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Le malattie mitocondriali**

MitocondrioNell’ambito delle malattie mitocondriali, quelle con difetti nella catena respiratoria rappresentano le forme più comuni. Si tratta di patologie rare, talora difficilmente diagnosticabili, spesso multisistemiche, che cioè interessano numerosi tessuti, apparati e organi.
Esse sono caratterizzate da mutazioni principalmente eteroplasmiche del DNA mitocondriale (DNAmt) o da mutazioni in geni nucleari codificanti proteine coinvolte nella fosforilazione ossidativa (OXPHOS), responsabili di danno del metabolismo cellulare aerobico.
Bisogna infatti ricordare che i mitocondri – organelli intracellulari deputati alla produzione di energia chimica necessaria per le funzioni cellulari – possiedono un proprio DNA, diverso da quello nucleare e che viene detto appunto DNAmt.
Quest’ultimo è presente in numerose copie all’interno di ogni cellula, ha forma circolare ed è costituito da circa 17.000 basi azotate, o nucleotidi, i componenti basilari degli acidi nucleici. Esso viene ereditato, all’atto della fecondazione, dalla cellula uovo che pertanto partecipa, a differenza dello spermatozoo, alla costituzione del patrimonio mitocondriale dello zigote. Proprio per questo motivo molte delle malattie mitocondriali sono ereditate per via matrilineare.

Il DNA mitocondriale
In patologia umana, le mutazioni del DNAmt sono associate ad un ampio spettro di malattie, tra cui miopatie, encefalopatie e cardiomiopatie, in aggiunta ad altre più o meno specifiche situazioni a carico di tessuti caratterizzati da elevate richieste energetiche, quali il sistema endocrino, la retina, il rene e l’apparato gastrointestinale.
Più di cento differenti riarrangiamenti del DNA mitocondriale (delezioni e duplicazioni) e più di cinquanta mutazioni puntiformi patogenetiche sono state associate ad un’elevata varietà di malattie mitocondriali, sia multisistemiche che tessuto-specifiche, in particolare con il fenotipo di encefalomiopatia mitocondriale.
In ogni caso, l’effetto patogenetico di queste mutazioni è dovuto a una ridotta sintesi – per difetto in specifici RNA messaggeri o in uno o più classi di RNA transfer – delle subunità proteiche degli enzimi della catena respiratoria codificate dal DNAmt.
In contrasto con i notevoli progressi nella comprensione delle cause delle malattie mitocondriali, i meccanismi patogenetici che determinano la disfunzione di organi/tessuti possono essere solo parzialmente spiegati dalle caratteristiche della genetica mitocondriale e sono ancora poco chiari.
La cosiddetta eteroplasmia tessutale (coesistenza di DNA mutato e normale wild type) e l’effetto soglia (il livello critico di DNAmt mutato alla base del deficit della fosforilazione ossidativa) sono stati chiamati in causa per spiegare l’estrema variabilità delle manifestazioni cliniche associate a mutazioni del DNAmt.
In accordo al principio della pleioplasmia – allorché è presente una mutazione del DNAmt – questa può pertanto interessare una proporzione più o meno ampia del DNA mitocondriale di ogni cellula e quindi di ogni tessuto dell’organismo.
RicercatriceNei tessuti e nella cellula affetti, e teoricamente nello stesso mitocondrio, vi può essere una complementazione tra DNAmt mutato e DNA normale; in altri termini, il DNA normale può assicurare una sintesi di proteine enzimatiche della catena respiratoria e quindi una sintesi di ATP (adenosintrifosfato) in un determinato volume cellulare, sopperendo al difetto determinato dalla presenza di DNA mutato che perde tali proprietà in volumi cellulari viciniori.
E ciò nonostante, il rapporto tra i livelli di DNAmt mutato nei tessuti, l’espressione biochimica in vitro, l’espressione funzionale tessuto-specifica in vivo e il risultante fenotipo clinico sono ancora ben poco chiari.

Manifestazioni cliniche
Per quanto riguarda le principali manifestazioni cliniche delle malattie mitocondriali, bisogna innanzitutto riferirsi a quelle che coinvolgono il sistema nervoso centrale, vale a dire emicrania, demenza, crisi comiziali ed episodi tipo stroke (infarto cerebrale), che possono verificarsi a qualsiasi stadio della malattia. L’interessamento del sistema nervoso centrale non è tuttavia necessario per la diagnosi.
Per quanto concerne invece il sistema nervoso periferico, le neuropatie possono determinare debolezza, perdita dei riflessi profondi, dolori e alterazioni del sistema nervoso autonomo, così come alterazioni della termoregolazione o della sudorazione, ipotensione ortostatica e disfunzioni vescicali. Possono inoltre contribuire a determinare un’alterata motilità intestinale.
È per altro la debolezza muscolare a costituire frequentemente il primo sintomo per cui il paziente si rivolge al medico. Spesso all’inizio è lieve e poi si aggrava progressivamente nel tempo. Si possono avere anche crampi o contratture muscolari.
Alcuni pazienti hanno livelli moderatamente aumentati di CK muscolo scheletrico (CPK-MM) e si possono anche osservare episodi di rabdomiolisi (necrosi delle cellule del muscolo) con mioglobinuria (presenza nel sangue della mioglobina, proteina che trasporta l’ossigeno del sangue all’interno del muscolo) e livelli di CK di oltre 10.000.
Nell’ambito del cuore, possono essere colpiti sia il tessuto muscolare cardiaco che il sistema di conduzione, con conseguenti alterazioni del ritmo e cardiomiopatie. In alcuni pazienti le malattie cardiache possono essere il primo segno della malattia mitocondriale e per tali ragioni essi devono sottoporsi periodicamente a controlli elettrocardiografici ed ecocardiografici.

