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Va riconosciuto il ruolo sociale di queste famiglie

Il presidente della Commissione Sanità del Senato Ignazio MarinoOnorevole  Dott. Marino, traendo spunto dai recenti fatti di cronaca e dai pronunciamenti della Magistratura che sembrano rendere ormai ineludibile una regolamentazione del cosiddetto “testamento biologico”, vorremmo farle pervenire anche la voce delle nostre famiglie, dedite da decenni all’assistenza dei loro congiunti gravissimi.

Il primo punto che vorremmo sottoporre alla sua attenzione è che – nonostante le moltissime voci levatesi a favore o contro la possibilità di rifiutare cure essenziali per la permanenza in vita dei più gravi – quasi nessuno abbia ricordato l’importanza di migliorare la qualità di vita delle famiglie che assistono a domicilio persone in stato vegetativo o comunque gravissime.
Queste migliaia di famiglie, oltre a garantire alle finanze pubbliche elevatissimi risparmi, evitando costosi ricoveri (risparmi spesso pagati con l’abbandono dell’attività lavorativa da parte di uno o anche di entrambi i genitori), garantiscono ai loro cari le migliori condizioni di vita possibile.
Migliorare la qualità di vita delle famiglie dei gravissimi significa supportarle adeguatamente da un punto di vista legislativo, organizzativo e finanziario. Ad esempio, riconoscere a uno dei genitori la possibilità di un pensionamento anticipato a fronte del continuo impegno assistenziale; creare o migliorare una rete di assistenza domiciliare integrata; concedere sgravi fiscali sui notevoli costi economici sopportati.
Provvedimenti come questi permetterebbero alle nostre famiglie di sentirsi riconosciuto il loro importante ruolo sociale e, soprattutto, di dedicarsi più serenamente all’assistenza dei loro cari.

Non desideriamo entrare strettamente nel merito del cosiddetto “testamento biologico”. Tra di noi, come nel resto della società, esistono posizioni diverse sul riconoscimento del diritto al rifiuto ai trattamenti medici o di cura primaria che permettono l’esistenza in vita dei più gravi.
Riteniamo però che provvedimenti tanto gravi e definitivi possano essere applicati solo a seguito di inequivocabili riscontri scientifici e strumentali sullo stato di salute della persona e sulla sua prognosi. Le attuali definizioni di “stato vegetativo permanente” e di “coma irreversibile” non sembrano però fornire adeguate garanzie in tal senso.
Riteniamo inoltre – anche per numerose esperienze personali – che non sia giudicabile dall’esterno l’esistenza o l’intensità delle sensazioni provate dalla persona in stato cosiddetto vegetativo. Crediamo sia profondamente disumano “lasciar morire” una persona per fame e sete (molti dei nostri cari vivono da anni, alcuni con una buona qualità di vita, grazie a sonde e stomie che permettono un’alimentazione per via sostitutiva), in assenza della certezza delle sensazioni che tali privazioni possono provocare (avvertire non significa poter palesare).
In generale, le nostre perplessità al riguardo sono sostanzialmente quelle espresse al Procuratore Generale della Corte d’Appello di Milano e alla massime Autorità della Repubblica da un numeroso gruppo di neurologi nel luglio del 2008 [il testo cui si fa riferimento è visonabile cliccando qui, N.d.R.].

Concludendo, chiediamo che nelle discussioni in corso in Parlamento sia tenuto in debito conto il parere delle famiglie direttamente coinvolte, prevedendone la partecipazione nei processi decisionali; che l’accertamento delle condizioni di salute della persona interessata si basi su dati clinici oggettivi e inequivocabili; e che il ruolo del medico, certamente importantissimo ma non “sovrano”, non comprima il valore della scelta lecitamente e liberamente espressa dalla persona e dalla sua famiglia.

*Associazione Bambini Cerebrolesi.

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