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Il diritto di giocare

Don Mac Kay, presidente del Comitato Ad Hoc riunito alle Nazioni Unite per definire la prima Convenzione sulla Tutela dei Diritti delle Persone con Disabilità, ha più volte sottolineato l’enorme impegno, nonché l’investimento finanziario, delle delegazioni governative e della società civile per raggiungere l’obiettivo di un documento che effettivamente tuteli e promuova i diritti delle persone con disabilità. La sottolineatura non è né banale né superflua, perché è il fondamento stesso dell’esortazione a chiudere la Convenzione in questa sessione.

L’investimento e le attese italiane sono decisamente di rilievo, dato che la nostra delegazione è ancor più partecipata delle precedenti sessioni. In questo senso non possiamo che iniziare menzionando l’importante lavoro di coordinamento della delegazione dovernativa, da parte del consigliere Stefano Gatti, che ha sostituito Andrea Cavallari la cui opera di garanzia dell’introduzione della partecipazione delle associazioni quali advisor del governo italiano si è rivelata un approdo sicuro.
Da sinistra: Pietro V. Barbieri, Giampiero Griffo e Urbano Stenta, durante i lavori del Comitato Ad Hoc a New York (foto di Giuliano Giovinazzo)Assieme ad Urbano Stenta, consulente del Ministero degli Esteri sulla disabilità, il consigliere Gatti ha proseguito sulla strada già battuta, rinnovando il rapporto di fiducia con gli advisor delle associazioni, a partire da Giampiero Griffo e da chi scrive, fino a Ida Collu del CIDUE (Consiglio Italiano dei Disabili per i Rapporti con l’Unione Europea). Egli ha colto inoltre l’innovativa presenza di altri rappresentanti di associazioni, come Donata Vivanti, presente in qualità di vicepresidente dell’EDF (European Disability Forum), Generoso Di Benedetto di DPI Italia (Disabled Peoples’ International) e Laura Borghetto, presidente dell’Associazione L’Abilità di Milano, che si occupa di sostenere famiglie con bambini con disabilità nella prima infanzia, delegata ufficiale dal CND (Consiglio Nazionale sulla Disabilità).
Con questa intervista proprio a Laura Borghetto, vogliamo cercare di trasmettere ai lettori di Superando.it tutte le sensazione di una nuova partecipazione a questo consesso.

Laura, comincia col raccontarci come sei arrivata qui a New York per prendere parte ai lavori del Comitato Ad Hoc…
«All’interno dell’Associazione L’Abilità, fondata nel 1998, mi occupo di diritti, svolgendo un lavoro di counselling (“consulenza”) alle famiglie che si rivolgono all’associazione stessa.
Nel 2003 abbiamo pubblicato una guida di servizio per i genitori, dal titolo Leggingioco. I diritti del bambino disabile e della sua famiglia. Oggi parlerei di “bambino con disabilità” e non più di “bambino disabile”, ma all’epoca non ero ancora così consapevole dell’importanza di una terminologia rispettosa della persona e dei suoi diritti.
Quel progetto – che si è rivelato di portata insufficiente – si è poi trasformato in un corso di formazione itinerante in dieci unità territoriali di Neuropsichiatria Infantile, a Milano e dintorni. In quell’occasione ho aggiunto una parte sui diritti umani, sulla Convenzione dei Diritti del Fanciullo e sulle Regole Standard. Ecco quindi il cambiamento di prospettiva: dai benefìci di legge ad una prospettiva più larga sui diritti fondamentali, partendo dal presupposto che le famiglie non conoscono il grande lavoro che le associazioni nazionali e internazionali svolgono contro la discriminazione e a favore delle pari opportunità».

