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Convenzione: intanto cerchiamo di farla ratificare!

30 marzo 1977: Giampiero Griffo al fianco dell'allora ministro Paolo Ferrero, che firma la Convenzione per conto dell'ItaliaL’articolo pubblicato da Superando.it riguardante la ratifica della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità da parte dell’Italia, a firma di Mauro Perino, direttore del CISAP (Consorzio Intercomunale Servizi alla Persona) dei Comuni di Collegno e Grugliasco (Torino), mi dà l’occasione di puntualizzare e approfondire alcune questioni [il testo citato, intitolato Ratifica della Convenzione: alcune riflessioni, è disponibile cliccando qui, N.d.R.].

Gli emendamenti
Il primo elemento è quello dell’emendabilità della Convenzione, prevista dall’articolo 47 della stessa.
La Convenzione si inserisce nel quadro delle legislazioni sui diritti umani delle Nazioni Unite, il cui corpus è ricco di otto Trattati analoghi [se ne veda in calce l’elenco completo, N.d.R.]. Le Convenzioni Internazionali sui Diritti Umani – per evidenti prassi legate alla loro applicabilità universale – vengono approvate non a maggioranza, ma con il consenso della larghissima parte degli Stati (quella sulla disabilità è stata approvata all’unanimità, dal momento che il dissenso del Vaticano – che è solo uno Stato “osservatore” presso le Nazioni Unite e quindi senza diritto di voto – è stato formale) e dunque la possibilità di emendarle è prevista solo in sede dell’Assemblea delle Nazioni Unite (che le approva), attraverso le procedure definite appunto dall’articolo 47.
Il Parlamento Italiano può quindi emendare il Disegno di Legge di ratifica, ma non il testo della Convenzione, per cui andrebbero eventualmente attivate altre procedure e in ogni caso solo dopo la ratifica. E poiché la Convenzione è stata scritta insieme alle organizzazioni delle persone con disabilità (collaborazione riconosciuta dal Governo Italiano, che durante le discussioni del Comitato Ad Hoc aveva alcuni advisor provenienti dai due Consigli Nazionali sulla Disabilità dell’epoca, all’interno della propria delegazione ufficiale trattante, senza dimenticare che, all’atto della firma della Convenzione, il Governo si fece accompagnare da due rappresentanti delle medesime organizzazioni), le eventuali proposte di emendamenti dovrebbero essere discusse proprio con queste organizzazioni italiane, prima di essere sottoposte alle procedure delle Nazioni Unite.
Intanto, però, prima di pensare di emendare la Convenzione, vediamo di farla ratificare!

Definizione di disabilità
Una seconda precisazione è quella relativa alla definizione di disabilità. L’Autore dell’articolo da me chiamato in causa fa riferimento alla «sequenza che secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità può portare dalla menomazione all’handicap». Tale sequenza – che fu posta in evidenza proprio dall’OMS nella Classificazione Internazionale della Menomazione della Disabilità e dell’Handicap (ICIDH del 1980), è ormai superata dall’ICF (Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della salute, 2001). E la classificazione dell’80 è stata criticata in quanto ritenuta falsamente deterministica: infatti, proprio perché la condizione di funzionamento di un essere umano diventa disabilità solo a determinate condizioni (ad esempio una persona cieca a uno sportello informativo non è disabile se le vengono fornite informazioni scritte in formato elettronico o braille), la stessa parola handicap non viene più utilizzata, sottolineando che in condizioni di disabilità non c’è una negatività soggettiva della persona che ha limitazioni funzionali, ma una restrizione di alcune attività prodotte da fattori ambientali, sociali e personali, che hanno come conseguenza limitazioni alla partecipazione sociale.
La Convenzione, con la sua definizione di disabilità (punto e del Preambolo, ove si parla di «risultato dell’interazione tra persone con menomazioni e barriere comportamentali ed ambientali, che impediscono la loro piena ed effettiva partecipazione alla società su base di uguaglianza con gli altri»), arricchisce ulteriormente il modello di disabilità dell’ICF, fermo alle barriere fisiche, introducendo il tema del rispetto dei diritti umani e quindi dei trattamenti discriminatori («piena ed effettiva partecipazione alla società su base di uguaglianza con gli altri», sostanziata poi dall’articolo 5 e dalla definizione di questa discriminazione basata sulla disabilità inclusa nell’articolo 2) e dell’empowerment (rafforzamento delle capacità e ri-acquisizione di potere, previsti dall’articolo 26, Abilitazione e riabilitazione e dall’articolo 4, comma 3, che sottolinea come «nell’elaborazione e nell’attuazione della legislazione e delle politiche da adottare per attuare la presente Convenzione, così come negli altri processi decisionali relativi a questioni concernenti le persone con disabilità, gli Stati Parti operano in stretta consultazione e coinvolgono attivamente le persone con disabilità, compresi i minori con disabilità, attraverso le loro organizzazioni rappresentative»).
25 agosto 2006: al Palazzo di Vetro si applaude, dopo l'approvazione della ConvenzionePer cui la definizione di disabilità e di persona con disabilità contenuta nella Convenzione rappresenta sicuramente un ulteriore passo avanti nel processo di trasformazione della visione sulle persone con disabilità che la società ha costruito sulla base di trattamenti inappropriati, discriminatori e violatori di diritti umani.
E proprio perché la «disabilità è un concetto in evoluzione» la Convenzione si apre ad ampliare il riconoscimento delle responsabilità istituzionali e sociali per la condizione di disabilità, permettendo anche a Paesi dove il concetto di disabilità non è ancora adeguatamente compreso e tenuto in debito conto nelle politiche e nelle legislazioni, di evolversi verso una moderna azione di rimozione delle  «barriere comportamentali ed ambientali» che la producono.

