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La distrofia oculo-faringea

Esame elettromiograficoNell’ambito dei disturbi neuromuscolari, la distrofia oculo-faringea (OPMD, da Oculo-Pharyngeal Muscular Dystrophy) manifesta una relativa uniformità e tipicità dell’espressione clinica e istologica.
Ha carattere autosomico dominante – viene cioè trasmessa in linea diretta da un genitore affetto e ciascun figlio ha un rischio del 50% di ereditare la malattia – ed esordisce in genere nella quinta decade di vita, con abbassamento delle palpebre (ptosi), associato a disturbi della motilità degli occhi (oftalmoparesi) e della deglutizione. Può comparire anche debolezza degli arti, ma raramente la malattia comporta grave invalidità.
La diagnosi si basa soprattutto sulla biopsia muscolare, caratterizzata dai tipici vacuoli nelle fibre muscolari e dalle inclusioni filamentose nei nuclei.
L’affezione è causata da piccole espansioni trinucleotidiche (sequenza GCG) all’interno dell’esone 1 del gene della proteina poly(A)-binding 2 (PABP2), che ha sede sul braccio lungo del cromosoma 14 (14q11.1). Tale mutazione causa l’allungamento della regione N-terminale della proteina, che precipita nel nucleo e forma così i tipici filamenti intranucleari, insieme ad altri prodotti genici, tra cui abbondante mRNA poliadenilato.
La malattia presenta analogie patogenetiche con altre forme neurodegenerative da espansione di sequenze di polialanina o poliglutamina, che producono accumulo di proteine erroneamente configurate (misfolding) ad effetto tossico sulle cellule, come la distrofia miotonica di Steinert e la corea di Huntington.

Storia ed epidemiologia
La prima descrizione di una malattia familiare caratterizzata da compromissione dei muscoli della deglutizione associata a ptosi palpebrale risale al 1918 da parte di Taylor. In modo indipendente Amyot, un neurologo franco-canadese, descrisse la medesima affezione nel 1945 e solo nel 1962 Victor e collaboratori a Boston ne caratterizzarono l’espressione clinica e l’ereditarietà autosomica dominante, definendola per la prima volta come “distrofia muscolare oculo-faringea”. Da allora l’OPMD è stata segnalata ubiquitariamente in varie popolazioni mondiali, con una maggiore prevalenza tra le popolazioni franco-canadesi e tra gli Ebrei Bukhara.
Infatti, pur trattandosi di una malattia diffusa in tutto il mondo, esistono alcuni aggregati di più alta frequenza, che ne hanno permesso l’identificazione del locus e la caratterizzazione genetica. Grazie ad accurati studi di ricostruzione genealogica, è stato possibile risalire a distinte mutazioni originarie: la più antica sembra essere quella presente nei già citati Ebrei Bukhara, comparsa al tempo degli insediamenti di alcune tribù di Ebrei Persiani nelle oasi di Bukhara e Samarcanda tra il XIII e il XIV secolo, ai tempi di Gengis Khan.
Nelle popolazioni franco-canadesi, invece, la mutazione più frequente è stata ricondotta a tre sorelle francesi che nacquero a Niort in Francia nel 1648 e che migrarono poi a Quebec.
Mutazioni indipendenti sono state identificate quindi presso il popolo Cajun della Louisiana, nelle popolazioni ispaniche del New Mexico, in Giappone e in varie popolazioni europee.
La prevalenza in Europa viene stimata intorno ad un caso ogni 100.000 nati.

Caratteristiche genetico-molecolari
La distrofia oculo-faringea è caratterizzata da un peculiare meccanismo genetico-molecolare chiarito solo negli ultimi anni (1998); come già accennato, il gene interessato, il PABP2 (gene della proteina poly(A)-binding 2), presenta normalmente al proprio interno sei ripetizioni del trinucleotide GCG.
Nelle persone affette viene osservata un’espansione da otto a tredici sequenze GCG, con un corrispondente allungamento del tratto di polialanine della PABP2, che ne determina un erroneo ripiegamento.
L’espansione a sette ripetizioni non produce di per sé la malattia e viene osservata nel 2% della popolazione non affetta; quando è presente in omozigosi – ereditata cioè da tutti e due i genitori – si manifesta una forma intermedia della malattia, autosomica recessiva. Quando poi un genitore non affetto trasmette un’espansione a sette ripetizioni e l’altro genitore affetto ne trasmette una di nove o più, la manifestazione clinica (fenotipo) peggiora. La mutazione è stabile nelle varie famiglie e non presenta variabilità di espressione tessutale.
Il meccanismo patogenetico dell’OPMD è comune a quello di altre malattie neurodegenerative da espansione con accumulo di sequenze di polialanina (ad esempio la sindrome da ipoventilazione centrale, la displasia cleido-craniale, l’oloprosencefalia e altre sindromi malformative) o di poliglutamina (corea di Huntington, alcune atrofie spinocerebellari, atrofia dentato-pallido-rubro-luysiana) e viene studiato come possibile bersaglio terapeutico.
Microscopio elettronicoNel 2004 è stato creato un modello sperimentale animale in un topo transgenico che esprime una PABP2 mutata con tredici copie GCG, che presenta facile affaticabilità, alterazioni istologiche dei muscoli faringei e palpebrali e il tipico riscontro di vacuoli e inclusioni intranucleari.

