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Disabilità e inclusione: come funziona la cooperazione italiana nel mondo

El Salvador: assistenza prestata a un bimbo orfano con disabilitàSi è svolto a Torino, nell’ottobre scorso, il Forum per la Promozione di un Partenariato Globale sulla Disabilità e lo Sviluppo, voluto dalla Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo (DGCS) del Ministero degli Affari Esteri, insieme alla Banca Mondiale, alla Fondazione CRT (Cassa di Risparmio di Torino) e al GPDD (Global Partnership for Disability & Development).
Workshop, seminari, conferenze e spettacoli si sono susseguiti nel corso delle quattro giornate cui hanno partecipato  rappresentanti di organismi internazionali, di Istituzioni Nazionali e di Enti Locali italiani, associazioni del mondo del volontariato e organizzazioni di persone con disabilità. Nel corso del Forum, organizzato allo scopo di favorire la conoscenza e lo sviluppo di nuovi approcci legati al tema Disabilità e inclusione, la Cooperazione Italiana ha presentato uno studio sui risultati raggiunti con il suo contributo in numerosi Paesi: una serie di progetti dedicati alle persone con disabilità realizzati dal 2000 al 2008. Inoltre, ha allestito una mostra per testimoniare – attraverso video, foto e documenti – le attività realizzate insieme a numerosi partner italiani e internazionali.
Insieme a Mario Sammartino, vicedirettore generale della Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo del Ministero degli Affari Esteri, ricostruiamo quanto accaduto e, in particolare, cerchiamo di capire quali sono i contributi che l’Italia ha dato e sta dando ad altri Paesi del mondo in tema di disabilità e inclusione.

Mario Sammartino, vicedirettore generale della Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo del Ministero Italiano degli Affari EsteriQuanti Paesi erano presenti al Forum?
«Circa duecento invitati provenienti da trenta Paesi (Argentina, Bangladesh, Belgio, Brasile, Camerun, Corea, Costa Rica, Danimarca, Finlandia, Germania, Gran Bretagna, India, Isole Figi, Italia, Kenya, Corea, Libano, Norvegia, Filippine, Sudafrica, Senegal, Spagna, Stati Uniti, Svezia, Svizzera, Uganda e Zimbabwe), oltre ai rappresentanti di Istituzioni Internazionali (Banca Mondiale; Organizzazione Mondiale della Sanità – OMS; Global Partnership for Disability & Development – GPDD; United Nation Development Programme – UNDP; United Nations Departmente of Economic and Social Affairs – UNDESA) e ai rappresentanti di alcuni governi (Cina, El Salvador, Finlandia, Germania, Giordania, Italia, Kosovo, Norvegia, Stati Uniti e Tunisia).
In particolare, tengo a dire che erano presenti rappresentanti di Paesi in cui sono attualmente in corso significativi progetti della Cooperazione Italiana  nel settore e in tal senso vorrei menzionare la Cina, El Salvador, la Giordania, il Kosovo e la Tunisia. Significativa anche la presenza del mondo istituzionale italiano, con il quale il nostro Ministero sta collaborando e cioè i rappresentanti del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali e dell’Istituto Affari Sociali».

Si è trattato del primo evento che la Cooperazione Italiana ha organizzato sul tema della disabilità?
«Esattamente».

