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Passa il tempo, ma questa società non cresce

Claudia Bottigelli dà il nome all'omonima associazione torineseMia figlia Claudia ha 36 anni e una gravissima disabilità, causata da un parto che presentava una serie di problematiche non affrontate dai medici con professionalità e competenza. Ma se posso anche capire che allora molte cose fossero lasciate “al caso”, sono anche in grado con lucidità di affermare che ancora oggi – nonostante tutte le tecnologie – troppo spesso, a bambini che sarebbero nati sani, viene “regalata” una vita fatta di grandi difficoltà, per l’incompetenza e la superficialità di chi assiste il travaglio e il parto.

Parlando di disabilità, di disabilità gravissima, se oltre al cervello non si mette in moto anche il cuore, si rischia di portare solo a comporre un lungo elenco di patologie e difficoltà, di rabbia, di rinunce, di dolore e solitudine, ma dopo trentasei anni – voltandosi indietro – ogni cosa sparisce e rimane solo come un velo tutto l’amore che ci ha portato oggi a essere ciò che siamo e ad essere felici di quello che siamo riusciti a realizzare, un intreccio di vite – cinque – cui il fatto stesso di essere insieme fa superare qualsiasi difficoltà.
Se trentasei anni fa avessi potuto scegliere, certamente – per come vedevo e pensavo la vita allora (che vuoto!) – non avrei scelto Claudia come figlia, non avrei voluto dividere la mia vita con lei, perché ero piena di preconcetti verso la disabilità, non la conoscevo. E chi vorrebbe una vita fatta – a detta di chi ne è estraneo – “sofferta e colma di incognite”?
Per fortuna non ho potuto scegliere, perché mi sarei persa questa straordinaria esperienza, non avrei conosciuto l’essere umano che dona senza bisogno di parole, che si affida a te sicuro dell’amore che tu riesci a donargli. Insomma non avrei conosciuto, amato e apprezzato Claudia per quello che è: una meravigliosa creatura che per qualche disegno divino, del destino o della sorte (come meglio ognuno di noi crede), mi è stata assegnata come compagna di vita, consentendoci di camminare insieme, passo dopo passo, giorno dopo giorno, anno dopo anno, finché saremo su questa terra.

Cosa abbiamo fatto nella e della nostra vita? Quando ho stretto tra le braccia la mia seconda figlia, ho provato lo stesso immenso e profondo senso di orgoglio e amore che avevo provato con la prima, ma non sapevo – e nessuno mi avvisò – che qualcosa non era andato per il verso giusto; l’abbiamo scoperto noi giovani genitori, e che dolore e senso di impotenza ogni qualvolta un suo limite ci veniva confermato! Ogni volta, però, l’amore che il mio cuore provava aumentava.
Abbiamo superato molti scogli, abbiamo imparato termini medici, dato vita a sconosciuti assemblaggi tra pratica, teoria, orari e ausili, per riuscire a essere genitori solerti e affettuosi con la prima figlia e affettuosi, combattivi e propositivi per il futuro della seconda. Nessuna delle due, infatti, doveva sentirsi ed essere in qualche modo penalizzata o soffocata dalla presenza dell’altra; abbiamo organizzato veri e propri “tour de force” tra i vari impegni. Una che danzava, l’altra che faceva riabilitazione; una che andava a scuola, l’altra prima in una scuola materna integrata e poi al centro educativo speciale. Che delusione, pensando a quest’ultimo! Per fortuna oggi tutti i bambini hanno il diritto di frequentare la scuola, la scuola di tutti, ancora con tante difficoltà, ma comunque i genitori – pur dovendo combattere ogni giorno – sanno che è un diritto che nessuno può negare ai loro figli anche se disabili: una bella conquista!

Noi, per molti motivi, abbiamo dovuto – e col senno del poi sbagliando – tenere Claudia a casa e da quel momento, ormai più di vent’anni fa, la simbiosi tra di noi si è rafforzata; ancora oggi sono la sola che entrando in casa e guardando Claudia sono in grado di capire dal suo sguardo, dal suo sorriso se è stata bene, se le hanno dato da bere o da mangiare in orario e con tranquillità.
Abbiamo dovuto scoprire spesso a spese del benessere di Claudia quanto inefficiente possa essere il Servizio Sanitario Nazionale e locale. Ancora oggi gli ospedali e i medici in genere non sanno nulla su come comportarsi con le persone con gravissima disabilità, con persone che non sono in grado di comunicare ciò che provano se non con uno sguardo, un batter di ciglia, un lamento. Ai molti medici che pensano di essere i “proprietari della conoscenza” manca spesso, oltre alla competenza, anche l’umiltà di avvicinarsi e cercare di conoscere ciò che non è scritto sui libri: il rispetto dell’altro, il diritto alla dignità,il non giudicare l’importanza di una vita dall’integrità della sua materia cerebrale.

Abbiamo imparato da Claudia quanto sia importante ogni minuto della vita. E assaporare ogni attimo come se fosse l’ultimo aiuta a viverlo intensamente e a renderlo indelebile nella memoria. Abbiamo imparato che il denaro, il successo, il divertimento non rendono felici; possono rendere la vita più piacevole, ma quando si vive accanto a una persona cui in ogni momento la vita può sfuggire, perché molte sono le limitazioni fisiche, ecco allora si capisce che non è possibile sprecare la vita stessa in cose futili.
Vi sono persone che vivono come se non dovessero morire mai e altre che muoiono senza aver mai vissuto veramente. Noi compagni di viaggio di Claudia siamo consapevoli della fragilità della vita e viviamo intensamente per non sprecare neppure un attimo.

Le famiglie con un figlio disabile vivono un’esperienza che può essere devastante: davanti a loro, al momento della diagnosi, si presenta un “desolante deserto”; non si può credere e sperare che tutte le famiglie riescano come abbiamo fatto noi – senza aiuto alcuno – a vedere la luce tra tanto dolore e difficoltà. Sarebbe utile, quindi, che chi ha il potere istituzionale di legiferare e il dovere di sostenere le famiglie capisse finalmente che le disabilità non sono tutte uguali e non per differenza di patologia: è ben diverso, infatti, essere disabile, ma riuscire comunque a organizzarsi la vita e autodeterminarsi, essere anziano con le disabilità conseguenti all’età, avere un coniuge disabile o un genitore che invecchia.
Avere l’esistenza sconvolta dalla nascita di un figlio disabile, con una gravissima disabilità, significa dover riorganizzare tutta la vita vissuta fino ad allora, significa “resettare” e rivoluzionare orari, priorità, dover rispettare il diritto degli altri figli alla serenità, dover essere sorridente e tenace anche quando ci si vorrebbe arrendere, dover lavorare e riuscire a essere positivi nella quotidianità. Insomma, riscrivere il libro della propria vita, della propria famiglia per gli anni a venire.
Ebbene, solo quando si offrirà a ciascuno ciò di cui veramente avrebbe bisogno potremo dire di essere una società civile, fino ad allora saranno solo chiacchiere.

*Presidente Associazione “Claudia Bottigelli” – Difesa dei Diritti Umani e Aiuto alle Famiglie con Figli Disabili Gravissimi.

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