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Inclusione e nuove professioni: il Centro per l’Autonomia di Roma

Enrico Tessitore al lavoro presso il Centro per l'Autonomia di Roma Il processo di inclusione delle persone con disabilità comporta la nascita di nuove professioni ad hoc, nate per servire al meglio il processo stesso e per favorire l’autonomia delle persone con disabilità. Rientrano in questa categoria, ad esempio, i Servizi Informahandicap, gli assistenti personali, i tecnici della Progettazione Universale e i consulenti alla pari. Per ognuna di queste figure, il nostro ha curato un’intervista dedicata. Nel dettaglio, abbiamo incontrato per il Servizio Informahandicap Andrea Pancaldi, responsabile dal 2001 del Centro Risorse Handicap del Comune di Bologna. Abbiamo poi intervistato l’assistente personale Giuseppina Mascaro e due tecnici della Progettazione Universale, il docente universitario Andrea Micangeli e l’ingegnere Marco Bozzetti. Quanto alla consulenza alla pari, abbiamo conversato con una delle “pioniere” in Italia di questa tecnica, Rita Barbuto.

Oggi incontriamo un altro esperto consulente, che però fornisce solo consulenze individuali e che lavora all’interno del CPA (Centro per l’Autonomia) di Roma. Si chiama Enrico Tessitore e lavora nel centro dal 2000, oggi con la doppia qualifica di consulente e di manutentore di carrozzine.

Cerchiamo innanzitutto di capire meglio con lui di cosa si occupa questo Centro e quali sono le sue caratteristiche specifiche.
«Il Centro nasce alla fine degli anni Novanta per volontà dell’Associazione Paraplegici (AP) di Roma e del Lazio, in particolare a partire dal progetto di un gruppo di persone con lesione al midollo spinale che hanno voluto mettere le proprie capacità e la propria esperienza, acquisite nel tempo, a disposizione di chi ha subito lo stesso trauma o vive da poco una condizione di disabilità».

Ma più nello specifico di cosa vi occupate? Cosa offrite a una persona che si rivolge a voi?
«Cominciamo con il dire che c’è una nutrita lista d’attesa e passa un po’ di tempo prima di riuscire a essere contattati. Quando però accade, viene inviato un modulo per l’accesso e si fissa l’appuntamento per il primo colloquio con l’assistente sociale, che a sua volta compila una cartella con i dati e le richieste specifiche.
A quel punto si fissano degli obiettivi da raggiungere e vengono proposte varie attività. Si prepara un progetto con lo scopo di rendere la persona il più autonoma possibile, in modo che possa arrivare a vestirsi da sola, farsi la doccia, avere una casa accessibile e i mezzi che le permettano di arrangiarsi il più possibile da sola.
Nasciamo per evitare l’ospedalizzazione delle persone che, dopo aver subito un trauma, di solito passano dall’ospedale a una lunga lista di cliniche riabilitative, un giro di cliniche che può durare anche un paio d’anni e che tra l’altro offre solo percorsi di riabilitazione tradizionale. Da noi la differenza la fa il terapista occupazionale».

Chi è il terapista occupazionale?
«È colui che ha il compito di stimolare il recupero dell’autonomia nelle attività quotidiane, puntando alle abilità della persona e individuando gli ausili più adatti a sfruttare le sue potenzialità [segnaliamo a questo proposito che Superando pubblicherà a breve un’intervista a Roberta Vernice, responsabile del Servizio di Terapia Occupazionale del Centro per l’Autonomia, N.d.R.]».

Un'altra immagine di Enrico Tessitore a una manifestazione della FISH a Roma nel 2005 (foto di Rocco Vadalà)Quante persone lavorano per il Centro e quanti pazienti riescono a soddisfare, di media, in un anno?
«Siamo circa una quarantina o anche più di lavoratori. I pazienti, in un anno, sono tra i duecentocinquanta e i trecento».