Quanti sono i Paesi con cui attualmente il Ministero degli Affari Esteri collabora per la promozione e la protezione dei diritti delle persone con disabilità?
«Dal 2000 al 2008 la Cooperazione Italiana ha realizzato iniziative in venticinque Paesi  (Albania, Angola, Bosnia Erzegovina, Camerun, Cina, Cuba, Ecuador, El Salvador, Etiopia, Giordania, Italia, Kenya, Kosovo, Libano, Libia, Marocco, Montenegro, Repubblica Centrafricana, Serbia, Sudan, Territori Palestinesi, Tunisia, Vietnam, Yemen e  Zambia). La Cooperazione Italiana rafforza oggi il proprio ruolo nella lotta all’esclusione sociale attraverso il mandato affidatole dalla Convenzione ONU sui Diritti Umani delle Persone con Disabilità (articolo 32: «Gli Stati Parti riconoscono l’importanza della cooperazione internazionale e della sua promozione, a sostegno degli sforzi dispiegati a livello nazionale per la realizzazione degli scopi e degli obiettivi della presente Convenzione, e intraprendono appropriate ed efficaci misure in questo senso, nei rapporti reciproci e al proprio interno e, ove sia appropriato, in partenariato con le organizzazioni internazionali e regionali competenti e con la società civile, in particolare con organizzazioni di persone con disabilità») e rivolge particolare attenzione alla situazione dei Paesi in Via di Sviluppo. Numerosi studi, infatti, associano l’aumento della disabilità a tassi più elevati di analfabetismo, a uno stato nutrizionale carente, a bassi livelli di vaccinazione, a un basso peso alla nascita e a una più elevata incidenza di disoccupazione e sottoccupazione. In molti casi, la condizione di disabilità può costituire una causa di povertà, impedendo la piena partecipazione delle persone disabili alla vita economica e sociale delle loro comunità, specialmente se non sono disponibili infrastrutture e servizi adeguati».

Bimbi con disabilità in Medio OrienteQuali documenti avete presentato durante il Forum di Torino?
«Si tratta di un rapporto che contiene da una parte la presentazione delle iniziative realizzate dal 2000 al 2008 per la promozione dei diritti delle persone con disabilità e dall’altra alcune raccomandazioni strategiche di cui la Cooperazione Italiana dovrà tener conto per le future attività e che verranno finalizzate da un gruppo di lavoro di esperti della DGCS e della Banca Mondiale. Si intitola Report of the Italian Cooperation: Promotion and Protection of the Rights of Persons with Disabilities 2000-2008. Insieme alla Banca Mondiale, inoltre, abbiamo presentato lo studio International Cooperation and Disability Inclusive Development: A review of Policies and Practices, che contiene informazioni sulle politiche, sulle strategie e sulle pratiche di alcune agenzie di cooperazione bilaterale e multilaterale che si occupano della tematica della disabilità».

Quali sono i progetti più significativi condotti dalla Cooperazione Italiana e quali i più difficili e delicati?
«Ogni progetto ha una sua peculiarità che deriva dal contesto politico, sociale ed economico in cui si svolge, dall’obiettivo che ci si pone e dalle risorse umane e finanziarie messe in gioco anche dai nostri partner. Ciò per dire che non esistono progetti più delicati e/o più difficili da realizzare. Esistono invece progetti che possono sicuramente riportare più o meno successo in relazione agli obiettivi che si prefiggono di raggiungere.
Durante il Forum sono stati presentati i risultati delle attività presenti in Cina, per il progetto Attività di Capacity Building nel settore legislativo per la tutela dei disabili; in Kosovo, per un progetto  di assistenza tecnica per la stesura del Piano Nazionale sulla Disabilità [se ne legga approfonditamente in questo stesso sito, cliccando qui, N.d.R.]; in El Salvador, per il progetto di realizzazione di un Centro Educativo Inclusivo di tipo sperimentale; in Giordania, per un progetto di cooperazione con la Facoltà di Scienze della Riabilitazione dell’Università di Giordania; e infine in Tunisia, per un progetto di sostegno all’integrazione sociale di persone con disabilità».

