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Collocamento obbligatorio e diritto prioritario alla riserva

Disegno dedicato alla Legge 68/99Il diritto alla riserva di una percentuale di posti alle persone con disabilità e agli orfani nei pubblici concorsi è stato un tema assai dibattuto, anche con esiti diversi, specie nel corso dell’ultimo anno.
Sino a pochi mesi fa, infatti, i cosiddetti “riservisti” si erano visti rifiutare di fatto il diritto alla riserva, garantito dall’articolo 3 della Legge 68/99. Ora, però, la Sezione Lavoro della Cassazione, con la Sentenza n. 19030 dell’11 settembre 2007, ha confermato quanto già emerso da una precedente Sentenza a Sezioni Unite (n. 4110 del 22 febbraio 2007), che aveva ribaltato l’orientamento giurisprudenziale della stessa Sezione Lavoro, espresso con la Sentenza n. 27600 del 29 dicembre 2006.
A distanza quindi di due mesi – dal dicembre del 2006 al febbraio del 2007 – si è verificato un radicale cambiamento di indirizzo, che era stato avviato da un Parere del Consiglio di Stato del 2000 e che reggeva inalterato da allora.

Il problema riguardava sostanzialmente l’interpretazione del già citato articolo 3 della Legge 68/99 sul diritto alla riserva di una percentuale di posti a favore delle persone con disabilità nei pubblici concorsi, quando i bandi prevedono la suddivisione degli aspiranti, e quindi degli idonei, in diversi successivi scaglioni, interni alla stessa graduatoria, relativi ai seguenti requisiti: 1. idonei in pubblici concorsi precedenti; 2. in possesso di abilitazione all’insegnamento; 3. privi di tale abilitazione.
Secondo i bandi l’Amministrazione non può nominare “pescando” dallo scaglione  successivo, se prima non ha esaurito i vincitori collocati in quello precedente.

Ebbene, sino al febbraio di quest’anno, le Supreme Magistrature erano sempre state dell’avviso che in sostanza l’unica graduatoria – in caso di suddivisione in scaglioni –  dovesse essere costituita da tre distinte graduatorie, operanti in ordine cronologico successivo.
Ne conseguiva dunque che ad esempio gli insegnanti aspiranti alla riserva, collocati nella “terza fascia delle graduatorie permanenti” e quindi nel “terzo scaglione” della graduatoria concorsuale, non potessero godere del diritto alla riserva, se prima non fossero stati esauriti tutti i due precedenti scaglioni.
In pratica, gli aspiranti alla riserva, collocati in terza fascia, avrebbero visto il posto di lavoro come un “miraggio”, anziché come diritto all’inserimento “mirato”.

Ora il recente nuovo orientamento della Cassazione ha definitivamente reso giustizia ai “riservisti”. Infatti la Corte non ha negato l’obbligo di attingere in successione ai diversi scaglioni, precisando però che, ai fini dell’applicazione delle riserve, i tre scaglioni fanno parte di un’unica graduatoria, non costituendo quindi tre graduatorie distinte e separate.
Ciò significa che se scatta il diritto ad un posto di riserva nella prima fascia, ma in essa e in quella successiva mancano aspiranti con questo requisito, presenti invece nella terza fascia, il primo di essi ha diritto a quel posto, proprio perché i tre scaglioni fanno parte di una stessa graduatoria.
Se ciò non fosse, come osservato correttamente dalla Cassazione, il  diritto alla riserva, che è garantito dalla legge e dalla Costituzione, a seguito anche di numerose sentenze della Corte Costituzionale, non potrebbe essere esercitato e verrebbe quindi violato.
A ben riflettere, si può dire che gli aspiranti non riservisti non possano sentirsi defraudati dai “riservisti”, poiché essi hanno partecipato ad un unico concorso la cui graduatoria viene suddivisa in tre scaglioni solamente per il rispetto del diverso peso dei requisiti posseduti da chi viene inserito nelle tre fasce; ma vi è un requisito legale e costituzionale superiore, il diritto alla riserva appunto, che sopravanza tutti gli altri.

In conclusione, però, la Cassazione, vista la complessità del problema, ha deciso di “compensare le spese di causa”, ovvero di obbligare ciascuna delle parti a pagare la propria quota. È questo un criterio eccezionale, previsto dal Codice, che si sostituisce a quello usuale, secondo cui la condanna alle spese di causa spetta alla parte soccombente.
E tuttavia, se il criterio eccezionale ha un senso nelle controversie tra privati, è singolare che esso venga applicato ad un privato cittadino che ha inteso far valere un proprio diritto “costituzionalmente protetto” – come dichiarato dalla stessa Cassazione – di fronte all’ostinata pervicacia dell’Amministrazione Pubblica che è stata sconfitta in tutti i gradi di giudizio. E quel privato cittadino, per i tre gradi di giudizio, ha dovuto affrontare una spesa non indifferente.
Non sembra corretto, quindi, in uno Stato di diritto con finalità sociali, costringere qualcuno a subire degli alti costi, solo per aver fatto valere un proprio diritto nei confronti dell’Amministrazione.

*Vicepresidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).

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