È costoso beneficiare dei servizi del Centro?
«Siamo convenzionati e i pazienti non pagano nulla. Il servizio è completamente coperto dal Servizio Sanitario Nazionale».

Esistono altri Centri in Italia simili al vostro?
«Che io sappia siamo il primo in italia a offrire un servizio così completo».

E all’estero?
«Questo Centro nasce dall’esperienza di un gruppo di persone con disabilità che sono state ricoverate in Germania a seguito di un trauma lesivo. Lì hanno ricevuto un trattamento sanitario e riabilitativo che le ha stimolate da subito a un veloce recupero dell’autonomia. Tornando in Italia, però, si sono rese conto che da noi, invece, le persone con una lesione al midollo spinale vengono letteralmente sbattute da un ospedale a un altro, senza che venga loro offerta l’opportunità di essere veramente autonome».

Qual è il suo ruolo nel centro?
«Ho due vesti. Faccio il consulente alla pari e inoltre mi occupo dell’officina dove affianco i terapisti occupazionali nella manutenzione e nell’assetto delle carrozzine».

Cominciamo con la professione di consulente alla pari. Di cosa si tratta?
«La esercito da un paio d’anni dopo un corso di formazione ad hoc. Offro incontri individuali su eventuale richiesta del paziente con disabilità che si avvicina al nostro Centro. Spesso sono i terapisti occupazionali a notare che i problemi del paziente – che si rivolge al Centro per scegliere o cambiare un ausilio – potrebbero venire risolti con l’affiancamento di un consulente, e allora gli segnalano questa opportunità.
Il mio ruolo consiste nell’ascoltare le problematiche del paziente e nel prendere più dati possibili sulla sua persona e le difficoltà che mi segnala. Poi, insieme a lui cerco di trovare delle soluzioni. Ogni volta si tratta di affrontare questioni diverse, perché ogni situazione “fa storia a sé”, con tutta una serie di variabili legate all’età, al sesso, alla situazione familiare e abitativa eccetera. Inoltre, non mi limito ad affiancare la persona nel suo rapporto con l’ausilio che sceglie tramite il nostro Centro. Al contrario, sono a sua disposizione a trecentosessanta gradi. Mi può venire chiesto: come vado dal letto alla carrozzina da solo? Ma anche: come risolvo un determinato problema sessuale o la mia infezione vescicale? A volte la soluzione si trova in un solo incontro, altre volte l’affiancamento dura un po’ più a lungo».

In officina, invece, di che cosa si occupa?
«Mi occupo della gestione di tutto quello che c’è nell’officina, dove lavoro da sette anni, a partire dai ricambi usati, perché noi ricicliamo tutto e togliamo le parti buone dagli ausili che vengono rotamati, in modo da avere, all’occorrenza, dei pezzi di ricambio.
Quando i terapisti hanno visitato la persona che si rivolge al Centro e scelto gli ausili più adatti al suo caso, occorre assettarli su misura. Il principio è che siccome ognuno ha un problema diverso, anche la soluzione al suo caso deve essere diversa dalle altre. Così, gli ausili vengono di volta in volta sistemati come un “vestito su misura”. Io mi occupo proprio di questo, dell’assetto su misura, con l’obiettivo di rendere più libera e autonoma possibile la persona che ne usufruirà».

Lei è una persona con disabilità?
«Sono paraplegico da diciotto anni, in seguito a un incidente che mi ha leso il midollo spinale».