Quali sono le caratteristiche salienti delle iniziative finora realizzate?
«Le attività realizzate nei progetti identificati sono riconducibili a cinque aree di interesse: salute e riabilitazione; accessibilità; promozione dei diritti, partecipazione ed empowerment delle persone con disabilità e delle loro associazioni; cambiamento culturale; azioni e temi trasversali. I dati mettono in evidenza un investimento verso iniziative multisettoriali, con un prevalente impegno nell’area della salute e riabilitazione e dell’inclusione sociale (basti pensare che il 62% dei progetti prevedono attività di quest’ultimo tipo).
In generale, dallo studio effettuato emerge un quadro della Cooperazione Italiana che prevede, da una parte, azioni mirate direttamente ed esplicitamente alla promozione e alla protezione dei diritti delle persone con disabilità e dall’altra progetti più ampi (come quelli di Sviluppo Umano), dove il tema disabilità è affrontato in maniera trasversale e la disabilità stessa, in taluni casi, è mainstreamed [letteralmente “entra nel flusso principale”, N.d.R.] nelle diverse azioni realizzate.
Il logo del Forum di Torino dell'ottobre scorsoDall’insieme dei progetti considerati nella mappatura, è stato possibile estrapolare alcuni elementi che possono essere considerati come particolarmente positivi. Sono apprezzabili ad esempio gli sforzi per operare cambiamenti nel quadro legislativo e istituzionale – anche con un approccio di tipo partecipativo – così come quelli tesi a promuovere attività di formazione sui diritti delle persone con disabilità rivolte alle risorse di sistema (formatori, operatori, insegnanti).
Ancora, cito gli sforzi per promuovere attività di alta formazione, contribuendo alla definizione di curricula ad hoc e di manualistica settoriale, con l’obiettivo di avere un impatto duraturo a livello nazionale e di coinvolgere le persone con disabilità e le loro organizzazioni in attività di pianificazione progettuale, esecuzione, monitoraggio e valutazione (ciò accade nel 9,8% dei progetti). Infine, vorrei citare il cosiddetto effetto spin-off, che consiste nel contribuire alla replicabilità dei progetti in corso».

Quando verrà pubblicato il report che avete presentato al Forum?
«Non manca ormai molto ed esso sarà usufruibile in formati accessibili alle persone con disabilità».

Quali sono gli elementi più importanti che contiene?
«Ci sono importanti dati di mappatura delle nostre attività. Sulla base delle informazioni raccolte, è stato possibile identificare le dimensioni e le caratteristiche dell’investimento economico della Cooperazione Italiana sul tema disabilità dal 2000 al 2008, la tipologia dei progetti realizzati e le buone prassi e lezioni apprese, che vorremmo valorizzare ai fini di un percorso di mainstreaming sulla disabilità nella cooperazione allo sviluppo italiana.
Le aree  geografiche che ricevono maggiori finanziamenti per i progetti sulla disabilità sono risultate essere quelle del Medio Oriente e dei Balcani, zone da noi considerate prioritarie. Il volume finanziario complessivo delle iniziative realizzate nei nove anni è di 53 milioni e 562.025 euro. Il dato include i cofinanziamenti pari al 29% (â?¬ 15.655.364), che provengono da soggetti diversi, quali Organizzazioni Non Governative (10%), partner locali (17%), Enti Locali italiani, ovvero Regioni, imprese e università (2%).
Dalla mappatura, inoltre, emerge che il 66,6% dei progetti indica come beneficiarie le persone con disabilità in generale (adulti o minori). Circa la metà dei progetti si rivolge a minori (si tratta per lo più di attività di riabilitazione e educazione), meno della metà (37,2%) evidenzia le famiglie come target.
E ancora, l’88,2% dei progetti vede le Istituzioni Locali tra i propri beneficiari (azioni di sostegno al rafforzamento delle Istituzioni, di formazione, di assistenza tecnica, di fornitura di beni e servizi); il 58,8% prevede attività dirette espressamente all’opinione pubblica (sensibilizzazione, informazione e prevenzione rispetto alle disabilità prevenibili) e il 72,5% attività dirette al rafforzamento delle risorse di sistema (formazione di formatori, funzionari preposti alle politiche sulla disabilità, coordinatori di sistemi sanitari). Solo l’11,7% dei progetti, infine, si rivolge specificatamente alle donne».

