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Sei chiavi per la scuola

I due protagonisti del progetto «Le parole dell'altro» di Vignola (Modena), che ha ottenuto una menzione speciale nell'ambito delle «Chiavi di Scuola 2008»Segnalare progetti di inclusione scolastica che possano dare esempi di buone prassi e farli circolare affinché stimolino esperienze imitative. Creare, inoltre, uno scambio e una diffusione di idee innovative. Sono questi gli obiettivi delle Chiavi di Scuola, il concorso indetto dalla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), con il sostegno di Enel Cuore ONLUS e il patrocinio del Ministero della Pubblica Istruzione, che nel gennaio scorso ha vissuto l’atto conclusivo della sua seconda edizione, con l’assegnazione dei premi a quattro scuole – una per ciascuna categoria – e di due menzioni speciali ad altrettanti progetti valutati come “eccellenti” (se ne legga, in questo stesso sito, al testo disponibile cliccando qui).
A partecipare all’iniziativa sono stati i Consigli di Classe – non interni a istituti o centri di riabilitazione – che nell’anno scolastico 2007-2008 avevano realizzato un progetto di inclusione scolastica rivolto ad alunni con disabilità, anche ospedalizzati o a domicilio.

Per la scuola dell’infanzia ha vinto il progetto Insieme è… meglio della Direzione Didattica di Magione (Perugia). Ne parliamo con l’insegnante di sostegno Anna Rita Covarelli che ha lavorato con un bambino con un disturbo pervasivo dello sviluppo che l’anno scorso aveva sei anni. Il progetto è consistito nel creare un ponte tra la scuola dell’infanzia e quella elementare, in modo da agevolare questo passaggio. L’alunno, invece che frequentare la prima elementare, è rimasto alla scuola d’infanzia, ma ha iniziato a familiarizzare con quella nuova. «Come circolo didattico – racconta Covarelli – proponiamo a tutti gli alunni un percorso in verticale di conoscenza dei futuri ambienti scolastici. All’interno di questa proposta abbiamo elaborato un progetto ad hoc, facendo forza sulla rete educativa che ha visto come protagonisti la famiglia, gli operatori scolastici e le altre figure professionali di riferimento (la terapista della riabilitazione psicosociale, la logopedista, il neuropsichiatra, gli istruttori di nuoto)».
Come è stata organizzata la compenetrazione tra le due scuole?
«Il bambino ha partecipato a diversi laboratori della prima classe, più ravvicinati nella seconda metà dell’anno, in cui sono stati coinvolti i compagni della scuola d’infanzia. Si è trattato di un lavoro propedeutico per le competenze che abbiamo cercato di veicolare soprattutto attraverso il gioco».
Qualche esempio?
«Gli abbiamo fatto conoscere gli spazi della nuova scuola e le future insegnanti che venivano a chiamarlo e rimanevano con tutti gli altri bambini della scuola d’infanzia».
Quest’anno il bimbo è in prima elementare. Come si trova? Il progetto è stato efficace?
«Se prima si rifiutava di impugnare uno strumento grafico, ora non solo lo impugna, ma scrive. Inoltre abbiamo fatto in modo che i compagni con cui aveva particolarmente legato rimanessero con lui anche nella scuola primaria».