Caratteristiche cliniche
La prima descrizione di una famiglia in Italia con distrofia oculo-faringea risale al 1975. Il quadro clinico della malattia è relativamente uniforme. L’esordio – come già detto – avviene di solito tra la quinta e la sesta decade di vita, ma sono segnalati anche casi con meno di trent’anni.
Nel 60-70% dei casi il primo segno è l’abbassamento delle palpebre – in genere asimmetrico – associato nel 50% circa dei casi a limitazione dell’escursione dei movimenti oculari senza sdoppiamento della visione, seguito a distanza variabile da disturbi della deglutizione.
La compromissione dei muscoli dei cingoli – più spesso degli arti inferiori – è presente in modo variabile e compare più tardivamente; e tuttavia sono stati descritti rari casi esorditi proprio con debolezza prossimale (riguardante cioè i muscoli più vicini alla parte mediana del corpo).
La principale diagnosi differenziale è con le malattie della giunzione neuromuscolare (miastenia), con le malattie mitocondriali, con malformazioni vascolari e con altre patologie degenerative croniche del sistema nervoso centrale, con paralisi dei muscoli oculomotori.

Esami strumentali e di laboratorio
Il sospetto diagnostico – formulato sulla base della presentazione clinica ed eventualmente della storia familiare – va confermato dalle indagini strumentali, in primo luogo dalla biopsia muscolare.
I valori di CK [l’enzima creatinfosfochinasi, N.d.R.] possono essere normali o lievemente aumentati, mentre l’elettromiografia mostra alterazioni miopatiche, associate o meno a componenti neurogene.
L’esame istologico evidenzia – accanto ad alterazioni miopatiche aspecifiche in vario grado – fibre contenenti i tipici vacuoli “orlettati” (rimmed vacuoles). Sono anche descritte alterazioni morfologiche dei mitocondri e fibre COX-negative, mentre i dosaggi biochimici degli enzimi mitocondriali sono nella norma.
Con l’esame al microscopio elettronico si osservano le tipiche inclusioni dentro ai nuclei, consistenti in filamenti di 8,5 nanometri. L’analisi genetica, infine, può identificare la sequenza di espansione e confermare i casi dubbi.

Trattamento
La terapia curativa definitiva potrà derivare dai promettenti studi di terapia genica in corso anche per altre malattie da espansione, che mirano a contrastare gli effetti della poliadenilazione (ad esempio con blocco dell’RNA messaggero).
Per ora il principale intervento terapeutico è volto alla prevenzione delle complicazioni maggiori della malattia, cioè la disfagia e la ptosi palpebrale. Per quest’ultima è indicato l’intervento di blefaroplastica con sospensione frontale quando il campo visivo è limitato in modo significativo; alcuni pazienti utilizzano con successo piccoli cerotti palpebrali, i medesimi usati dai chirurghi plastici per ragioni estetiche.
Per quanto poi riguarda la disfagia – che va documentata con esame videofluorografico – è importante impostare una dieta alimentare di consistenza adeguata, associata ad esercizi specifici di competenza logopedica.
Nei casi più avanzati possono essere indicati la miotomia crico-tiroidea in casi selezionati oppure la gastrostomia percutanea (PEG).

Conclusioni
La diagnosi di distrofia oculo-faringea dev’essere sospettata in tutti i casi di insorgenza tardiva e lentamente progressiva di riduzione della rima palpebrale, associata o meno a limitazione dei movimenti oculari e/o debolezza in altri distretti, senza importante sdoppiamento della vista, con o senza disturbi della deglutizione.
La positività della storia familiare rafforza poi il sospetto diagnostico. Poiché l’esordio avviene in età più avanzata, talvolta patologia acquisite concomitanti possono confondere il quadro clinico e ritardare ulteriormente la diagnosi.

*Centro Malattie Neuromuscolari “P. Peirolo”, Dipartimento Neuroscienze Università di Torino. Testo tratto dal n. 164 (dicembre 2007) di «DM», periodico nazionale della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), qui riprodotto per gentile concessione di tale testata.

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