Proprio il riconoscimento della titolarità di tutti i diritti umani a tutte le persone con disabilità rappresenta dunque un nuovo campo di riflessione e di azione (la Convenzione è una legge internazionale e quindi fortemente vincolante per tutti i Paesi che la ratificano, visto che ha potere cogente rispetto alle legislazioni nazionali).
In essa l’attenzione si sposta dai bisogni – a cui tradizionalmente sono legate le politiche indirizzate alle persone con disabilità, spesso relegate alle politiche sociali e sanitarie – ai diritti, a tutti i diritti, di cui sono competenti tutte le aree di intervento legislativo, politico, tecnico e culturale della società.
Semmai il “problema italiano” è quello di una grande confusione nell’uso dei linguaggi legati alle persone con disabilità: legislazioni basate su modelli di disabilità differenti convivono (pensiamo alla Legge 118/71 e alla Legge 104/92); operatori dei mass media che ritengono che gli aggettivi – spesso negativamente soggettivati, come invalido, disabile, handicappato – siano equivalenti, o che – peggio ancora – ricorrono a termini “buonisti” come diversamente abile, dove si cancella la discriminazione e, come è avvenuto negli ultimi anni, anche le responsabilità della società per la nostra condizione.
La necessità di garantire, in uguaglianza di opportunità, l’accesso a tutti i diritti e servizi (ricordiamo che la Convenzione si occupa di 650 milioni di persone con disabilità e che la gran parte di essi vivono nei Paesi in cerca di sviluppo), tra cui quello ai servizi sanitari e sociali, è la base del principio di non discriminazione previsto per tutti gli articoli del testo.
L’esigibilità dei diritti – problema essenziale per l’Italia, a mio avviso – potrebbe essere rafforzato dalla Convenzione, proprio utilizzando in maniera intelligente il principio di uguaglianza e di non discriminazione dell’articolo 5, collegandolo con quello di «accomodamento ragionevole», pena il configurare una discriminazione sulla base della disabilità (articolo 2).

La disabilità intellettiva
Anche il tema della disabilità intellettiva va meglio precisato. Intanto pure qui vanno utilizzati in contesti appropriati i termini sanitari che descrivono le patologie – ad esempio insufficienza mentale – cercando di non produrre confusione tra la definizione di patologie e la definizione di persone, come già Franco Basaglia ricordava nelle sue Lezioni Brasiliane: ridurre una persona alla sua patologia è una violazione di diritti umani.
L’altro elemento – forse il più rivoluzionario della Convenzione – è che i diritti umani si applicano a tutte le persone con disabilità. In tal senso l’articolo 12 del Trattato (Uguale riconoscimento dinanzi alla legge) rappresenta un punto di svolta e non a caso è stato il più controverso nella discussione al Comitato Ad Hoc, con forti resistenze da parte di Paesi come la Cina e la Russia che hanno sistemi di trattamento estremamente istituzionalizzanti e manicomiali per le persone con disabilità.
Il riconoscimento che – anche in presenza di un’incapacità a rappresentarsi da soli e quindi della necessità di trasferire a terzi la capacità giuridica (in Italia questo avviene quando vi è un tutore o un amministratore di sostegno) – siano garantiti i diritti umani della persona («tutte le misure relative all’esercizio della capacità giuridica forniscano adeguate ed efficaci garanzie per prevenire abusi in conformità alle norme internazionali sui diritti umani») è profondamente innovativo.
Questa impostazione mette infatti in discussione le tradizionali forme di tutela. In altre parole ci si può chiedere: rappresenta una forma di tutela dei diritti umani inviare una persona con disabilità in un istituto? Ed è preferibile l’assegnazione della rappresentanza legale di una persona in acuzie psichiatrica a un medico finché non sia guarita, oppure farla rinchiudere spesso a vita in un manicomio, come avviene ancora nella maggioranza dei Paesi del mondo? E ancora, la tutela di chi non può rappresentarsi da solo si può limitare a quella del suo patrimonio e della sua custodia o deve anche comportare il prendersi cura dei suoi diritti umani, senza discriminazioni nei confronti di altre persone?
Applicare i diritti umani a tutti, in particolare alle persone con disabilità intellettiva, è dunque un altro dei campi di lavoro che il movimento deve approfondire per migliorare la qualità di vita e l’accesso a diritti prima di oggi letteralmente cancellati a quelle persone.
Non a caso nel suo Preambolo – che è la base interpretativa del testo vero e proprio – la Convenzione sottolinea la «necessità di promuovere e proteggere i diritti umani di tutte le persone con disabilità, incluse quelle che richiedono un maggiore sostegno», ponendo l’attenzione non tanto ad una categorializzazione tassonomica spesso discriminatoria (grave, gravissimo), presente nel linguaggio di tanti operatori, quanto alle responsabilità della società nei riguardi di persone che richiedono particolari qualità del prendersi cura di loro.