I dati, dunque, indicano l’importanza dell’apporto fornito dalle Organizzazioni Non Goverantive italiane…
«Senz’altro. E il loro conributo è fondamentale anche come enti esecutori: realizzano infatti il 72% dei progetti. Alcune, poi, hanno svolto anche un ruolo propositivo per il finanziamento di iniziative alla DGCS (54,9% dei progetti mappati).
Un altro elemento positivo, comune a più di un progetto, riguarda la nostra capacità di coinvolgere, attraverso un approccio partecipativo, una grande quantità di partner locali, organizzazioni della società civile, Istituzioni Nazionali, Municipalità ed Enti Pubblici, Università, Istituzioni e Associazioni Religiose.
Una persona africana con problemi di disabilità mentale Le organizzazioni di persone con disabilità coinvolte nei Paesi come partner istituzionali sono circa il 9,8%. Questi  partner locali cofinanziano i progetti per il 17% delle risorse, elemento, questo, che sembra essere coerente con il principio della ownership dei progetti [traducibile come “gestione in proprio”, N.d.R.] sostenuto dalla Cooperazione Italiana e dalle buone prassi  internazionali.
Ciò che risulta evidente dai progetti mappati, ancora, è che sussiste una sostanziale continuità tra i temi trattati e la programmazione della Cooperazione Italiana per il prossimo futuro (2009-2011). L’approccio di sviluppo inclusivo è presente infatti nel 63% dei progetti, il sostegno al miglioramento dei quadri legislativi è al 25%  e la riabilitazione su base comunitaria al 19%».

Durante il Forum di Torino si è parlato della tecnologia ICT (Information Communication Technology) al servizio della riabilitazione.  Cosa fa la Cooperazione in questo ambito?
«Nel 2009, la Cooperazione allo Sviluppo, tramite un fondo fiduciario dedicato all’Information e Communication Technology (ICT) presso la Banca Interamericana di Sviluppo (BID), ha finanziato per un importo di 567.000 dollari americani un’iniziativa nel settore della disabilità. Scopo del progetto – che prevede il coinvolgimento del settore accademico, del settore privato, della società civile, di organizzazioni non governative e di agenzie pubbliche – è creare soluzioni tecnologicamente sostenibili a favore delle persone con disabilità, per migliorare le loro condizioni di vita attraverso l’accesso all’ICT.
L’ICT costruita su misura e adattata alle specifiche esigenze e ai bisogni sia di apprendimento che di lavoro viene quindi utilizzata come strumento di potenziale inclusione delle persone con disabilità nel settore economico, politico e socio-culturale della società.
Il programma ha due componenti: una prima in cui si invitano aziende, università, istituzioni e agenzie governative a presentare progetti pilota per l’area LAC (Latin American – Caribbean Countries) che stimolino l’innovazione tecnologica a favore delle persone con disabilità. Una seconda, attraverso la quale la Banca Interamericana di Sviluppo monitora la realizzazione dei progetti per raccogliere i risultati immediati, promuovere la replicazione di tali progetti pilota e favorire la disseminazione dei risultati ottenuti.
Potranno beneficiare del programma i Paesi che hanno firmato e ratificato la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità. Al momento, nella regione LAC sono presenti: Argentina, Brasile, Cile, Costa Rica, Cuba, Ecuador, El Salvador, Giamaica, Guatemala, Honduras, Messico, Nicaragua, Panama, Paraguay, Perù e Uruguay».

Con quale tipo di interventi si inizia, di solito, quando si approccia un nuovo Paese? Cioè: quali sono gli aspetti su cui il più delle volte si sceglie di intervenire prima e perché?
«Si prende prima di tutto in considerazione la richiesta che il Paese beneficiario fa per ricevere assistenza. Si analizza il contesto territoriale e settoriale identificando i problemi e le opportunità ai quali la Cooperazione dovrebbe indirizzare la propria azione. Una volta identificate le problematiche, si formula la strategia necessaria per elaborare il piano di lavoro e si propone la concessione di un finanziamento. Si passa quindi alla realizzazione delle attività proposte e questo ciclo si conclude con la valutazione finale, realizzata al termine dell’intervento per verificare gli effetti a breve ed a lungo termine». (Barbara Pianca)

*Vicedirettore generale della Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo del Ministero Italiano degli Affari Esteri.

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