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Il cancello della mente*

Microchip nel cervelloIl 13 luglio 2006 «Nature», una delle più affermate riviste scientifiche al mondo, pubblica in copertina la foto di Matthew Nagle, venticinquenne americano tetraplegico a causa di una lesione al midollo spinale.
All’interno del magazine, un ampio articolo presenta i primi risultati di un esperimento compiuto da alcuni scienziati americani che hanno impiantato un microchip a ridosso della corteccia motoria di Matthew.
I risultati ottenuti sono importanti: il chip si è mostrato capace di tradurre i comandi che partono dai neuroni del ragazzo in segnali elettrici che comandano un computer esterno. In particolare, il paziente, grazie alla nuova tecnologia, con la forza del pensiero ha spostato il cursore sullo schermo del PC, aperto e chiuso una mano robotizzata, regolato il volume della televisione…

Gli esperimenti e l’impianto
L’équipe di studiosi ha raggiunto tale traguardo dopo un lungo studio sull’analisi computerizzata di segnali bioelettrici generati dalla corteccia cerebrale – nella fattispecie quella motoria – sulla loro interpretazione, decodificazione e trasmissione a periferiche esterne all’individuo.
I test, durati circa dieci anni, hanno avuto come prime cavie le scimmie e si sono ispirati a due apparecchi già esistenti: l’occhio e l’orecchio bionici, in grado di registrare gli stimoli luminosi o sonori e trasmetterli al cervello sotto forma di impulsi elettrici.
È stato poi il neurochirurgo Gerhard Friehs, del Rhode Island Institute di Providence, a impiantare, nel 2004, il minuscolo computer sotto il cranio di Matthew. Egli ha praticato un piccolo foro nella scatola cranica del paziente, dietro l’orecchio destro e posizionato il chip ad una profondità di mezzo millimetro, in prossimità delle aree cerebrali connesse con il movimento.
Da allora Matthew si è sottoposto a 57 sedute di prova nel New England Sinai Hospital, durante le quali i ricercatori gli hanno chiesto, ad esempio, di immaginare di muovere una mano per controllare il mouse di un computer.
Mentre il ragazzo produceva i pensieri, gli scienziati, tramite il microchip, registravano gli avvenimenti della corteccia motoria. Successivamente, studiavano i segnali nervosi raccolti, diversi a seconda del pensiero, li filtravano e infine trasformavano in una successione di informazioni elettroniche, comandi bidimensionali che generano l’azione.

BrainGate
«L’aspetto più entusiasmante della nostra scoperta – ha spiegato a “Nature” Leigh Hochberg della Brown University di Providence – è che il cervello di un individuo paralizzato, nel momento in cui esprime la volontà di muovere un arto, si attiva esattamente come se quell’arto fosse mobile. Dal punto di vista neuronale, immaginare di spostare una mano è esattamente come spostarla realmente».
Si chiama BrainGate (“cancello della mente” o “porta cerebrale”) questa portentosa protesi neuromotoria in titanio, un quadrato di pochi millimetri per lato che contiene 96 elettrodi più sottili di un capello. Questi ultimi penetrano nel cervello alla profondità di un millimetro, captano i segnali prodotti dai neuroni della corteccia motoria e li inviano a un computer esterno. Il circuito elettronico è stato realizzato dall’industria Cybernetics Neurotechnology Systems del Massachusets, in collaborazione con le università americane di Brown e Stanford.
La FDA (Food and Drug Administration), organo di controllo e autorizzazione per tutto ciò che riguarda la medicina negli Stati Uniti, ha dato il permesso alla Cybernetics di condurre altri esperimenti utilizzando il BrainGate. Dei tre prossimi pazienti selezionati, uno è affetto da distrofia muscolare.
L’obiettivo a lungo termine, limitatamente ai casi con lesioni nervose che causano paralisi motorie, è quello di inviare i comandi direttamente ai muscoli del paziente, scavalcando la lesione nervosa stessa all’origine della paralisi.

