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I diritti non hanno handicap

Giampiero Griffo fa parte del Consiglio Mondiale di DPI (Disabled Peoples' International)«Non siamo tappezzeria, i diritti non hanno handicap»: lo ha dichiarato Giampiero Griffo, componente del Consiglio Mondiale di DPI (Disabled Peoples’ International), in uno dei primi interventi del sesto Convegno Internazionale La Qualità dell’integrazione scolastica, in programma a Rimini fino al 18 novembre, a cura del Centro Studi Erickson di Trento, ampiamente presentato nei giorni scorsi dal nostro sito.
Com’è ben noto ai nostri lettori, Griffo era a New York il 13 dicembre 2006, quando l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite decise di adottare in via definitiva la Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità, testo spartiacque a livello mondiale che cambia nella teoria il modo di guardare i problemi dei disabili, anche all’interno del mondo scolastico.

E come quell’importante documento, anche l’appuntamento di Rimini ha un carattere di spiccata internazionalità,  con i suoi 3.500 partecipanti – tra insegnanti e dirigenti scolastici – che vedono quest’anno l’intervento di delegazioni provenienti da El Salvador, dalla Bosnia e dalla Romania.
Sono invece 250 i relatori esperti del settore, tra i quali anche Edward De Bono, uno degli studiosi di primo piano a livello mondiale, nel campo del pensiero creativo.

Ad affrontare l’argomento della Convenzione, all’insegna dello slogan I diritti non hanno handicap, è stato anche Raffaele Iosa, ispettore scolastico dell’Emilia Romagna, che dopo aver richiamato il Governo Italiano ad una pronta ratifica del trattato [sulla questione segnaliamo il nostro testo di questi giorni Ratifica della Convenzione: quando il tempo diventa sostanza, disponibile cliccando qui, N.d.R.], assieme a Griffo ha scattato, dati alla mano, un’istantanea non certo esaltante sul panorama della disabilità italiana e mondiale, tra scuola, lavoro e società.
Un tema, la disabilità, che riguarda 50 milioni di cittadini dell’Europa comunitaria. Il 98% dei bambini dei Paesi poveri non hanno educazione scolastica, mentre in Italia il 76% delle persone con disabilità è disoccupato, a fronte di un tasso di disoccupazione ordinaria del 6,4%.
«Eppure il 40% dei ragazzi con disabilità consegue un diploma», ha sottolineato Griffo. «Non vorremmo dunque che la scuola fosse un’illusione e un parcheggio, visto che non c’è un passaggio diretto al mondo del lavoro. Non siamo più “speciali”: tutti abbiamo uguali diritti e gli insegnanti nelle scuole pubbliche si devono adeguare a questo nuovo principio, con percorsi di formazione».

A fare da apripista ai relatori nella sala plenaria gremita di insegnanti e dirigenti, è stato Dario Ianes, docente all’Università di Bolzano e uno dei massimi esperti in materia, nonché membro dell’Osservatorio sull’Integrazione Scolastica del Ministero della Pubblica Istruzione.
Aula di scuola vuota Dopo aver fatto il punto sulla situazione a trent’anni dall’introduzione in Italia della legge sull’integrazione scolastica dei ragazzi con disabilità, Ianes ha spiegato come in base ai primi esiti di una ricerca effettuata su un campione nazionale di duemila ragazzi, dall’asilo alle superiori [ne abbiamo riferito nell’ampio resoconto intitolato Una ricerca sulla qualità dell’integrazione scolastica, disponibile cliccando qui, N.d.R.], «solo il 50% dei genitori intervistati ammette che il loro figlio durante la lezione resta stabilmente in classe con gli altri ragazzi. Le cose, a macchia di leopardo, vanno meglio al nord. Tutto ciò non è certo un dato positivo. Bisogna lavorare per migliorare. E lo stiamo facendo: con il Ministero della Pubblica Istruzione abbiamo in gestazione un progetto di formazione degli insegnanti».

In Italia l’ultimo dato ufficiale stimato riferisce che gli studenti con disabilità “integrati” nella scuola pubblica (anno scolastico 2005-2006) sono 178.000. Nel 1998 erano 113.000. Gli insegnanti di sostegno, nel 2006, erano 91.000 (contro i 50.000 del ’98). Praticamente, dunque, un professore per ogni due alunni con disabilità.
Ma al di là dei numeri le cose non sono del tutto positive a livello di qualità dell’integrazione.
«Oggi la metà degli insegnanti – ha concluso Ianes – porta i propri ragazzi fuori dalle aule, in altre stanze. E questa non è integrazione. Spesso non c’è dialettica costruttiva con i titolari di cattedra. E non ce n’è a sufficienza nemmeno con i genitori. La formazione e la collaborazione tra gli attori in gioco è quindi lo snodo centrale che può portare alla conquista dell’indice di qualità dell’integrazione scolastica, perché ciò che non si rigenera, si degenera».

Tra i relatori della prima giornata si è distinto anche Gian Marco Marzocchi, presidente dell’AIDAI (Associazione Italiana Disturbi Attenzione e Iperattività), che ha delineato il quadro dell’uso di psicofarmaci e di interventi psicoeducativi per gli studenti.
Secondo recenti studi, nel 75% dei casi l’uso di psicofarmaci (il più diffuso è il Ritalin, il cui principio attivo è la dopamina) risulta efficace. La maggioranza dei genitori li ritiene però «poco accettabili».
In base ad esperimenti eseguiti negli Stati Uniti su seicento bambini, la miglior efficacia si ottiene con la terapia coordinata, unendo la psicoterapia e la farmacologia.

Da segnalare infine l’intervento di Italo Fiorin della Libera Università Santa Maria SS. Assunta di Roma, membro dell’Osservatorio Disabilità del Ministero della Pubblica Istruzione, che si è soffermato sulla nuova politica ministeriale per l’integrazione scolastica.
Per Fiorin gli obiettivi da perseguire sono soprattutto la formazione e la continua interazione tra insegnanti, dirigenti e genitori. «La scuola – ha dichiarato infatti – dev’essere una comunità educativa e inclusiva, non un’azienda».
(Sara Modena)

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