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L’ultimo sberleffo

Gaetano Vicari, "Lo sberleffo", olio su tela con buchi, cm 30x40I finanziamenti alle Regioni ridotti del 3,8%, quelli a Comuni e Province diminuiti del 6,7%; più direttamente, poi, con riferimento ai servizi sociali, il Fondo Nazionale per le Politiche Sociali, che riguarda diritti soggettivi (assegno ai nuclei familiari, assegno di maternità, agevolazioni per i genitori di disabili gravi ecc.) viene più che dimezzato: da un miliardo di euro nel 2005 (ma ne sono stati ripartiti soltanto la metà) a 472 milioni di euro per il 2006.
Con queste riduzioni di spesa la Manovra Finanziaria per il 2006 descrive l’attenzione alle politiche sociali dell’attuale Governo. In compenso si propongono i consueti incentivi demografici (bonus bebè, detrazioni per le rette degli asili nido) e la trovata ad effetto del 5 per mille (sperimentale) del gettito IRPEF che potrà essere destinato al volontariato, alla ricerca, alle ONLUS, all’associazionismo.
Non mancano i soliti “clienti”: 2 milioni e 300 mila euro all’Unione Italiana Ciechi, che per pudore non viene espressamente citata.
Ma la Finanziaria costituisce anche “l’ultimo sberleffo” alle richieste dei disabili, che erano state definite con la manifestazione del 15 novembre della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).
Per le persone con disabilità e i loro familiari si è creata una situazione di grave disagio e di grande umiliazione civile e sociale.
È successo altre volte: quando infatti si verifica una crisi economica (ricordiamo ad esempio il Governo Amato degli anni Novanta), si riducono i finanziamenti per l’assistenza, per il sostegno ai cittadini deboli e più poveri, ma mai come questa volta l’intervento è stato accettato, nell’indifferenza e nel silenzio, come qualcosa di inevitabile, di secondario: la solidarietà è diventata discrezionale, virtuale e televisiva, non è più un dovere costituzionale.
Fra poco si concluderà la presente Legislatura: ricordiamo i provvedimenti limitativi dei diritti delle persone disabili, le omissioni e le troppe promesse non mantenute.

Tutti dal giudice!
Con  il Decreto Legge 30 settembre 2003, n. 269, sono stati previsti nuovi controlli e restrizioni dei diritti dei disabili che richiedono o percepiscono pensioni, assegni e indennità.
In sintesi si è stabilito che:
– a partire dal 31 dicembre 2004 non è più possibile il ricorso amministrativo contro il mancato riconoscimento da parte delle Commissioni Sanitarie del grado di invalidità che dà diritto all’assistenza economica;
– l’unica possibilità è il ricorso, entro sei mesi dalla notifica del provvedimento di diniego (prima il termine era di 10 anni!), al giudice ordinario; ciò richiede l’assistenza di un avvocato, una perizia medico-legale e un’attesa di due o tre anni e quindi la presumibile scomparsa dei ricorrenti più anziani, nonché l’estinzione del giudizio poiché si tratta di prestazioni non reversibili;
– è stata introdotta una norma di «responsabilità aggravata» nei confronti di chi ricorra o resista in giudizio «con mala fede o colpa grave». In questo caso il soccombente è condannato alle spese e al risarcimento dei danni (si vogliono in sostanza scoraggiare i numerosi ricorsi di persone anziane con riferimento all’indennità di accompagnamento).
Si tratta di una norma “incivile”: non si può pensare infatti di ridurre il fenomeno del contenzioso, riducendo i diritti delle persone.

Istituzione del lavoro protetto
Con l’articolo 14 del Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Cooperative sociali e inserimento lavorativo dei lavoratori svantaggiati), si è stabilito che i disabili con difficoltà (ma in definitiva tutti) potranno essere collocati nelle cooperative sociali (assieme ai tossicodipendenti, ai malati psichiatrici, agli ex carcerati e ad altri “lavoratori svantaggiati”), in cambio di commesse di lavoro da parte delle aziende, che vengono così esentate dalla «copertura della quota di riserva».
Da notare che il collocamento dei disabili nelle cooperative sociali era già consentito dalla Legge 68/99, articolo 12, ma come «inserimento temporaneo con scopi formativi personalizzati» per la durata massima di due anni. Anche in tal caso le aziende dovevano assumere direttamente la persona inserita in cooperativa.
Le principali modifiche introdotte sono:
– che l’azienda non assume più il disabile direttamente;
– che per le aziende da 15 a 35 dipendenti c’è l’esenzione totale (in cambio delle commesse di lavoro);
– che si escludono di fatto dal mercato del lavoro ordinario tutti gli handicappati medio-gravi;
– che si costituisce un sistema di lavoro protetto permanente.
Se si ricorda che il lavoro rappresenta la tappa conclusiva di ogni processo di riabilitazione e di integrazione sociale, questa norma dev’essere quindi considerata come una scelta per l’assistenzialismo e per l’esclusione dalle relazioni e dal mondo del lavoro.

