Quando la lingua fa male

Non è mai accettabile un linguaggio lesivo dell’immagine delle persone con disabilità e di conseguenza dei loro diritti. Ma lo è ancor meno quando ad utilizzarlo sono uomini politici, persone di cultura, appartenenti oltretutto a gruppi in genere molto attenti alle questioni legate ai diritti umani

Il demone dell'ignoranza, nella religione induista, si chiama Apasmara e su di lui, in questa immagine, danza il dio ShivaIn questi momenti in cui ricorrono e si rincorrono le manifestazioni per i quarant’anni dalla scomparsa di don Milani, mi vien da pensare ad un suo famoso adagio, che dice: «È solo la lingua che rende eguali». Soprattutto mentre scorro le pagine del «Corriere della Sera» di oggi…

A livello di linguaggio popolare, Ileana Argentin, delegato del sindaco di Roma per le Poltiche sulla Diabilità, commentava nel corso di un intervento pubblico: «Preferisco il tassinaro che non tira dritto, è cortese, mi facilita la salita, anche se magari mi chiama handicappata, rispetto a quello che magari mi appella come persona disabile, ma si vede lontano un miglio che se avesse potuto non mi avrebbe fatto salire!».
Un modo di pensare condivisibile, anche se personalmente non la vivo così. Rimanendo infatti nel campo  delle esperienze quotidiane, ogni volta che il barman attempato – prezioso testimone di una Roma ormai sparita – che spesso mi serve un caffè vicino all’ufficio, dà dell’handicappato alla metà dei suoi avventori, la mia reazione interiore non è proprio scanzonata…

Ma quando invece ad usare un linguaggio offensivo e lesivo dell’immagine e di conseguenza dei diritti delle persone con disabilità sono i nostri politici e parlamentari, laureati, che fanno belle letture e possono permettersi le offerte di un  Cultura poco accessibile, che alla faccia di don Milani  continua ad essere usata come “clava e strumento di potere”?
Dicevo. Leggendo il «Corriere della Sera» di oggi mi sono imbattuto nel seguente paragrafo: «Sarà pur vero che il ministro dell’Economia è autistico, come dicono scherzando a Rifondazione […]».
Nella Roma popolare che citavo, tanto cara ad uno dei suoi pochi sinceri cantori come Pier Paolo Pasolini, si direbbe «scherza su ‘sto cazzo»… 

Che un personaggio come Silvio Berlusconi si permetta di dare dell’«infermo mentale» a chi andrà a votare per Leoluca Orlando alle elezioni comunali di Palermo è quasi comprensibile. Del resto mentre molti gli rimproverano la sua discesa in campo (politico) e il non aver continuato a far bene solamente l’imprenditore, dal mio punto di vista sarebbe maggiormente da biasimare ciò che egli ha creato nella sua trentennale carriera imprenditoriale, portatrice di scorie più durature di quelle delle sue legislature.
Il “culto del bello e dell’apparire” è la negazione della disabilità comunemente intesa. Questo è il suo manifesto e uscite di tal genere sono nel suo DNA. Al massimo occorrerebbe scandalizzarsi del fatto che politici e giornalisti vari si sono sbracciati a commentare che «non è politicamente conveniente» dare del «malato mentale» ad un avversario politico, ma non a stigmatizzare la reale gravità di queste affermazioni.

Ma che un gruppo politico come Rifondazione Comunista, in genere molto molto attento alle questioni legate ai diritti umani e il cui ministro Paolo Ferrero proprio oggi su «Repubblica» parlava di livelli essenziali di assistenza in un quadro di estensione dei diritti, è veramente sbalorditivo.
Sono sicuramente molti in quel gruppo che sanno benissimo che le problematiche della disabilità intellettiva e relazionale non riguardano le candide dissertazioni musicali di un Cristicchi e dei Forum che organizza (dove si potevano leggere cose del  tipo: «Chi è il matto? Un poeta». Vabbè, un sacco de’ poesia a Serra d’Aiello, la vergognosa istituzione totale della Calabria, più volte denunciata anche su queste pagine!…).

La mia esperienza personale e di “militanza” è legata a realtà che afferiscono alle lesioni midollari, ma questo non mi fa perdere di vista il fatto che la sfida per l’integrazione oggi in Italia sia rappresentata dalle persone con disabilità gravi o gravissime, come ad esempio lo stesso autismo. Persone non in grado di rappresentarsi, che incontrano difficoltà spesso insormontabili nei percorsi di integrazione scolastica, che hanno bisogno di attenzioni affettive e assistenza per lunghi momenti della giornata, che probabilmente non potranno mai svolgere un lavoro.
Una vita dignitosa e possibilmente un poco gioiosa per tutti, questa è la sfida, per noi dell’associazionismo, ma anche per i politici, ai quali si richiede da anni l’attivazione di una rete integrata di servizi.

In conclusione, gli uomini politici non esternano mai scherzosamente sul Darfur. Non vedo cosa ci sia di scherzoso nel dare dell’«autistico» ad una persona, ministro o no che sia.

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