Una piccola realtà, quindi, informata però sulle attività internazionali. Come sei venuta a conoscenza di tutto ciò?
«Scaricando i documenti dallo spazio Enable, nel portale internet dell’ONU, più leggevo e più mi convincevo della necessità “di esserci” perché si tratta di una grande occasione per acquisire consapevolezza – come dice lo stesso articolo 1 delle Regole Standard – perché le famiglie con bambini siano consapevoli che la disabilità dei loro piccoli non è solo un problema di malattia o di deficit, ma soprattutto una questione legata al contesto di vita del bambino e della famiglia.
Infatti, una società non inclusiva penalizza l’evoluzione del bambino verso l’autonomia e crea un grosso carico sulla famiglia, una dipendenza senza fine».

Insomma, un entusiasmo invidiabile. Raccontaci le sensazioni del primo impatto, tralasciando i disguidi del viaggio derivati dal “blocco di Londra”, ovviamente…
«Il primo pensiero è stato: “Il mondo degli adulti con disabilità si muove e parla per sé direttamente, senza intermediari”… Poi mi hanno colpito le delegazioni governative dei Paesi poveri. Pensavo che ritenessero la disabilità una questione minore tra emergenze come la fame, la sete, la povertà, le guerre ecc. e invece sono qui e alzano la loro voce.
Non solo, le donne arabe con disabilità raccontano del loro primo convegno a Doha sulle discriminazioni e delle continue penalizzazioni che subiscono nella loro società». 

Hai colto certamente una serie di aspetti che si incrociano con la più stretta attualità. Dopo otto giorni di dibattito tra delegazioni, quale sintesi puoi offrirci?
«Qualche volta sembra che si stia a “cavillare sui termini”. Un cavillare per altro non sempre ozioso, anche se talvolta per me è incomprensibile perché cela problemi di legislazioni nazionali, di tradizioni e consuetudini locali.Laura Borghetto, presidente dell'Associazione L'Abilità di Milano, a New York per l'ottava sessione del Comitato Ad Hoc (foto di Giuliano Giovinazzo) Percepisco in ogni caso una grande volontà di superare particolarismi perché l’assemblea è consapevole della marginalità di 600 milioni di persone e delle loro esigenze negate.
Non posso che ripetermi: la questione di genere è molto presente qui, tanto quanto non lo è da noi, dove non se ne parla quasi per niente.
Altra questione per me rilevante è il tema dell’applicazione dei diritti umani nei territori occupati o di guerra. Dico sempre agli amministratori locali che è impossibile sezionare aree di intervento sociale come disabilità, minori a rischio e immigrazione. Ecco quindi che emerge qui, in modo prorompente, la relazione disabilità-attualità, con la guerra in Libano che ha colpito tutta la popolazione e anche molti disabili che sono tra i più vulnerabili in questa situazione».

Tornano le questioni di guerra e povertà. Cosa ti aspetti per le persone con disabilità italiane e per i loro familiari?
«Che la Convenzione sia approvata dal Comitato Ad Hoc. Che sia inserito un sistema di monitoraggio efficace e che vi sia una sua diffusione a tutti i livelli politici, amministrativi, di stakeholder [letteralmente “gli individui attivamente coinvolti in un progetto”, N.d.R.] e soprattutto di persone con disabilità e di famiglie.
Vista la peculiarità della mia attività, sono felice che sia menzionato specificamente il diritto al gioco per i bambini con disabilità. Da un punto di vista più generale, l’enfasi nella Convenzione sull’educazione inclusiva spero scoraggi qualunque tentativo di marcia indietro rispetto all’integrazione scolastica. Mi auguro infine che vi sia anche la comunicazione sui mass-media generalisti e che comincino a cambiare tanti stereotipi sulla disabilità».

Un ultimo aspetto, una domanda che non dovrei porre quale membro della delegazione italiana, e quindi come “collega”. Come ti sei trovata sin qui con questa anomala compagine?
Mi sembra stupefacente come la delegazione italiana sia integrata tra il livello istituzionale governativo e le organizzazioni delle persone con disabilità e dei loro familiari. Sono rimasta colpita, poi, dalla facilità di partecipazione e di accoglienza per le associazioni piccole non di carattere nazionale. Vista tale facilità, ne avrei volute vedere di più, anche se sono consapevole della difficoltà economica che noi Organizzazioni Non Governative attraversiamo».

*Presidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).

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