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All’interno dell’universo femminile*

Volto di donnaSe la situazione delle persone con disabilità è di svantaggio e di discriminazione, quella che le donne con disabilità vivono è di doppio svantaggio, perché vi si aggiunge anche la discriminazione derivante dalla loro condizione femminile.
Nella rivendicazione dei propri diritti, una donna con disabilità deve lottare fondamentalmente per due ragioni: da una parte la sua visibilità all’interno del contesto in cui vive, dal’altra la sua condizione di pari opportunità rispetto alle donne non disabili e agli uomini con disabilità.
Essere visibili vuol dire essere riconosciute come persone capaci e aventi diritto di esprimersi in ogni tipo di contesto: da quello familiare a quello scolastico, da quello sociale a quello professionale.
Si tratta di un Diritto Umano nel quale una donna con disabilità si sente violata nella sua intimità più profonda e interiore. Essa non si sente “vista” e ciò è strettamente legato all’idea presente nell’immaginario collettivo della bellezza femminile. In quanto portatrice di disabilità, viene considerata molto spesso una “donna mancata”, di cui viene messa in discussione la femminilità e con questa la sua scelta di procreare, educare e crescere i propri figli.

Nelle politiche delle donne, molto raramente ci si riferisce alle donne con disabilità – né a quelle capaci di rappresentarsi da sole, né a quelle che non lo sono – così come le leggi riguardanti le donne non presentano alcun articolo che affronti le loro problematiche. Molto spesso sono meno istruite e penalizzate nella ricerca di un lavoro.
Anche rispetto agli uomini con disabilità, all’interno dei contesti associativi, esse hanno meno opportunità di rivestire ruoli sociali di una certa responsabilità e meno possibilità di affermare una propria identità professionale cui dedicarsi al di fuori dalle mura domestiche, dove invece facilmente è riconosciuta la loro collocazione in linea con uno stereotipo che vuole la donna disabile come casalinga.

Bisogna però sottolineare un elemento di novità, rispetto ad altri contesti, che vede le donne con disabilità mettersi in dialogo con altre donne a loro vicine: le madri di persone con disabilità.
Attualmente le attività di cura e di assistenza sono a completo carico delle donne. Sono loro che all’insorgere delle difficoltà si informano e si attivano per trovare soluzioni. Sono sempre loro, inoltre, che, in mancanza di strutture e servizi adeguati, si accollano le responsabilità di cura, ciò che segna, in pratica, la loro uscita dal mercato del lavoro.
La presenza in famiglia di una persona con disabilità – in special modo con alti livelli di dipendenza – produce molteplici effetti sulle donne madri rispetto alla loro figura di donne, mogli e appunto madri. La loro maggiore difficoltà è data dall’impossibilità di sentire il proprio essere come persona, come donna; dover rinunciare alle ambizioni e alle aspirazioni, per dare spazio e tempo alle esigenze e ai bisogni dei propri figli con disabilità.

Molte volte queste donne madri colpiscono per la forza che trovano nella ricerca e nella mobilitazione di risorse necessarie a far fronte alla disabilità, rispondendo in maniera amorevole ai problemi, senza sentire la fatica del sacrificio, ma scegliendo liberamente e consapevolmente di mettersi da parte come persone, in nome di un benessere che possa essere vissuto dalla persona con disabilità nella quotidianità.
Forse dunque le donne con disabilità e le donne madri di donne e uomini con disabilità stanno avviando un processo lento, ma inarrestabile che parte dal riconoscere l’altra come persona, nonostante i conflitti e i rischi di svariate forme di violenza; un processo che pone come obiettivo l’incontro all’interno dell’universo femminile.

*Traccia dell’intervento tenuto a Milano, il 16 maggio 2007, durante l’incontro Donne e disabilità: percorsi di vita, organizzato dalla Provincia di Milano.

**Presidente del CND (Consiglio Nazionale sulla Disabilità).

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