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Sta in una «forbice molecolare» il segreto del metabolismo del ferro

Si conosceva il “peccato”, ma non il “peccatore”: oggi, invece, grazie al gruppo di ricerca coordinato da Clara Camaschella dell’Università Vita-Salute San Raffaele e dell’Istituto Scientifico Universitario San Raffaele di Milano, si chiude il cerchio sul funzionamento del principale meccanismo di controllo del ferro nel nostro organismo.
Preparato istologico epatico con emocromatosi I ricercatori hanno infatti scoperto che tutto si gioca quando una sorta di “forbice molecolare” taglia una proteina presente nel sangue chiamata emojuvelina.
La scoperta – frutto di uno studio finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR), dalla Fondazione Telethon e dai National Institutes of Health (NIH) statunitensi – è stata pubblicata on line dalla prestigiosa rivista internazionale «Cell Metabolism» ed è il frutto di una collaborazione con l’università americana dello Utah. Si aprono così prospettive interessanti per tutte le malattie associate ad alterazioni del ferro, come l’anemia o l’emocromatosi.

Ogni giorno il nostro intestino assorbe ferro dagli alimenti, in quantità strettamente controllata a seconda delle necessità.
Molti aspetti della regolazione del ferro sono emersi studiando l’emocromatosi, una malattia genetica caratterizzata da un accumulo eccessivo di ferro, a causa di un problema proprio nel meccanismo di controllo.
Oggi si sa che la stazione di controllo si trova nel fegato, che rilascia nel sangue un particolare ormone, chiamato epcidina, in modo proporzionale alla quantità di ferro presente nell’organismo: quando c’è molto ferro, l’epcidina “ordina” all’intestino di non assorbirlo dagli alimenti e viceversa.
Ma come fa l’epcidina a essere così “intelligente”? È l’ormone stesso a essere finemente regolato da sensori del ferro posti nel fegato e in grado di attivare o meno la produzione di epcidina a seconda della necessità. Quando i sensori non funzionano – come avviene nell’emocromatosi – i livelli di epcidina restano costantemente bassi: all’intestino arriva quindi un comando continuo di assorbire il metallo, che si accumula così nell’organismo e induce gravi danni.

Quello che finora non era del tutto chiaro era come l’epcidina fosse a sua volta regolata. Studi recenti avevano identificato nel topo una sorta di “forbice molecolare” presente nel fegato: quando questo meccanismo non funzionava, l’epcidina aumentava. Restava da capire, però, che cosa venisse effettivamente “tagliato” dalla forbice.
Ed è proprio qui che entra in gioco il gruppo di Clara Camaschella: tale lavoro dimostra infatti che la forbice taglia una proteina chiamata, come detto, emojuvelina, che è il principale attivatore di epcidina.
La scoperta chiarisce notevolmente le idee ai ricercatori che studiano la regolazione del ferro, riconducendola a un unico meccanismo: l’attivazione o l’inibizione di epcidina mediata da emojuvelina. Inoltre i risultati dimostrano che si tratta di un meccanismo molto conservato nel corso dell’evoluzione e quindi fondamentale per la vita.

Il prossimo passo sarà ora quello di capire che cosa regola la “forbice”: proprio quest’ultima, infatti, potrebbe diventare un ottimo bersaglio terapeutico nel caso di diverse malattie associate ad alterazioni del ferro: anemia da mancanza di ferro, emocromatosi, talassemie.
Non solo: in varie malattie croniche infiammatorie, infettive, renali, tumorali o cardiache, si riscontra una forma di anemia che dipende in parte da un eccesso di epcidina. E ancora, alcuni soggetti anemici sono refrattari al trattamento di ferro somministrato per bocca: si è già capito che in alcuni casi è l’eccesso di epcidina, per alterazioni della forbice, a creare il problema.
(Ufficio Stampa Telethon)

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