Per la scuola primaria (le elementari) è stato premiato il doppio progetto della Direzione Didattica di Maddalena (Genova). L’insegnante di sostegno Stefania Coli ha lavorato con un alunno autistico che adesso è in terza elementare e ha elaborato in équipe due progetti che partono dalla sua passione per la musica e il mondo marino.
Nel primo di questi progetti, che si chiama L’Orca Volante, il bambino insieme alla classe ha costruito un alfabetiere del mare, con delle figurine che poi sono state animate in un video…
«Esattamente. E lui l’ha vissuto come un gioco, aprendosi al processo dell’apprendimento senza esserne consapevole».
Il secondo progetto l’ha coinvolto in un laboratorio musicale.
«Questo è stato possibile grazie al consorzio tra noi, una scuola media e un liceo artistico per i momenti di laboratorio e tutoring. Il bambino ama la musica, ama cantare, sa a memoria tutto un repertorio. Così, d’accordo con un’insegnante di musica della scuola media, gli abbiamo dato la possibilità di partecipare a tutti e quattro i gruppi di musica esistenti e non solo a quello della sua classe».
In quale modo i progetti hanno favorito l’integrazione?
«Sul piano affettivo relazionale e soprattutto nella crescita delle sue autonomie. Grazie ai compagni e attraverso le attività ludiche, non strettamente curricolari, ha imparato a moderare atteggiamenti non accettati in gruppo. Quanto al canto, nello spettacolo di Natale ha annunciato alla platea il titolo della canzone e ha cantato da solo una strofa in inglese, poi gli altri hanno proseguito in un coro».
Come prosegue quest’anno il progetto?
«Il laboratorio di musica prosegue fino alla quinta. Inoltre stiamo progettando un video a partire dalle fiabe».

In palestra per il progetto «Incontriamoci nel movimento», realizzato a Vicenza, che ha ottenuto un'altra menzione d'onore dalla giuria delle «Chiavi di Scuola 2008»Per quanto poi riguarda la scuola secondaria di primo grado (medie inferiori), ha vinto il progetto Integrautismo dell’Istituto Comprensivo Galvaligi di Solbiate Arno (Varese). L’insegnante di sostegno Iuana Prezioso ha lavorato con un ragazzino oggi da poco tredicenne, affetto da sindrome di Asperger, un disturbo pervasivo dello sviluppo che comporta l’incapacità di interagire socialmente, un tipo di autismo con un quoziente intellettivo più alto della media, quasi “normale”. «Il progetto presentato – spiega Prezioso – riguardava l’attività in prima media, ma esiste dalla quinta elementare e proseguirà fino alla terza media. Dalla quinta elementare, infatti, è stata eleborata una strategia di accoglienza per l’ingresso del bimbo nella scuola media, con percorsi differenziati e lavori specifici semplificati».
Qual è la caratteristica peculiare del vostro progetto?
«Esso prevede una serie di interventi nell’area comunicativa, sociale, cognitiva, motoria, sensoriale e dell’autonomia ed è coordinato da un ortopedagogista, vale a dire un pedagogista con competenze specifiche per questo tipo di autismo. La sua presenza è la caratteristica peculiare del progetto. Ha organizzato incontri formativi con la classe, ha lavorato con la famiglia e i docenti, proponendo strategie di intervento. Non sempre lo specialista fa interventi con la classe e invece secondo me è fondamentale perché non tutti gli alunni sono disponibili o in grado di riconoscere momenti difficoltà e di sapere come comportarsi».
Il ragazzino come ha interagito con i compagni?
«Si è integrato, ha partecipato alle attività della classe, anche a eventi come Scuola in bicicletta. Il resto della classe lo ha accolto bene e i compagni lo vedono non solo come persona bisognosa di aiuto, ma anche come risorsa per gli altri. In alcuni ambiti cercano il suo aiuto, ad esempio nelle lingue e nell’informatica, dove se la cava molto bene».
Quali risultati avete registrato?
«All’inizio non riusciva a partecipare al momento dell’intervallo con gli altri, per lui c’era troppo rumore. Abbiamo quindi trovato una soluzione che coinvolge tutti: i compagni hanno imparato ad alternarsi per stare con lui in classe e alla fine dell’anno scolastico è riuscito a partecipare all’attività di chiusura in palestra, dove i rumori rimbombavano. È stato bene ed è rimasto fino alla fine».