Sono grandi le novità e le opportunità offerte dalla Convenzione per colmare un solco «storico»Per quanto riguarda infine le osservazioni relative a singoli diritti applicati alle persone con disabilità intellettiva (articolo 27, Lavoro e occupazione; articolo 24 Educazione), all’articolo 4, comma 4 si prevede che «nessuna disposizione della presente Convenzione può pregiudicare provvedimenti più favorevoli per la realizzazione dei diritti delle persone con disabilità, contenuti nella legislazione di uno Stato Parte o nella legislazione internazionale in vigore per quello Stato», per cui, qualora esistano legislazioni più favorevoli (come in Italia ad esempio la Legge 68/99), queste vanno conservate e applicate, come purtroppo spesso non avviene in Italia.

Prevenzione
Anche sulla prevenzione della disabilità, l’articolo 25 ricorda che gli Stati «riconoscono che le persone con disabilità hanno il diritto di godere del migliore stato di salute possibile, senza discriminazioni fondate sulla disabilità». A tale scopo gli Stati stessi «adottano tutte le misure adeguate a garantire loro l’accesso a servizi sanitari» e forniscono «alle persone con disabilità i servizi sanitari di cui hanno necessità proprio in ragione delle loro disabilità, compresi i servizi di diagnosi precoce e di intervento d’urgenza, e i servizi destinati a ridurre al minimo ed a prevenire ulteriori disabilità».
Nel successivo articolo 26 – realmente rivoluzionario – vengono estesi gli interventi in favore delle persone con disabilità, dal campo prevalentemente sanitario, come ancora percepisce una cultura diffusa dei servizi italiana, a «servizi e programmi complessivi per l’abilitazione e la riabilitazione, in particolare nei settori della sanità, dell’occupazione, dell’istruzione e dei servizi sociali», in modo che «abbiano inizio nelle fasi più precoci possibili e siano basati su una valutazione multidisciplinare dei bisogni e delle abilità di ciascuno; facilitino la partecipazione e l’integrazione nella comunità e in tutti gli aspetti della società, siano volontariamente posti a disposizione delle persone con disabilità nei luoghi più vicini possibili alle proprie comunità, comprese le aree rurali».

In conclusione, il dibattito sulla Convenzione – che in questa fase è importante si concentri sulla sua rapida ratifica – è senz’altro degno dei necessari approfondimenti sui nuovi approcci ai temi in essa trattati, superando però vecchie impostazioni e cogliendo tutte le novità che il testo propone, anche a Paesi che si ritengono avanzati come il nostro.

*Componente dell’Esecutivo Mondiale di DPI (Disabled Peoples’ International).