L’opinione del neurologo
«Si tratta senza alcun dubbio – ha dichiarato Gabriele Siciliano, neurologo del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Pisa – di un risultato di notevole importanza che sopraggiunge in un settore della ricerca biomedica, in particolare quello neurofisiologico-riabilitativo-computazionale e protesico, in cui già da diversi anni si erano sviluppati interessi e investite risorse in tal senso. E questo non solo nel campo della disabilità motoria, ma anche in altri tipi di gravi disabilità, come la cecità.
A parte le problematiche squisitamente tecniche, il maggiore ostacolo concettuale che questi studi avevano incontrato finora era rappresentato dalla difficoltà di poter rilevare segnali bioelettrici, generati da cellule nervose, capaci di dare una rappresentazione affidabile, opportunamente decodificata, di un’attività motoria o sensoriale utilizzabile per il risultato voluto, quando lo stesso è impossibile attraverso le periferiche fisiologiche, interrotte dal processo patologico causa della disabilità.
Immagine grafica, con un dito puntato che esce dal computerIl segnale bioelettrico generato dalla corteccia cerebrale di una data area corticale, relativamente a un determinato compito “mentale”, è il risultato dell’elaborazione di complessi circuiti cellulari che coinvolgono un numero impressionante di neuroni e che sottendono anche il funzionamento di tutte le altre componenti cellulari non neuronali presenti nel tessuto nervoso.
L’enorme numero di variabili che in diverso modo giocano su tali processi rende estremamente difficile interpretare in modo univoco, per poi utilizzarlo ai fini preposti, il messaggio generato dalla corteccia cerebrale [BrainGate è piuttosto ingombrante e la qualità del suo segnale varia a seconda del paziente e della giornata. Per ora Matthew è in grado di scrivere quindici parole al minuto, N.d.R.].
E tuttavia, il risultato ottenuto da questi ricercatori – una prestazione motoria robotizzata corrispondente a quella mentalmente elaborata dal paziente – può essere considerato un punto di riferimento per lo sviluppo di ulteriori ricerche tese soprattutto a modellizzare attività della corteccia cerebrale in grado di produrre elaborati bioelettrici neurofisiologici corrispondenti a determinate prestazioni della vita relazionale e utilizzabili in quest’ottica nei casi di disabilità motoria suscettibili di un tale intervento». 

Altri esperimenti
L’esperimento su Matthew Nagle si inserisce in una serie di ricerche attualmente diffuse in tutto il mondo e atte a coordinare le potenzialità del computer con l’utilizzo del corpo umano, attraverso la costruzione di BCI (Brain Computer Interfaces), di cui il BrainGate è appunto un esempio.
Gli studi sono per lo più coordinati in America dalla DARPA (Defence Advanced Research Projects Agency), l’agenzia di ricerche finanziata dal Pentagono che ha stanziato quasi 24 milioni di dollari a questo scopo. L’Unione Europea ha a propria volta attivato i FET (Future and Emerging Technologies), programmi specifici di finanziamento alla ricerca.
Diversi scienziati stanno raggiungendo risultati simili a quelli del gruppo della Cybernetics, con topi che trovano l’uscita di un labirinto grazie a impulsi ricevuti nel cervello tramite un microchip, scimmie che si nutrono con un braccio meccanico che comandano sempre grazie a un sensore impiantato nella corteccia cerebrale.
E c’è anche chi sta percorrendo esperimenti meno invasivi, tramite la stimolazione magnetica transcranica, basata sull’applicazione di campi magnetici di breve e potente durata, in grado di alterare temporaneamente alcune funzioni cognitive, grazie ai quali, ad esempio, pazienti colpiti da ictus all’emisfero cerebrale destro potrebbero migliorare il loro deficit.
Altro esperimento non invasivo è infine quello che utilizza un casco di elettrodi capaci di trasmettere le onde celebrali a un computer.

Nascita della neuroetica
Nel marzo di quest’anno, il direttore del Laboratorio Nazionale di Nanotecnologie di Lecce, Roberto Cingolani, intervistato dall’inserto «Affari e Finanza» del quotidiano «la Repubblica», aveva dichiarato: «Presto avremo l’uomo bionico, con un cervello metà umano e metà digitale». Secondo Cingolani, un microprocessore potrebbe collegare il nostro cervello a internet: «Le persone accederanno a tutta la conoscenza disponibile. A questo punto la scuola e l’università che oggi conosciamo saranno del tutto inutili (?)».
Fantascienza? Certo, le nuove frontiere della tecnologia applicata all’uomo aprono altrettanti dibattiti etici. Negli Stati Uniti nasce la disciplina della neuroetica che si interroga sulle implicazioni degli interventi meccanici nel cervello umano.
Per alcuni stiamo compiendo il primo passo verso il controllo del cervello umano. Per altri i problemi etici sarebbero soprattutto legati all’utilizzo delle nuove scoperte, che potrebbero servire a creare “super-uomini soldato”. La DARPA conta infatti di permettere ai piloti militari americani di controllare gli aerei con la forza del pensiero…

*Tratto da «DM», periodico nazionale della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), n. 159 (settembre 2006). Per gentile concessione di tale testata.

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