Per la scuola secondaria di secondo grado (medie superiori) ha vinto infine l’Istituto De Sanctis di Sant’Angelo dei Lombardi (Avellino), con il progetto Percorsi Misti Scuola-Lavoro. Ne parliamo con l’insegnante di sostegno Michelangelo Fischetti che insieme a una collega segue i ragazzi del triennio. L’anno scorso c’erano un ragazzo con sindrome di Down, uno spastico, due disabili intellettivi e un altro ragazzo con un lieve ritardo specifico dell’apprendimento. Il progetto consiste nell’avviarli al lavoro in un percorso di alternanza scuola-lavoro collaudato già da dieci anni.
Qual è il punto forte della vostra iniziativa?
«È la rete che la scuola è riuscita a creare, tanto più importante se si tiene conto che siamo in una zona socio-economicamente depressa. La Provincia ha messo a disposizione il trasporto (dalla scuola all’impresa) e il personale socio assistenziale; il Piano di Zona ricerca le aziende sensibili all’iniziativa; l’Unità Multidisciplinare dell’ASL, attraverso dei test, analizza le potenzialità e le inclinazioni particolari dell’allievo. Infine, ci hanno dato grande disponibilità anche le aziende artigiane del territorio, due nel settore della ristorazione, tre in quello estetico e uno in quello elettrotecnico. Per il concorso abbiamo presentato solo i due casi che ci sembravano più significativi, in particolare quello di una ragazza, ma lo scorso anno ne avevamo seguiti cinque».
Durante il progetto i ragazzi interagiscono con i compagni?
«Nella prima parte sono previsti lavori di gruppo in classe per individuare le potenzialità e le inclinazioni di ciascuno e, nella prima fase di presenza in azienda, i ragazzi con disabilità sono affiancati da un compagno che poi, gradualmente, limita la propria presenza».
Quanto tempo viene dedicato allo stage in azienda?
«Di solito sono quattro ore settimanali in due giorni due da ottobre a maggio».
Con questo metodo qualcuno ha trovato un lavoro?
«L’anno scorso il ragazzo con sindrome di Down che lavorava in un ristorante ha instaurato un rapporto diretto con il datore di lavoro. Al termine dell’attività didattica, nel periodo estivo, ha continuato a lavorare da lui».

Ha continuato a lavorare anche in estate, all'interno di un ristorante, il ragazzo protagonista del progetto «Percorsi Misti Scuola-Lavoro» di Sant'Angelo dei Lombardi (Avellino), premiato dalle «Chiavi di Scuola 2008»E ora passiamo alle due menzioni d’onore. Si tratta di progetti che – come già detto – la giuria ha ritenuto “eccellenti” e ha voluto valorizzare al di fuori e al di sopra del concorso ordinario. Il primo di essi si chiama Incontriamoci nel movimento e riguarda l’Istituto Professionale di Stato per i Servizi Commerciali e Turistici (IPSSCT) Almerico da Schio di Vicenza. L’insegnante di sostegno Barbara Anni ha lavorato con un ragazzino quindicenne di prima superiore con un disturbo generalizzato (disturbo articolato del linguaggio e della relazione e difficoltà di apprendimento con tratti comportamentali autistici). Il ragazzo frequenta il centro occupazionale diurno CEOD Il Nuovo Ponte insieme ad altre sei persone disabili della sua età, ma anche ben più grandi di lui, con disabilità diverse, fisiche e intellettive.
In che cosa consiste il progetto che avete presentato?
«Il ragazzo desiderava moltissimo iscriversi alla nostra scuola. Avrebbe dovuto frequentare solo il CEOD, ma insieme ai compagni delle medie aveva idealizzato la nostra offerta scolastica. Allora abbiamo pensato a un percorso misto e lo abbiamo coordinato insieme, scuola e Centro: dal lunedì al mercoledì al CEOD e giovedì e venerdì a scuola. Per non fargli vivere il senso di spaccatura tra le due realtà, abbiamo messo a punto il progetto che si concentra nell’ora settimanale di educazione fisica, durante la quale, grazie alla disponibilità del docente, i compagni di classe e quelli del CEOD giocano insieme».
Che risultati avete ottenuto?
«Bisogna tenere conto delle sue importanti difficoltà di relazione e della sua tendenza all’isolamento. Il progetto è nato proprio per metterlo in relazione con i suoi pari. E se alle medie rimaneva seduto per pochi minuti in classe, ora resta alle lezioni, esce solo ogni tanto, quando gli propongo delle attività differenziate. Il progetto ci è sembrato tanto efficace che lo stiamo continuando anche quest’anno. Faremo dunque tutto il triennio».
Come hanno reagito i compagni coinvolti?
«Bene. Hanno accettato di fare un’educazione fisica un po’ diversa dal solito, fatta soprattutto di giochi di squadra. Dai test che sottopongo loro, rilevo che hanno cercato di superare un po’ alla volta il disagio e ora sono contenti e vivono l’iniziativa come un’opportunità di crescita».

