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La lettera di Piergiorgio Welby e la dignità umana

Julian Adamaitis, TunnelSta facendo molto discutere – anche in ambito politico – la lettera aperta inviata la scorsa settimana da Piergiorgio Welby al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nella quale l’autore chiede «di poter ottenere l’eutanasia», a causa di una «distrofia muscolare, che si è talmente aggravata da non consentirmi di compiere movimenti», in una situazione in cui «il mio corpo non è più mio». Com’è noto, Napolitano ha accolto il messaggio, invitando «a discutere “nelle sedi più idonee”» il problema sollevato da quel testo.

Numerose anche le prese di posizione in ambito associativo, tra le quali, per oggi, abbiamo scelto innanzitutto quella di Alberto Fontana, presidente della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), il quale – a nome della sua Associazione e per dar voce alle persone affette da distrofie muscolari che egli rappresenta – ha voluto precisare, ai fini di una corretta informazione, sempre utile nei momenti in cui le discussioni sono sin troppo “calde”, che «le distrofie muscolari sono almeno trenta diverse malattie, con esiti differenti tra di loro, alcune dal decorso più grave, altre meno. Una precisazione, questa, doverosa per far capire ai cittadini che in molti casi la situazione di Piergiorgio Welby non è automaticamente quella di una persona affetta da distrofia muscolare, come invece sembra apparire dagli articoli pubblicati in questi giorni».

«Voglio poi ribadire con forza – ha aggiunto Fontana – che il mondo della politica e quanti governano la nostra società devono prima di tutto occuparsi delle nostre condizioni di vita. Di garantire, cioè, con una grande e vera riforma nazionale, i servizi essenziali a tutte le persone non autosufficienti, con una rete integrata di servizi, con progetti individuali personalizzati. Poi si discuta naturalmente anche di eutanasia, con serenità, e mettendo a confronto, con il massimo rispetto, tutte le varie posizioni su tale delicato argomento».

Su posizioni non troppo lontane anche Adriano Pessina, direttore del Centro di Bioetica dell’Università Cattolica, Massimo Osler, presidente della FIAN (Federazione Italiana delle Associazioni Neurologiche di Pazienti), Vladimir Kosic, presidente della Consulta Regionale delle Associazioni dei Disabili del Friuli Venezia Giulia e Mario Melazzini, presidente dell’AISLA (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica), i quali hanno sottoscritto un comunicato stampa congiunto che si apre così:
«Apprezziamo l’invito del Presidente Giorgio Napolitano a discutere “nelle sedi più idonee” del problema sollevato dalla lettera di Piergiorgio Welby. Riteniamo, però, che il cuore del dibattito riguardi l’adeguatezza della cura e dell’assistenza che, per essere tale, non può mai sfociare né in forme di accanimento né di abbandono terapeutico. Qualora la politica voglia affrontare in maniera seria e concreta i problemi della disabilità e della non autosufficienza, dovrà tenere in adeguata considerazione le reali condizioni in cui le persone con patologie gravi, in particolare neurodegenerative, e le loro famiglie vivono: mancanza di assistenza domiciliare qualificata, di supporto adeguato alla famiglia, di una rete organizzata e coerente di servizi sociali e sanitari, di reale solidarietà, di coinvolgimento e sensibilità da parte dell’opinione pubblica. Il valore della vita personale, anche se vissuta tramite supporti quali la ventilazione meccanica o l’alimentazione artificiale, non può essere misconosciuto: la stessa cessazione dell’accanimento terapeutico, in fondo, è motivata da questo rispetto [grassetti nostri in questa e nelle successive citazioni, N.d.R.]».

«Nessuna impostazione rinunciataria – continua la nota – può togliere il diritto all’assistenza e a una piena partecipazione nella società sia alle persone con gravissime patologie, sia alle loro famiglie. L’intera esistenza di Piergiorgio Welby sta a dimostrare come la dignità umana non sia mai offuscata dalla patologia e che il coraggio di vivere si alimenta negli affetti, nelle relazioni, nella solidarietà civile: le sue parole al Presidente Napolitano non possono annullare il valore della sua testimonianza e non possono diventare occasione per promuovere forme di eutanasia o di abbandono, sia esso terapeutico, sia esso sociale».

Il testo si sofferma poi – come già aveva sottolineato Fontana – sulla necessità di una riorganizzazione complessiva, in particolare del sistema socio-sanitario.
«La volontà di morire è spesso conseguenza dello stato di esclusione ed emarginazione, nella pratica e nelle parole, dalla società che rappresenta queste persone soltanto in termini di peso, economico, sociale, affettivo. Il rapporto medico paziente, pazienti e società non può essere delegato soltanto a funzioni giuridiche o contrattuali né si può continuare a pensare che il problema della non autosufficienza si possa risolvere con briciole di intelligenza, di tempo e di risorse più o meno disponibili, senza coinvolgere, al contrario, la riorganizzazione dei sistemi interessati, ed in primo luogo, il sistema socio-sanitario. Già dal 2005 è attiva all’interno della Federazione FIAN una riflessione sul tema “aiutare a vivere, accompagnare il morire” che considera la morte, che inevitabilmente giunge per tutti, un fatto, non un diritto o un valore: ciò di cui si ha diritto, come uomini e cittadini, è l’assistenza, secondo quanto sancito solennemente dall’articolo 32 della Costituzione Italiana». 

«La lettera di Welby – conclude il comunicato – serva per aprire un serio dibattito in Parlamento e nel Paese su che cosa si stia concretamente facendo per evitare l’emarginazione delle persone con gravi disabilità e con patologie invalidanti, su quanto si investe in termini di medicina, di assistenza domiciliare e di cultura della salute e della disabilità».
E a tutti i contributi che vogliano arricchire questo dibattito, apriamo naturalmente – come sempre – le pagine del nostro sito.
(S.B.)

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