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Disabili e discriminazioni: tutela giudiziaria*

Persona con disabilità ferma davanti ad un autobus non accessibileIl nuovo Disegno di Legge approvato dalla Commissione Giustizia del Senato (n. 3674 del 17 gennaio 2006) trae origine da alcune direttive dell’Unione Europea sulla parità di trattamento fra le persone.
La Direttiva del Consiglio 2000/43/CE del 29 giugno 2000 (recepita dal Decreto Legislativo 9 luglio 2003, n. 215) richiama formalmente il principio della parità di trattamento fra le persone, indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica. Inoltre, la Direttiva del Consiglio 2000/78/CE del 27 novembre 2000 (recepita dal Decreto Legislativo 9 luglio 2003, n. 216) fissa alcuni punti fermi per la parità di trattamento in materia di lavoro.
Ciò che più conta è però l’articolo 81 (Parte II, Titolo III) del Trattato sulla Costituzione per l’Europa, che vieta chiarissimamente qualsiasi tipo di discriminazione derivante dal «sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età e l’orientamento sessuale [grassetto nostro, N.d.R.]».

Che cos’è la discriminazione?
L’articolo 2 del Disegno di Legge definisce quali siano i comportamenti da considerare discriminatori, distinguendo tra discriminazione diretta e indiretta.
La discriminazione è diretta quando, per motivi connessi alla disabilità, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata una non disabile in una situazione analoga.
La discriminazione invece è indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono una persona con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto ad altre.
Rappresentano poi discriminazione tutti quei comportamenti indesiderati che creano nei confronti delle persone con disabilità un clima di intimidazione ostile e degradante, il cosiddetto mobbing, oltre che ledere la loro dignità e la libertà.

Maggiore tutela
Le misure previste dal Disegno di Legge per contenere o sanzionare i comportamenti discriminatori sono, come già detto, di natura giurisdizionale. Esse consistono cioè in una maggiore tutela di chi ricorre contro situazioni discriminatorie.
Il Legislatore riprende in tal senso le disposizioni di tutela giurisdizionale già previste dal Testo Unico sull’Immigrazione (articolo 44 del Decreto Legislativo 268/98) che si affiancano a quelle ordinarie previste dal Codice Civile. Il suddetto articolo 44 del Decreto Legislativo 268/98 prevede infatti, «in presenza del comportamento produttivo di una discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, la possibilità di agire in giudizio davanti al tribunale civile in composizione monocratica al fine di poter ottenere un’ordinanza che, anche in via di urgenza, possa rimuovere gli effetti della discriminazione e risarcire il danno subito, anche se di natura non patrimoniale».
In caso di accoglimento, i provvedimenti richiesti sono immediatamente esecutivi. Una sanzione penale è irrogata in caso di mancata esecuzione dei provvedimenti del giudice (reclusione fino a tre anni o multa da 103 a 1.032 euro).
Lo stesso articolo ammette anche la possibilità per il ricorrente – al fine di dimostrare la sussistenza a proprio danno del comportamento discriminatorio – di dedurre elementi di fatto anche a carattere statistico relativi alle assunzioni, ai regimi contributivi, all’assegnazione delle mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera e ai licenziamenti dell’azienda interessata.
Ora queste disposizioni si estendono anche agli episodi di discriminazione che riguardano le persone con disabilità.

Maggiore discrezionalità per il giudice
Il comma 2 dell’articolo 3 del nuovo Disegno di Legge introduce poi un elemento tecnico che consente al giudice di valutare gli elementi indizianti nei limiti dell’articolo 2729, primo comma, del Codice Civile il quale prevede che le presunzioni non stabilite dalla legge siano lasciate alla prudenza del giudice che deve ammettere solo quelle gravi, precise e concordanti.
Il giudice ha quindi una maggiore discrezionalità di giudizio nella valutazione delle “prove”, mentre il ricorrente (ovvero il disabile) è maggiormente avvantaggiato nella produzione degli elementi probatori di fatto che devono comunque essere «gravi, precisi e concordanti».

Sanzioni
Nel caso di esito favorevole al disabile, il giudice, oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno, anche non patrimoniale, ordina la cessazione del comportamento, della condotta o dell’atto discriminatorio, se ancora sussiste, e adotta ogni altro provvedimento per rimuovere gli effetti della discriminazione, compresa l’adozione, entro un dato termine, di un piano di rimozione delle discriminazioni accertate.
È anche prevista un’ulteriore modalità di riparazione del danno. Il giudice, infatti, può ordinare la pubblicazione della sentenza per una sola volta «su un quotidiano di tiratura nazionale, ovvero su uno dei quotidiani a maggiore diffusione nel territorio interessato» a spese del soccombente.

Le associazioni
L’ultimo articolo della nuova norma prevede che la persona con disabilità possa farsi rappresentare in giudizio da associazioni o enti che verranno individuati con decreto del ministro per le Pari Opportunità, di concerto con il ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, sulla base della finalità statutaria e della stabilità dell’organizzazione.
Le stesse associazioni e gli enti potranno intervenire nei giudizi per danno subìto dalle persone con disabilità e ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l’annullamento di atti lesivi degli interessi delle persone stesse. Sono altresì legittimati ad agire in relazione ai comportamenti discriminatori, quando questi assumano carattere collettivo e quindi, ad esempio, ricorrere al giudice amministrativo (il TAR) contro le delibere delle Regioni o dei Comuni.

*Questo testo viene pubblicato per gentile concessione del servizio HandyLex (www.handylex.org). Tutti i diritti riservati.

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