Le Convenzioni ONU e l’Italia
– Patto internazionale sui diritti civili e politici
(Stati Parte 160)
Aperta alla firma: 16 dicembre 1966 (Primi firmatari 35)
Entrata in vigore: 23 marzo 1976
Firma dell’Italia: 18 gennaio 1967
Ratifica dell’Italia: 15 settembre 1978
– Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali
(Stati Parte 155)
Aperta alla firma: 16 dicembre 1966 (Primi firmatari 35)
Entrata in vigore: 31 gennaio 1976
Firma dell’Italia: 18 gennaio 1967
Ratifica dell’Italia: 15 settembre 1978
– Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale (Stati Parte 176)
Aperta alla firma: 7 marzo 1966 (Primi firmatari 27)
Entrata in vigore: 4 gennaio 1969
Firma dell’Italia: 13 marzo 1968
Ratifica dell’Italia: 5 gennaio 1976
– Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna (Stati Parte 185)
Aperta alla firma: 18 dicembre 1979 (Primi firmatari 20)
Entrata in vigore: 3 settembre 1981
Firma dell’Italia: 17 luglio 1980
Ratifica dell’Italia: 10 giugno 1985
– Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (Stati Parte 144)
Aperta alla firma: 10 dicembre 1984 (Primi firmatari 20)
Entrata in vigore: 26 giugno 1987
Firma dell’Italia: 4 febbraio 1985
Ratifica dell’Italia: 12 gennaio 1989
– Convenzione sui Diritti del Fanciullo
(Stati Parte 193)
Aperta alla firma: 20 novembre 1989 (Primi firmatari 20)
Entrata in vigore: 2 settembre 1990
Firma dell’Italia: 26 gennaio 1990
Ratifica dell’Italia: 5 settembre 1991
– Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità
Aperta alla firma: 30 marzo 2007
Entrata in vigore: 3 maggio 2008
Firma dell’Italia: 30 marzo 2007
Ratifica dell’Italia: ?

 

La Convenzione sulla Disabilità nel mondo:
chi ha ratificato e chi non lo ha fatto
Ad oggi, 5 febbraio 2009, sono esattamente 47 i Paesi che hanno ratificato la Convenzione. Questo il loro elenco (in ordine cronologico di ratifica):
– Giamaica (30 marzo 2007) – Ungheria (20 luglio 2007) – Panama (7 agosto 2007) – Croazia (15 agosto 2007) – Cuba (6 settembre 2007) – Gabon (1° ottobre 2007) – India (1° ottobre 2007) – Bangladesh (30 novembre 2007) – Sudafrica (30 novembre 2007) – Spagna (3 dicembre 2007) – Namibia (4 dicembre 2007) – Nicaragua (7 dicembre 2007) – El Salvador (14 dicembre 2007) – Messico (17 dicembre 2007) – Perù (30 gennaio 2008) – Guinea (8 febbraio 2008) – San Marino (22 febbraio 2008) – Giordania (31 marzo 2008) – Tunisia (2 aprile 2008) – Ecuador (3 aprile 2008) – Mali (7 aprile 2008) – Egitto (14 aprile 2008) – Honduras (14 aprile 2008) – Filippine (15 aprile 2008) – Slovenia (24 aprile 2008) – Qatar (13 maggio 2008) – Kenya (19 maggio 2008) – Arabia Saudita (24 giugno 2008) – Niger (24 giugno 2008) – Australia (17 luglio 2008) – Thailandia (29 luglio 2008) – Cile (29 luglio 2008) – Brasile (1° agosto 2008) – Cina (1° agosto 2008) – Argentina (2 settembre 2008) – Paraguay (3 settembre 2008) – Turkmenistan (4 settembre 2008) – Nuova Zelanda (25 settembre 2008) – Uganda (25 settembre 2008) – Austria (26 settembre 2008) – Costarica (1° ottobre 2008) – Lesotho (2 dicembre 2008) – Corea del Sud (11 dicembre 2008) – Ruanda (15 dicembre 2008) – Svezia (15 dicembre 2008) – Oman (6 gennaio 2009) – Azerbaijan (28 gennaio 2009).

Per quanto riguarda invece il Protocollo Opzionale alla Convenzione (testo che consentirà al Comitato sui Diritti Umani delle Persone con Disabilità di ricevere anche ricorsi individuali – di singoli o di gruppi di individui – e di avviare eventuali procedure d’inchiesta), a ratficarlo sono stati finora i seguenti 27 Paesi:
– Ungheria (20 luglio 2007) – Panama (7 agosto 2007) – Croazia (15 agosto 2007) – Sudafrica (30 novembre 2007) – Spagna (3 dicembre 2007) – Namibia (4 dicembre 2007) – El Salvador (14 dicembre 2007) – Messico (17 dicembre 2007) – Perù (30 gennaio 2008) – Guinea (8 febbraio 2008) – San Marino (22 febbraio 2008) – Tunisia (2 aprile 2008) – Ecuador (3 aprile 2008) – Mali (7 aprile 2008) – Slovenia (24 aprile 2008) – Bangladesh (12 maggio 2008) – Arabia Saudita (24 giugno 2008) – Niger (24 giugno 2008) – Cile (29 luglio 2008) – Brasile (1° agosto 2008) – Argentina (2 settembre 2008) – Paraguay (3 settembre 2008) – Uganda (25 settembre 2008) – Austria (26 settembre 2008) – Costarica (1° ottobre 2008) – Svezia (15 dicembre 2008) – Azerbaijan (28 gennaio 2009).

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