Omissioni e impegni mancati
Bisogna denunciare poi la mancata attuazione della Legge 328/2000 (“Riforma dell’assistenza”), con riferimento ai nuovi criteri di definizione dell’invalidità e al riordino degli assegni e indennità per i disabili.
Il sottosegretario al Welfare Grazia Sestini, con una stupefacente argomentazione ha affermato: «La 328/2000, se pur giovane di età, è una legge ampiamente superata, poiché è antecedente alla riforma costituzionale che ha reso le politiche sociali di competenza esclusiva delle Regioni e degli enti locali».
La verità è che questo Governo non è riuscito a definire un progetto di sicurezza sociale che fosse complementare o alternativo a quello precedente e ha proceduto per successive e contingenti approssimazioni di carattere neoliberista.
L’unico atto programmatico che è stato prodotto è il Libro bianco sul Welfare che, al di là delle valutazioni di strategia generale, afferma la centralità della famiglia (in concorrenza o in alternativa ai servizi socio-assistenziali) e in modo più chiaramente consapevole una progressiva privatizzazione dei bisogni.
In sostanza anche per il sistema assistenziale il Libro bianco, che poi è stato dimenticato e disatteso, si proponeva la scelta, che ormai riguarda tutte le politiche sociali, di ridurre la protezione sociale, liberando così risorse da destinare ai singoli.

0Ricordiamo infine altri impegni non mantenuti:
– La totale indifferenza circa le conclusioni della Conferenza Nazionale sulle Politiche della Disabilità di Bari nel 2003: progetti di vita individualizzati, lavoro, mobilità, prevenzione, scuola e formazione, ricerca, sport
– La mancata istituzione del Fondo per il Sostegno delle Persone Non Autosufficienti, nonostante l’accordo fra maggioranza e opposizione.
– La mancata predisposizione del Testo Unico delle leggi sui disabili, necessario di fronte a un complesso di norme che si sono sovrapposte in modo caotico e contraddittorio.
– La mancata definizione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LIVEAS), per garantire l’universalità delle prestazioni e renderle omogenee in tutto il Paese.
– L’esclusione delle associazioni dei disabili dalla concertazione istituzionale.
– La diffusione e l’affermazione di una rappresentazione culturale e sociale dei disabili come destinatari di beneficenza, di volontariato, di assistenzialismo, di raccolte televisive.
– La mistificazione del 2003 – Anno Europeo delle Persone con Disabilità e la rimozione dell’impegno di formulare una Direttiva Europea sulla non discriminazione in coincidenza col semestre di Presidenza italiano.

Si è verificato in conclusione un progressivo accentramento delle competenze in materia di disabilità nell’ambito del Ministero dell’Economia, a significare che le politiche di welfare sono state interpretate essenzialmente nella dimensione del controllo della spesa, anziché come diritto e come vincolo di solidarietà.

Conclusioni
Cosa vuol dire questa analisi in termini concreti?
Vuol dire che le pensioni e l’indennità non sono aumentate, che un disabile  grave deve sopravvivere con 234 euro al mese, che le possibilità di vita indipendente e di inserimento al lavoro sono diminuite, che la realtà delle persone disabili viene appiattita sui loro bisogni e affidata sempre di più alle famiglie, che gli handicappati, in quanto oggetto di benevolenza e di compassione, devono essere buoni, pazienti e riconoscenti… perché «richiedono l’aiuto di tutti e non hanno utilità sociale».

*Presidente dell’ANIEP (Associazione Nazionale per la Promozione e la Difesa dei Diritti Civili e Sociali degli Handicappati).

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