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L’antipolitica e il suo antidoto

Marina Profumo, Confusione, 2002Monta l’antipolitica. Da qualche mese a questa parte, infatti, non passa giorno che qualcuno non abbia qualcosa da rinfacciare alla classe politica che ci ha governato in questo ultimo decennio. E questo vale sia a livello nazionale che locale.
Le parole e i giudizi lapidari degli intervistati non danno scampo e accomunano buoni e cattivi senza alcuna distinzione. I toni della denuncia sono estremi, tanto quanto è profonda la frattura tra la vita della gente comune e quella della nostra classe dirigente, che viene amplificata impietosamente dai mass media.
Eppure in passato l’uomo aveva compreso che vivere assieme era conveniente, non foss’altro che per aumentare le probabilità di sopravvivenza; e l’ambiente naturale di allora era più ostile e minore era la disponibilità di conoscenze e mezzi per migliorarlo. La solidarietà, più che una virtù, era una necessità e faceva parte della normalità della vita di tutti i giorni.
A conferma di ciò alcuni sociologi hanno trovato una motivazione alla differenza fra il regime di welfare vigente in Canada – molto più solidale rispetto a quello degli Stati Uniti – proprio nelle condizioni di vita molto più dure per la popolazione di quel Paese tanto vicino al Polo Nord.

Oggi siamo “condannati all’autosufficienza”. Con la partecipazione democratica al voto, demandiamo la decisione di come sarà la nostra condizione se perdiamo la nostra autosufficienza: se estremamente cruda o mitigata da qualche provvedimento riparatore da parte della società.
Rispetto a quest’ultima considerazione, le derive particolaristiche ci preoccupano perché sono contrarie al mandato di rappresentanza degli interessi generali che abbiamo affidato ai nostri esponenti presso le Istituzioni della Repubblica quando abbiamo votato. Mandato che non consiste nel lottizzare, spartire, acquisire, scambiare, occupare, ricattare, ma nell’amministrare la “cosa pubblica” al meglio, in nome e per il bene del popolo italiano.
Così il termine antipolitica appare fuorviante e sembra creato ad arte da un sistema autoreferenziale che ha per obiettivo quello di depistare gli osservatori poco attenti.
Sarebbe più corretto parlare di antipotere, per evidenziare che chi denuncia il malaffare non è “un isolato carbonaro” che si prefigge di combattere la politica e quanto ad essa si rifà. Piuttosto, semmai, è vero il contrario: chi denuncia la distanza della politica dalla vita reale delle persone lo fa perché riconosce nella Politica, quella con la “P” maiuscola, la via privilegiata per costruire il bene comune e ne sente l’urgenza.

«Difficile permettersi il lusso di fare a meno della politica per i genitori di ragazzi con disabilità»...Ai giorni nostri fare a meno della politica è un lusso che non possiamo permetterci. Almeno noi genitori di ragazzi con disabilità. Quella che intendiamo per politica non è però collusione con il potere politico, ma mediazione tra l’ideale e il possibile, coinvolgendo tutti i contesti in cui vivono e vivranno i nostri figli. E questo “volando alti”, pensando in grande, pur mantenendo i piedi per terra.
Ce l’ha insegnato il professor Eric Schopler, scomparso quasi due anni fa [se ne legga in questo sito un ricordo, disponibile cliccando qui, N.d.R.], colui cioè che rivoluzionò letteralmente la storia dell’autismo e che noi, genitori più giovani, abbiamo potuto conoscere grazie alla determinazione dei dirigenti dell’ANGSA (Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici) e alla competenza del suo Comitato Scientifico.
Conosciamo Schopler per essere stato colui che ha demolito scientificamente, negli anni Sessanta del Novecento, la dilagante “teoria psicodinamica” che intravedeva nel comportamento autistico del bambino la conseguenza dello scarso affetto manifestato per lui dalla madre prima e dopo la nascita.
Ancora conosciamo Schopler per essere stato il fondatore e direttore della Division TEACCH (Treatment and Education of Autistic and related Communication-handicapped CHildren) la cui filosofia di intervento si riassume nel concetto di “presa in carico globale”, dove, dopo la diagnosi, segue un programma educativo personalizzato finalizzato al raggiungimento della massima autonomia e integrazione possibile.
E conosciamo Schopler anche grazie ai suoi libri, tra i quali ricordiamo Strategie educative nell’autismo e Attività didattiche per autistici (Editore Masson) e Autismo in famiglia (Erickson).
Quello che l’urgenza delle nostre vicende personali ci ha impedito di conoscere a fondo sono le strategie che Schopler ha adottato per sollecitare le istituzioni, la società civile e i politici della Carolina del Nord.
Chiediamo quindi a Carlo Hanau, docente di programmazione dei servizi sociali e sanitari dell’Università di Modena e Reggio Emilia, oltre che direttore della rivista «Il Bollettino dell’ANGSA», come Schopler ha costruito la sua Division TEACCH.

