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L’integrazione tra qualità e spesa pubblica

Bimbo in carrozzina con insegnante a scuolaCom’è ben noto a chi segue i nostri periodici approfondimenti su queste colonne, a seguito dell’articolo 35, comma 7 della Legge Finanziaria 289/02, nel 2006 è stato emanato il Decreto del Presidente del Consiglio (DPCM) 185/06 che nel ribadire i criteri di certificazione di handicap ai fini scolastici, ha trasferito ad una non meglio individuata «commissione collegiale» il medesimo compito di certificazione prima attribuito al singolo specialista nella patologia segnalata.
Ciò ha determinato numerose lamentele, soprattutto perché le nuove commissioni, diverse nelle varie Regioni, hanno ridotto il numero delle certificazioni, specie nei confronti dei cosiddetti “disturbi specifici dell’apprendimento”.

Personalmente, contro l’applicazione del DPCM 185/06 ho scritto più di un articolo critico. Gli aspetti problematici che ho però di volta in volta sollevato erano altri e cioè la mancata individuazione di una commissione con la stessa composizione in tutta Italia, la mancata fissazione di criteri di certificazione comuni in tutto il Paese, la mancata coincidenza delle nuove commissioni con le unità multidisciplinari che formulano la diagnosi funzionale le quali conoscono gli alunni e avrebbero quindi potuto evitare l’aumento del numero di visite mediche per lo stesso soggetto. Queste ultime, lo ricordiamo, dovrebbero altresì diminuire, come espressamente prescritto dalla Legge 80/06.
Anche l’aspetto della non certificazione dei casi di disturbi specifici di apprendimento era stato preso in considerazione da chi scrive, ma non come conseguenza del DPCM 185/06, bensì di una mancata attenzione al diritto allo studio di questi alunni e di un’errata applicazione della Legge quadro 104/92 sui diritti delle persone con disabilità.
Infatti, già tale norma stabiliva che essa dovesse esclusivamente applicarsi alle persone con handicap e cioè a quelle che, a causa di un evento traumatico o morboso, hanno subito «una minorazione stabilizzata o progressiva» (articolo 3, comma 1), mentre l’articolo 12, comma 5 della stessa, a proposito dell’integrazione scolastica, decretava che «all’individuazione dell’alunno come persona handicappata», seguissero la formulazione della diagnosi funzionale e del PEI (Piano Educativo Individualizzato).
Ora, dovendo l’«individuazione di persona handicappata» avvenire secondo i criteri di cui all’articolo 3, comma 1 appena citato e quindi solo in presenza di «una minorazione stabilizzata o progressiva», già dal 1992 il campo di applicazione della normativa e i destinatari della legge-quadro erano ben delimitati.
Certo, gli alunni con difficoltà di apprendimento non sono solo quelli che hanno cause di carattere sanitario – pari a circa il 2% di tutti gli studenti – essendovene un numero ben maggiore – circa cinque volte maggiore – costituito da persone con difficoltà di apprendimento dovute a cause personali, familiari, ambientali, sociali, etniche ecc. In mancanza di adeguate risorse nei confronti di questi ultimi, si è diffusa perciò la prassi di applicare anche a loro la Legge quadro sull’handicap, nominando insegnanti di sostegno a favore di persone che però non potevano giuridicamente qualificarsi con disabilità.
Il DPCM 185/06, intervenuto per contrastare questa “deriva applicativa”, è stato in realtà applicato nel modo peggiore, senza cioè una contemporanea predisposizione di strumenti didattici e di risorse umane e materiali che sostituissero quelle utilizzate con un uso improprio della Legge quadro.

Oggi che a causa dei tagli alla spesa pubblica ci si sta accorgendo di ciò, ci si rende conto che si apre un grandissimo vuoto nella scuola. Il Ministero della Pubblica Istruzione sostiene che a questi problemi di diritto allo studio debbano provvedere gli Enti Locali e non gli insegnanti per il sostegno che la legge prevede esclusivamente per le persone certificate come disabili.
Lo stesso Ministero, però, se ha ragione nel precisare che la Legge 104/92 si applica esclusivamente alle persone con disabilità, tace su altri obblighi che rimangono a suo carico anche nei confronti di alunni con difficoltà di apprendimento non riconducibili a cause sanitarie. Tace cioè sull’obbligo di formazione di tutti i docenti curricolari a saper trattare con ogni alunno con difficoltà e sulla necessità di non avere classi troppo numerose per realizzare questo impegno di tutti i docenti.
Bimba con disabilità con insegnantePurtroppo i confronti con l’Europa in ciò non ci aiutano, perché si dice che abbiamo un numero di alunni troppo basso per ogni docente, rispetto alla media continentale e quindi bisogna aumentare il numero degli alunni per classe. Si è però dimostrato che tale basso rapporto medio deriva fondamentalmente dalla presenza di un grandissimo numero di piccole classi in piccoli Comuni o in zone di montagna.
A questo punto, quindi, più che affollare ulteriormente le classi già numerose, frequentate anche da uno o più alunni con disabilità, occorrerebbe razionalizzare il numero di quelle piccole classi.

