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Diritti umani e disabilità: il nuovo piano d’azione di DPI Europe

Jean Luc Simon è stato riconfermato presidente di DPI Europe (Disabled Peoples' International)Il 29 e 30 agosto a Budapest, capitale dell’Ungheria, DPI Europe (Disabled Peoples’ International) – che in questo periodo sta elaborando un nuovo Statuto allo scopo di riformularsi come organizzazione sui diritti umani – si è incontrato per la conferenza europea dal titolo È tempo di partecipare! Definizione di una strategia per pervadere le società di Diritti Umani, durante la quale sono state innanzitutto rinnovate le cariche sociali. È stato riconfermato il francese Jean Luc Simon alla presidenza di DPI Europe. Inoltre, Emilia Napolitano, presidente di DPI Italia, è entrata nel Consiglio Europeo dell’associazione. Infine, Giampiero Griffo è stato riconfermato come membro del Consiglio Mondiale.
Dei ventotto soci di DPI, erano rappresentati in Ungheria diciotto Paesi, con la presenza di una settantina di persone, con disabilità di tutti i tipi. All’incontro erano presenti, tra gli altri, Adriana Zarraluqui, dell’Alto Ufficio del Commissario per i Diritti Umani delle Nazioni Unite e Marianne Schulze, esperta austriaca sui diritti umani, particolarmente attiva nei campi della disabilità.

Quanto ai contenuti affrontati nei workshop, essi sono stati indirizzati all’introduzione di un nuovo piano d’azione che tenesse conto della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità. In particolare si è parlato innanzitutto di educazione inclusiva, ritenuto un tema attualissimo, visto che gli ultimi dati dell’Agenzia Europea per lo Sviluppo dei Bisogni Speciali per l’Educazione testimoniano che in Europa è ancora il 53% degli studenti disabili delle scuole dell’obbligo a frequentare classi o scuole speciali. Si tenga conto oltretutto che la Gran Bretagna, nel ratificare la Convenzione, ha posto riserve proprio sull’articolo 24, per salvaguardare le classi speciali ancora in vigore nel Regno Unito.

Un altro tema dei workshop è stato quello riguardante il monitoraggio della Convenzione, con l’approfondimento della questione riguardante il cosiddetto shadow report (“rapporto ombra”), e cioè un rapporto non ufficiale presentato da organizzazioni della società civile. Aumenta infatti il potere che oggi hanno le associazioni nel definire una loro posizione quando non sono d’accordo con i rispettivi Governi.
La Convenzione obbliga i Paesi a presentare un rapporto sullo stato di attuazione della stessa (articolo 35) al Comitato per i Diritti delle Persone con Disabilità delle Nazioni Unite e in molti Paesi questo significa stimolare il proprio Governo ad avere una politica sulla disabilità. Infatti, la Convenzione è un accordo che coinvolge l’ONU, il Governo che l’ha sottoscritto e i Cittadini. Le persone con disabilità, attraverso le associazioni che le rappresentano, possono rivolgersi al Comitato sui Diritti delle Persone con Disabilità delle Nazioni Unite nel caso di violazione dei diritti umani (articolo 34). Nel caso poi che lo Stato abbia ratificato anche il Protocollo Opzionale, i poteri dei cittadini e delle associazioni si accrescono, perché possono presentare denunce di violazione dei diritti umani.
In Europa sono quindici i Governi che hanno ratificato la Convenzione (Austria, Azerbaijan, Belgio, Bosnia, Croazia, Danimarca, Germania, Gran Bretagna, Italia, San Marino, Serbia, Slovenia, Spagna, Svezia e Ungheria). Di questi, quattro prepareranno l’anno prossimo il primo report (Croazia, Slovenia, Spagna, Ungheria). Fondamentale, perciò, per le associazioni è saper elaborare un rapporto sullo stato di attuazione della Convenzione, per accrescerne le capacità di iniziativa politica.

Giampiero Griffo fa parte del Consiglio Mondiale di DPISi è parlato poi di multidiscriminazioni, perché sono ancora lontane dall’essere conseguite le stesse opportunità tra uomini e donne con disabilità. In più, si è valutato che oggi ci sono nuove multidiscriminazioni: nei confronti degli immigrati, degli anziani, dei minori e altre categorie ancora. Un’attenzione particolare va perciò prestata ai più discriminati, tra cui si annoverano le persone con gravi dipendenze o incapaci di rappresentarsi da sole.

E ancora, si è parlato di psichiatria, partendo dal dato che in Europa cresce il numero delle persone soggette a trattamenti psichiatrici (la Convenzione, agli articoli 1 e 12, tutela le persone con disabilità psichica in quanto tali, definendole «persone con menomazioni mentali» e distinguendole dalle menomazioni intellettuali).
Il regime di trattamento in Europa è in molti casi “prebasagliano”, reggendosi cioè ancora sugli ospedali psichiatrici e sui trattamenti correlati. Pur essendo ormai chiaro che molte di queste menomazioni derivano da fattori sociali, non molti Paesi hanno riconosciuto questo e preferiscono continuare a ricorrere a trattamenti spesso disumani e degradanti. Sui 191 Paesi aderenti all’ONU, solo una quarantina hanno avviato percorsi analoghi a quello italiano.

Tra gli altri temi cui sono stati dedicati specifici workshop, importante anche quello dedicato alla ricerca e in particolare a quella collegata alla biomedicina. Sempre più evidente, è risultato in tal senso, che solo dove le persone con disabilità sono coinvolte con le loro organizzazioni nei processi di ricerca è possibile elaborare e conseguire risultati in direzione dell’inclusione. Spesso, però, la ricerca sulla disabilità è limitata a quella sulle malattie, mentre sarebbe necessario concentrarla sull’abilitazione e il sostegno alla vita autonoma e autodeterminata.
Si è ritenuto quindi necessario intervenire sul prossimo programma quadro europeo sulla ricerca, per dare spazio a questo nuovo tipo di approccio. Anche le tecnologie posso escludere, infatti, non solo dimenticando le esigenze delle persone con disabilità, ma promuovendo soluzioni che cozzano con la piena partecipazione.

Si è parlato infine di cooperazione allo sviluppo, partendo dall’assunto che i Paesi ricchi devono sostenere i processi di inclusione e applicazione della Convenzione ONU nei Paesi in Cerca di Sviluppo. Per farlo, è sempre più necessaria la partecipazione delle persone con disabilità e delle loro organizzazioni all’interno dei progetti di cooperazione allo sviluppo. C’è bisogno, si è detto, che l’Unione Europea, da un lato finanzi maggiormente i progetti destinati alle persone con disabilità e dall’altro lato faccia in modo che qualsiasi progetto includa il tema della disabilità (articolo 32 della Convenzione). Il concetto ispiratore di tutti i progetti verso i Paesi in Cerca di Sviluppo è quello dello sviluppo inclusivo, che non escluda cioè alcuna fascia di cittadini, comprese le persone con disabilità. (Barbara Pianca)

Si ringrazia Giampiero Griffo per il contributo.

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