Da quando ha iniziato questo lavoro a oggi ha notato dei cambiamenti nell’atteggiamento dell’utenza?
«Trovo che ci sia un’accortezza maggiore, ultimamente. Molte persone che entrano qui pensano che la loro vita sia finita, e poi quando escono sono contenti di potersi di nuovo vestire, lavare, guidare l’automobile e vivere in autonomia. La qualità della loro vita, però, dipende dall’accortezza con cui scelgono e regolano gli ausili. Ad esempio, di solito in ospedale viene fornita al nuovo paziente la prima carrozzina disponibile. Nessuno guarda se è troppo larga, troppo stretta, se la persona ci sta comoda, se potrà usufruirne anche fuori dall’ospedale. Eppure si tratta di una dispersione di costi e di energie. Mi spiego meglio: se la carrozzina che viene assegnata senza un criterio specifico è troppo larga e non entra nell’ascensore del condominio dove vive il paziente, costui sarà costretto a rivolgersi all’ASL per chiedere un ausilio più adatto. Tutto questo processo – il lavoro dei dipendenti dell’ASL, il ritiro della vecchia carrozzina e la consegna della nuova – ha dei costi».

Come raggiungete i pazienti?
«Da quando il Centro ha preso piede, funziona il passaparola della gente, ma anche internet è oggi un buon canale. Questo vale però per gli utenti esterni. Per il resto, collaboriamo con l’Unità Spinale del CTO di Roma e seguiamo i suoi pazienti mentre sono ancora ricoverati. In questo modo, possiamo mandare un architetto e il terapista occupazionale a casa loro, per prendere le misure necessarie a costruire ausili e trovare soluzioni ad hoc».

Un incidente in motoChe tipo di ausili offrite? Avete delle ortopedie cui vi appoggiate?
«Quando le persone vengono da noi, non promuoviamo una marca particolare di ausili. Collaboriamo con tutte le ortopedie a Roma e fuori Roma. Non obblighiamo nessuno a scegliere un’ortopedia anziché un’altra. Chiediamo al paziente stesso di indicarci la sua ortopedia di riferimento e ci appoggiamo a quella».

Crede che si faccia comunicazione, in Italia, sulla situazione delle persone con lesioni midollari? Cos’è che secondo lei è importante, soprattutto, comunicare?
«Mancano buone pubblicità rivolte ai giovani sugli incidenti in macchina e soprattutto in moto, motorino, scooter. L’incidente grave non porta solo alla morte, può causare una lesione midollare che porta alla paraplegia o alla tetraplegia. La lesione midollare ti cambia la vita. Noto che ci sono sempre più giovani a diventare tetraplegici, perdendo cioè l’uso sia delle gambe che delle braccia. Questo perché molti incidenti accadono in moto ed è più facile che le lesioni siano cervicali, cioè alte, lungo la colonna vertebrale. Nessuna pubblicità informa sulla necessità di indossare un corpetto, la cosiddetta “tartaruga” sulla schiena. Non basta proteggere la testa con il casco, occorre proteggere anche la spina dorsale».

Perché, secondo lei, non vengono date queste informazioni?
«È un problema culturale. Lo stesso per cui le persone continuano a parcheggiare nei posti riservati agli invalidi anche se non ne hanno diritto, solo perché sono i più vicini agli accessi ai centri commerciali o agli edifici pubblici che devono raggiungere. Oppure parcheggiano i motorini davanti agli scivoli. Oppure, come sta accadendo vicino a casa mia, costruiscono degli edifici nuovi con gli scivoli per le carrozzine senza verificare se la pendenza sia a norma. E così, ad esempio, nel caso specifico che sto raccontando, la pendenza è troppo elevata ed è pericoloso attraversarli».(Barbara Pianca)

Nell’ambito di questo ciclo di servizi il nostro sito ha già pubblicato i seguenti testi:
– Se le persone con disabilità vengono incluse nella società, disponibile cliccando qui.
– Inclusione e nuove professioni: insegnare Tecnologie per l’Autonomia, disponibile cliccando qui.
– Inclusione e nuove professioni: l’assistente personale, disponibile cliccando qui.
– Inclusione e nuove professioni: assumere un assistente personale, disponibile cliccando qui.
– Inclusione e nuove professioni: il consulente alla pari, disponibile cliccando qui.
– Inclusione e nuove professioni: il ruolo degli Informahandicap, disponibile cliccando qui.
– Inclusione e nuove professioni: ancora sulla Progettazione Universale, disponibile cliccando qui.
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