Eric Schopler, scomparso nel 2006, ha letteralmente rivoluzionato la storia stessa dell'autismo«Schopler – racconta Hanau – ha costruito la rete di servizi per la quale la sua Division TEACCH è diventata famosa in tutto il mondo, integrando i servizi dello Stato della Carolina del Nord in quello che in Italia si chiamerebbe un “accordo di programma”: scuola, servizi sociali, sanità, con l’apporto decisivo dei familiari delle persone autistiche i quali sono sempre stati per lui dei coterapeuti della massima importanza.
Schopler ha provveduto a costruire una strategia lungimirante per questi bambini, il cui futuro è una vita lunga quanto quella degli altri: bisogna infatti vedere il bambino nella prospettiva di quando diventerà adulto e anziano.
TEACCH significa strategia nella quale tutti gli operatori collaborano in una stretta alleanza finalizzata a migliorare le abilità del bambino e contemporaneamente ad adattare l’ambiente intorno a lui, per ridurre l’handicap che deriva dalla differenza fra quello che il soggetto è in grado di fare e quello che l’ambiente sociale intorno a lui richiede.
Per ottenere questo scopo, valendosi della sua cattedra universitaria, Schopler ha formato alla sua scuola un gran numero di esperti che oggi ne continuano l’opera anche dopo la sua morte. Nulla di tutto ciò si sarebbe potuto ottenere senza l’appoggio dei politici del suo Stato, che stanziando risorse e imponendo l’integrazione fra i vari servizi, sono riusciti ad ottenere grandi risultati, impiegando risorse relativamente più modeste di quelle che frequentemente vengono impiegate in Italia, in forma scoordinata e pasticciata, dato che molto spesso da noi manca il coordinamento e la specializzazione di cui i soggetti con autismo di ogni età hanno tanto bisogno.
Riteniamo pertanto che sia prioritario formare degli operatori, tipo case manager, che possano assumere il ruolo di coordinamento dei differenti servizi e che possano elaborare e verificare frequentemente l’esecuzione dei progetti di assistenza individuali, coinvolgendo anche i familiari, opportunamente formati, in una strategia educativa derivata dalle buone prassi fin qui sperimentate.
Un’esperienza del genere è stata condotta nel Lazio con il progetto Autismo ed Educazione Speciale, voluto dall’assessore regionale alle Politiche Sociali Alessandra Mandarelli e condotto dal sottoscritto come rappresentante dell’Università di Modena e Reggio Emilia, in collaborazione con esperti del TEACCH come Flavia Caretto di Roma [si legga nel nostro sito un’ampia scheda dedicata a questo progetto, cliccando qui, N.d.R.].
Sollecitare altri uomini politici ad assumere le loro responsabilità è l’antidoto all’epidemia dell’antipolitica che si va diffondendo nel nostro Paese ed è il modello che proponiamo ai genitori e alle loro associazioni locali».

*ANGSA Veneto ONLUS (Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici).

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