Altri organi e apparati
Per quanto riguarda il fegato, in alcuni pazienti con difetti della catena respiratoria si può avere un difetto secondario della gluconeogenesi (formazione di glucosio a partire da altre sostanze diverse dai carboidrati), così come avviene in coloro che soffrono di deficit dell’enzima carnitina-palmitoil-transferasi II o di deficit di carnitina.
Altra immagine di un mitocondrioA livello del rene, spesso si può avere perdita di aminoacidi ed elettroliti nelle urine. Nei casi ad esordio infantile si possono verificare aminoaciduria, acidosi tubulare renale o sindrome di Fanconi.
Il pancreas, invece, è coinvolto nelle malattie mitocondriali con forme di diabete spesso riscontrabili tardivamente, specie nella sindrome MELAS [miopatia mitocondriale-encefalopatia-acidosi lattica, N.d.R.]: circa l’1% dei pazienti con diabete mellito insorto nell’adulto sono portatori della mutazione MELAS A3243G.
Infine l’apparato visivo e quello uditivo. Riguardo al primo, si possono osservare atrofia ottica e retinite pigmentosa. Certo, non tutti i pazienti con questi quadri hanno necessariamente una malattia mitocondriale, ma questa dev’essere sospettata se è presente una familiarità o il coinvolgimento di altri organi.
Riguardo al secondo, va detto che in alcuni pazienti è presente un’ipoacusia che inizia come perdita di udito per le alte frequenze, con progressione fino alla sordità totale. Un certo numero di mutazioni puntiformi del DNAmt sono associate a otosensibilità verso gli aminoglicosidi.

Classificazione clinico-genetica
La classificazione clinico-genetica e sindromica delle malattie mitocondriali associate a mutazioni del DNAmt distingue le forme che si presentano sporadicamente da quelle ereditabili. Queste ultime sono appunto ereditate attraverso una modalità di trasmissione matrilineare da mutazione del DNAmt, autosomica dominante [alterazione rappresentata in un solo elemento di una coppia di cromosomi, N.d.R.] o recessiva [in entrambi gli elementi di una coppia di cromosomi, N.d.R.] da mutazione di geni nucleari.
E in ogni caso la classificazione di queste patologie appare in continuo divenire, man mano che vengono individuati nuovi quadri clinico-molecolari.
Bisogna tuttavia ricordare che allo stato attuale la maggior parte delle sindromi clinico-molecolari mitocondriali sono caratterizzate e rappresentano ormai entità nosologiche ben note allo specialista neurologo e non solo.

Diagnosi e terapia
La diagnosi delle malattie mitocondriali si avvale sia della valutazione clinico-anamnestica che di indagini metaboliche, biochimiche e genetico-molecolari piuttosto complesse che spesso richiedono una biopsia muscolare.
Dal punto di vista terapeutico bisogna dire che, allo stato attuale, non esistono terapie risolutive per il trattamento delle malattie mitocondriali. Possono tuttavia essere impiegati – allo scopo di potenziare la funzione deficitaria della catena respiratoria mitocondriale – farmaci quali il coenzima Q10, la creatina monoidrato, la carnitina, l’idebenone, la riboflavina (o vitamina B2) e la tiamina (vitamina B1).
Altri farmaci utilizzati in casi selezionati e sotto attenta osservazione clinica sono il menadione, il dicloroacetato e il succinato.
Le manifestazioni specifiche dei vari organi vanno appositamente trattate, con il controllo, in acuto, dell’acidosi lattica con bicarbonato di sodio e.v., con la regolazione del diabete e degli altri disturbi endocrini, con la prevenzione farmacologica delle crisi epilettiche, con la chirurgia correttiva per l’oftalmoplegia o per la cataratta, con la gastrostomia per risolvere la disfagia, con impianti cocleari, infine, per l’ipoacusia.
Alcuni farmaci, invece, devono essere evitati, in quanto in grado di inibire la funzione mitocondriale: tra questi, il valproato di sodio, i barbiturici, il cloramfenicolo, gli antivirali, le tetracicline, alcuni anestetici e, nel caso della mutazione A1555G del DNAmt, gli aminoglicosidi.
Importante è anche la terapia riabilitativa motoria, in parte finalizzata a migliorare, con opportuni programmi di training muscolare, la capacità aerobica del tessuto muscolare con deficit mitocondriale.

*Dipartimento di Neuroscienze, Ospedale Santa Chiara di Pisa.
**Testo tratto da www.uildm.org, sito della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare). Per gentile concessione di tale testata.

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