Il compito è difficile, come lo sarà quello voluto dalla recente Legge Finanziaria (244/07, articolo 2, comma 413), ovvero riequilibrare il rapporto alunni disabili-docenti di sostegno, spostando i posti dalle Province dove questo rapporto è più alto (1 a 1,5) verso quelle ove è più basso (1 a 3,5). Ciò significa che in alcune Province verrà ridotto il numero dei posti di sostegno in organico di diritto e aumentato in altre. Ma le Province che dovranno cedere posti accetteranno questa situazione senza battere ciglio?
I piccoli Comuni che saranno invitati a consorziarsi per garantire i trasporti ad una sola scuola intercomunale invece che a tante scuole comunali con piccole classi di sei o sette alunni, saranno disposti a farlo?

Tali problemi – affrontati però esclusivamente dal punto di vista della riduzione della spesa pubblica, senza alcun accenno alla qualità dell’integrazione scolastica degli alunni con disabilità e di quelli, oggi scarsamente tutelati, con difficoltà di apprendimento per cause non sanitarie – sono oggetto di alcune pagine del Quaderno bianco della scuola, presentato nel settembre del 2007 dal ministro Fioroni e del Rapporto intermedio sulla revisione della spesa, predisposto dalla Commissione Tecnica sulla Spesa Pubblica.
Sono questi in effetti i problemi la cui soluzione può dare risposte alla domanda di come realizzare la qualità della scuola. Se però nel cercare di risolverli, si puntasse esclusivamente ad un calcolo economico, si avrebbero risultati che ci avvicinerebbero sì ad altri Paesi europei in termini di risparmi apparenti, facendoci perdere però il primato nell’esperienza dell’integrazione scolastica, che quei Paesi non praticano come noi in modo generalizzato e facendoci tornare alla prassi delle scuole speciali o differenziali, che in quei Paesi sono la regola.

Con tutto ciò non si intende dire che nella prassi dell’integrazione scolastica da noi praticata non esistano talora sprechi di risorse, da eliminare, anche se quelli della “casta”, come hanno ampiamente documentato Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella nel loro ormai celebre libro, sono enormemente maggiori e bisognosi di una ben più urgente soppressione. Ma in ogni caso, per non essere qualunquisticamente tacciati di “antipolitica”, ne indichiamo senz’altro alcuni.
Si pensi ad esempio ai casi in cui ad alcuni alunni con disabilità complesse vengono assegnati un docente per il sostegno didattico con il rapporto di uno ad uno e un assistente per l’autonomia e la comunicazione per tutta la durata dell’orario scolastico.
Si pensi ai casi di permanenza pluriennale al termine dei vari gradi di scuola, per timore dell’ignoto dell’ordine di scuola successivo o dell’impreparazione dei docenti curricolari.
Aula scolastica con un alunno disabileSi pensi ai casi di ripetenze al termine della terza media o dell’ultimo anno di scuola superiore a causa di un mancato collegamento con i corsi di formazione professionale o di progetti personalizzati di integrazione sociale postscolastici.
Si pensi a quegli alunni che ottengono un cospicuo numero di ore di sostegno e che però svolgono attività riabilitative nelle stesse ore della presenza dei docenti per il sostegno.
Si pensi ancora ai casi in cui gli Enti Locali mettonmo a disposizione assistenti materiali alle scuole per supplire all’inadempienze di queste ultime nel fornire – a costi notevolmente minori – collaboratrici e collaboratori scolastici per l’assistenza materiale e igienica dedicata agli alunni con disabilità complesse, come espressamente prevede il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro della scuola che viene, per questa parte, regolarmente disatteso.
Si pensi infine ai casi crescenti di assegnazione – per sentenza della Magistratura – di docenti per il sostegno con il rapporto di uno ad uno e con la conseguente condanna dell’Amministrazione Scolastica alle spese e ai danni anche non materiali, a causa della mancanza di aggiornamento obbligatorio dei docenti curricolari nella didattica dell’integrazione.

Ebbene, per evitare tutti questi sprechi e puntare alla qualità dell’integrazione, occorrono un fitto dialogo e accordi interistituzionali volti ad individuare “indicatori di livelli essenziali di qualità dell’integrazione” e, conseguentemente, per razionalizzare la spesa pubblica e non viceversa; ma mi pare che ciò non avvenga ancora con la dovuta intensità.
Di recente l’INVALSI (Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema Educativo di Istruzione e di Formazione) ha pubblicato una ricerca sugli “indicatori di qualità dell’integrazione”, dalla quale risultano aspetti positivi, ma anche molte ombre, a quarant’anni dai primi casi di integrazione.
Cominciano pure a conoscersi i risultati di una ricerca sulla qualità dell’integrazione condotta da Andrea Canevaro, Luigi D’Alonzo e Dario Ianes che mette tra l’altro in evidenza come un buon 20% degli alunni con disabilità complesse non trascorra la giornata scolastica in classe, negando così gli obiettivi stessi dell’integrazione.
Eppure è proprio su questi aspetti che si gioca da una parte il futuro della qualità dell’integrazione scolastica, dall’altra quello dell’efficienza della spesa pubblica.

*Vicepresidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).

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