L’altra menzione, infine, è andata a un progetto originale e fortemente innovativo che mescola l’integrazione della disabilità con quella etnica. Si tratta di Fjalët e Tjetrit (Le parole dell’altro) della scuola secondaria di primo grado Muratori di Vignola (Modena). Silvia Ranuzzi, l’insegnante di sostegno, ha scritto la sua tesi proprio su questo progetto. «A novembre del 2007 – ci racconta – è arrivato a scuola un ragazzino tredicenne albanese con una disabilità intellettiva (deficit cognitivo di grado medio accompagnato da lieve impaccio motorio). È stato inserito in una seconda media dove c’erano alcuni altri stranieri e nessun altro disabile».
Cosa avete fatto?
«Prima di tutto era necessario insegnargli la lingua italiana. Inoltre, era fortemente aggressivo, aveva reazioni emotive forti, con frequenti crisi di pianto e tentativi di fuga dalla scuola. Abbiamo pensato di avvicinarlo attraverso due suoi connazionali coetanei, che frequentano la nostra scuola e parlano l’italiano. Li abbiamo chiamati “mediatori” e a partire dal loro contributo è nato il nostro progetto».
Come li avete scelti?
«Ho cercato due ragazzi albanesi della nostra scuola con delle caratteristiche caratteriali che mi sono sembrate adatte e che, al contempo, fossero demotivati nei confronti della scuola tradizionalmente intesa. Il progetto, infatti, ha agito anche su di loro, valorizzandoli a partire dalla loro lingua d’origine e dalla loro cultura».
In che senso?
«Per alcune ore alla settimana lasciavano le loro classi e lavoravano con me. Uno dei due, che conosce molto bene l’italiano, mi ha insegnato la lingua albanese nelle frasi comunicative immediate. Ogni tanto mi interrogava per verificare il mio apprendimento. Abbiamo scritto a quattro mani una rubrica alfabetica, un vocabolarietto italano-albanese che secondo me potrebbe essere riutilizzabile e aggiornabile per altri casi simili. L’altro ragazzo, invece, ha fatto il “mediatore” sul piano relazionale, cercando di smorzare l’atteggiamento oppositivo del suo connazionale con disabilità».
Quali risultati avete ottenuto?
«La prima volta che il ragazzo ha pronunciato una parola in italiano è stato quando mi ha sentita parlare per la prima volta in albanese. Questo esperimento dimostra, come già era stato provato, che il mantenimento di una certa quota della lingua d’origine non ostacola, ma anzi facilita l’apprendimento di una seconda lingua».
E ora?
«Il progetto continua, anche se non è più necessaria una “mediazione” stretta e sistematica. Contrariamente alle previsioni mediche, il ragazzo ha imparato bene l’italiano e perso quasi completamente l’aggressività iniziale. Per i due “mediatori”, poi, è stato gratificante essere utilizzati come risorse e dover attingere alla lingua d’origine».
La classe come ha partecipato al progetto?
«Nelle ore di educazione fisica i compagni a turno lo aiutavano a cambiarsi. In generale noto un miglioramento del senso civico e del grado di coinvolgimento».

Al Concorso Le Chiavi di Scuola è stato dedicato anche uno specifico sito che si raggiunge cliccando qui.
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