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Una macchina del tempo genetica

Alcuni ricercatori italiani e statunitensi hanno recentemente utilizzato per la prima volta una tecnologia genetica in grado di riprogrammare delle cellule mature, come i fibroblasti della pelle, in cellule staminali pluripotenti in grado di curare una malattia neurodegenerativa. Lo studio ha avuto successo sul morbo di Parkinson nel modello animale.
Le cellule così riprogrammate hanno caratteristiche paragonabili alle cellule embrionali staminali e pertanto possono, in generale, differenziarsi in qualsiasi tipo di cellula di tessuti e di organi adulti.

Cellule staminali La potenzialità terapeutica di queste cellule è assai vasta e applicabile a malattie che colpiscono organi molto diversi tra loro. Si tratta inoltre di una tecnologia che permette la derivazione di cellule pluripotenti direttamente da cellule del paziente (autologhe), che quindi non inducono rigetto immunitario una volta trapiantate.
Le cellule riprogrammate sono fortemente plastiche e versatili, comparabili alle cellule staminali embrionali; è dunque possibile che da esse possa arrivare una valida alternativa alle staminali ricavate da embrioni per alcune opzioni di cura.

Nel dettaglio, la tecnica consiste nel fare esprimere nei fibroblasti quattro geni-chiave (geni masters) delle cellule staminali embrionali. Ciò permette di “ringiovanire” i fibroblasti fino a farli ritornare ad essere cellule staminali riprogrammate, chiamate tecnicamente iPS (induced Pluripotent Stem Cells).
Le cellule iPS possiedono tutte le potenzialità delle cellule staminali embrionali pluripotenti: infatti proliferano in vitro per lungo tempo, differenziano in gran parte dei tipi cellulari, tra cui cellule del sangue, neuroni, astrociti, cardiomiociti e cellule pancreatiche. Cellule iPS possono essere derivate anche da fibroblasti umani adulti ottenuti da una biopsia cutanea.

Lo studio è stato condotto congiuntamente dal MIT (Massachusetts Institute of Technology) di Boston negli Stati Uniti e dall’Istituto San Raffaele di Milano.
In Italia il lavoro è stato interamente finanziato dalla Fondazione Telethon e realizzato da Vania Broccoli e Bruno Di Stefano. I risultati sono stati pubblicati qualche settimana fa dalla prestigiosa rivista internazionale «PNAS» («Proceedings of the National Academy of Sciences») e aprono una via alternativa e assai promettente per il reperimento e l’utilizzo delle cellule staminali.
La ricerca svolta negli USA e in Italia ha dimostrato, in particolare, la capacità delle cellule iPS di differenziare in modo efficiente in neuroni dopaminergici in vitro. Ciò significa che da fibroblasti della pelle, dopo riprogrammazione, è possibile ottenere neuroni dopaminergici, la cui perdita è la causa biologica dell’insorgenza del morbo di Parkinson.
I neuroni dopaminergici derivati da riprogrammazione di fibroblasti, una volta trapiantati in un modello animale ammalato di Parkinson, si sono dimostrati capaci di rimpiazzare quelli perduti e di attenuare in modo sensibile i disturbi motori tipici della malattia, permettendo un forte recupero funzionale.
Il prossimo obiettivo sarà quello di isolare fibroblasti da riprogrammare per ottenere cellule iPS da una biopsia cutanea del paziente colpito da Parkinson. I risultati di questo studio aprono dunque la strada all’isolamento di cellule staminali riprogrammate direttamente dai pazienti con il morbo di Parkinson.

La tecnica attuale di riprogrammazione non è ancora utilizzabile per le terapie mediche e necessita di alcuni progressi metodologici: se queste cellule saranno poi in grado di indurre dei benefìci importanti, lo si capirà solo nel corso dei prossimi anni.
Tutto fa però intravedere che presto queste cellule diventeranno un formidabile strumento per la cura di molte altre patologie, come il diabete (con la generazione di cellule-beta endocrine del pancreas), malattie del cuore (infarto, scompenso cardiaco, aritmie, con la generazione di cardiomiociti), della retina (con la generazione di fotorecettori), patologie dell’osso e della cartilagine. (Ufficio Stampa Telethon)

 

Le tappe della riprogrammazione genetica
di cellule differenziate adulte

Nell’agosto del 2006 il gruppo di ricerca giapponese guidato da Shinya Yamanaka (Kyoto University) aveva stupito la comunità scientifica, dimostrando per la prima volta che cellule differenziate adulte possono essere “ringiovanite” allo stadio iniziale di cellule staminali pluripotenti simili a quelle che si trovano nell’embrione precoce.
La tecnica usata viene chiamata “riprogrammazione genetica” e si basa sull’espressione di quattro geni (geni masters: Oct4, Sox2, Klf4, c-Myc) che da soli sono capaci di riportare indietro l’orologio biologico delle cellule agli stadi iniziali del loro sviluppo.
Si tratta di una vera e propria “macchina del tempo genetica” per cellule. Nessuno scienziato, fino ad allora, avrebbe mai pensato che con appena quattro geni fosse possibile letteralmente “cambiare la natura delle cellule”.
Tale scoperta ha aperto un campo di ricerca incentrato sullo sviluppo di un nuovo tipo di cellule staminali e dei meccanismi biologici alla base della riprogrammazione cellulare.
Negli ultimi due anni, poi, vi è stata una forte accelerazione, in particolare da parte dai gruppi del già citato Yamanaka (Giappone) e di Rudolf Jaenisch (USA), che hanno permesso di ottenere lo stesso tipo di cellule anche dall’uomo, tramite riprogrammazione di fibroblasti della pelle adulta.

Esistono tuttavia ancora delle problematiche importanti che al momento ne impediscono l’uso terapeutico. Prima di tutto l’uso di vettori retrovirali per esprimere il “cocktail genetico” può causare mutazioni non volute e potenzialmente avverse.
Inoltre, è possibile l’insorgenza di tumori dovuti alla rara eventualità della riattivazione dei geni riprogrammatori nelle cellule differenziate.
Attualmente, quindi, si sta lavorando per trovare soluzioni a questi problemi, ma esistono già strategie di nuova generazione che potrebbero evitare alcuni di questi effetti collaterali dannosi.
Gli attuali studi di riprogrammazione sono la naturale prosecuzione di quelli condotti nell’ultimo decennio sulle cellule staminali embrionali, senza i quali questa inattesa scoperta non sarebbe avvenuta.

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