (art. 6), uguaglianza e non discriminazione (art. 7) e monitoraggio (art. 25). Le parti scelte condizionano in realtà tutto il resto e pertanto vi si è dedicata maggiore accortezza.

Il metodo per una Convenzione è fondato sul dialogo e sul consenso. E d’altro canto non si tratta di un parlamento dove vengono portate diverse opinioni politiche bensì della rappresentanza della quasi totalità degli esseri umani viventi sul nostro pianeta. Pertanto – e ovviamente – non si ricorre al voto. I toni sono miti, anche se esprimono posizioni differenti e non si lesinano i convenevoli. Anche in caso di radicale dissenso, come per la delegazione di Cuba, le intonazioni si fanno più accese ed enfatiche, ma non oltrepassano mai un limite ben preciso.

Il moderatore ha un ruolo fondamentale specie per quanto concerne il gruppo di lavoro. Egli infatti ha il compito di scremare le proposte di emendamento dai formalismi per identificare il nocciolo del dissenso tra delegazioni, fino a formulare egli stesso delle proposte da sottoporre al gruppo e in special modo alle delegazioni più divise sul punto. Deve quindi possedere indubbie capacità di mediazione e di conoscenza della lingua inglese (il testo è redatto in inglese, anche se le lingue ufficiali sono sei).
Purtroppo abbiamo goduto dell’esperto ambasciatore neozelandese per poco tempo, sostituito per ragioni “cencelliane” (ebbene sì, anche all’ONU…) da quello argentino e da quello della Sierra Leone che hanno rallentato pesantemente i lavori.

In sostanza, la Quinta Sessione dell’Ad Hoc Committee (New York, 23 gennaio-4 febbraio 2005) ha passato in esame gli articoli 7-15 della bozza preparata dal gruppo di lavoro. Anche in questa sessione, le associazioni potevano assistere ai negoziati.
Sono state convocate ben tre sessioni plenarie per permettere alle associazioni di fare delle dichiarazioni sugli articoli all’ordine del giorno, e il Caucus delle stesse associazioni ha organizzato degli incontri per presentare proprie bozze di articoli.
Pietro V. Barbieri, con Bruno Tescari e Giampietro Griffo, dell'European Disability ForumIl Forum Europeo sulla Disabilità (EDF) ha partecipato come sempre in modo attivo al Caucus, esercitando il proprio ruolo di “ponte” tra le associazioni e la Presidenza lussemburghese degli Stati dell’Unione europea.
Purtroppo i negoziati procedono lentamente poiché tutto dev’essere deciso per via consensuale: il livello di comprensione degli strumenti di diritto internazionale e della disabilità varia fortemente tra i delegati.

Nonostante quindi i risultati delle discussioni possano essere considerati positivi, ci sono alcune questioni sulle quali il Caucus spera venga data la possibilità di una rilettura.
Ad esempio la definizione del rappresentante legale delle persone disabili in caso di incapacità (art. 9) non è tra le più felici, nella misura in cui è possibile privare arbitrariamente della libertà in base alla disabilità, anche se non esclusivamente (art. 10).
Oppure si pensi ai trattamenti sanitari obbligatori in cui sono state incluse troppe deroghe (art. 11).
Infine, il diritto all’accesso all’informazione (art. 13), secondo alcuni Stati, dovrebbe essere garantito solo dalle aziende e amministrazioni pubbliche.

Novità interessanti, invece, sono state introdotte con un nuovo articolo sull’accesso alla giustizia e con un altro sulla protezione delle persone con disabilità in caso di emergenza pubblica o situazioni di rischio (disastri naturali, guerre, occupazioni ecc…).
Quest’ultimo è stato influenzato sicuramente dai recenti avvenimenti nel Sudest asiatico e dalle testimonianze di alcuni delegati di Paesi vittime di catastrofi, come la Thailandia e la Giamaica. Il diritto ad un’attenzione e a una protezione particolari per le persone con disabilità nelle situazioni di emergenza o rischio sono stati quindi riconosciuti. Il Caucus opera però affinché si possa affermare un chiaro riferimento alle misure di prevenzione (informazione accessibile, formazione degli operatori) nella stesura finale dell’articolo, al pari della cooperazione allo sviluppo dei Paesi più poveri.

Le conclusioni del Caucus
Rimangono in sospeso un certo numero di questioni importanti che devono essere discusse per il successo della Convenzione ed essere sostenute da tutte le persone con disabilità.
In primo luogo, il Caucus chiede che il contenuto complessivo di questa Convenzione assicuri l’uguaglianza dei diritti umani per tutte le persone con disabilità. Non si può limitare alcun diritto né escludere quale che sia gruppo.
In secondo luogo, ci sono state molte osservazioni dei delegati sul fatto che la convenzione sia in contraddizione con legislazioni nazionali esistenti. È essenziale, a tal proposito, identificare queste componenti delle legislazioni nazionali che devono essere emendate, al fine di assicurare che le leggi degli Stati riflettano completamente i diritti umani delle persone con disabilità. Troppo spesso, le leggi degli Stati sono state costruite su una storia di discriminazione, pregiudizio e paternalismo ed è tempo che questo cambi.

E’ stato sottolineato poi con estrema forza che il Caucus non è stato utilizzato efficacemente durante questa fase delle trattative e molte sono state le occasioni mancate affinché le persone con disabilità potessero contribuire a chiarire argomenti complessi.
Il Caucus si attende che durante la Sesta e le successive sessioni possano essere trovati i mezzi per assicurare un dialogo più interattivo, in modo che le delegazioni possano trarre beneficio dalla sua competenza.

Il Caucus chiede ancora che le persone con disabilità dei Paesi in via di sviluppo – che costituiscono almeno l’80% della popolazione globale con disabilità – siano meglio rappresentate in queste trattative. Presenziare alle riunioni del Comitato è costoso per tutti i membri del Caucus e le restrizioni economiche lo rendono particolarmente difficoltoso per i rappresentanti dei Paesi in via di sviluppo. Quindi i governi sono stati invitati a continuare con i loro contributi regolari al Fondo Volontario delle Nazioni Unite. Inoltre, è stato apprezzato il gesto di quegli Stati che hanno incluso i rappresentanti delle organizzazioni delle persone con disabilità nelle loro delegazioni.

Affinché i membri del Caucus possano partecipare efficacemente, devono anche avere accesso ai documenti e alle altre informazioni importanti per i lavori. E queste informazioni devono essere in forma accessibile alle persone con disabilità.

Attraverso un dialogo continuato, il Caucus può rafforzare l’inestimabile spinta propulsiva che è stata generata durante queste trattative e avvicinarci all’obiettivo comune di una Convenzione di qualità per proteggere e promuovere i diritti umani delle persone con disabilità.
Il Caucus ha ribadito che è necessario assicurarsi di non deludere le aspettative di 600 milioni di persone con disabilità che ripongono in questa Convenzione delle Nazioni Unite le proprie speranze per un cambiamento significativo e positivo nelle loro vite.

Il Caucus ha concluso con il suo motto: niente su di noi senza di noi.

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