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«Quando sei al lavoro non sei un handicappato», diceva Ignazio Onnis

Ignazio OnnisDa sempre impegnato nel sociale e in particolare nel Coordinamento e Ufficio Politiche della Disabilità della CGIL in Sardegna, Ignazio Onnis è mancato improvvisamente, il 6 dicembre scorso, all’età di 55 anni.
«Era una persona meravigliosa – ci viene riferito dall’
ABC Sardegna (Associazione Bambini Cerebrolesi) – un compagno di viaggio di tante battaglie, trasparente, solare, senza peli sulla lingua con gli amici e con tutti, sempre in prima fila nelle battaglie per i diritti delle persone con disabilità. Una vita, la sua, intensissima».
E per ricordare degnamente Ignazio – che era stato colpito dalla poliomielite a 16 mesi di vita – crediamo che nulla di meglio ci sia che riprendere il testo integrale di un suo intervento elaborato una decina di anni fa e riprodotto in
I nuovi eroi. Vita, scienza e politica dei cerebrolesi e delle loro famiglie (a cura di Marco Espa e Vittorio Pelligra, Erickson, 1997), vale a dire gli Atti di un Convegno organizzato nel 1996 dalla stessa ABC Sardegna, con il titolo Come la famiglia così la società. (S.B.)

«Ringrazio moltissimo gli organizzatori, sono contentissimo di essere qua, soprattutto perché era davvero da tanto tempo che non si aveva la possibilità di un confronto così interessante. Io purtroppo sono potuto venire soltanto stamattina, perché lavoro, mi sono anche pentito di non avere preso il permesso sindacale, perché nel mio lavoro c’era un gran da fare, eravamo in pochi, però, e valeva proprio la pena di esserci anche da ieri.
Però è anche bello pensare che quando sei al lavoro non sei un handicappato, ma sei soprattutto un lavoratore e in quanto tale è giusto essere presenti e rispettare anche i nostri impegni. Credo che sia molto importante, e mi complimento tantissimo con le relazioni che sono state fatte stamattina – sto parlando di quelle della professoressa Morosini, del professor Masala e del professor Pierelli – l’apprezzamento è davvero molto alto. Soprattutto perché credo che abbiano posto al centro il problema del disagio – mi danno un po’ fastidio questi termini, handicap, disabile, handicap rispetto a chi, disabile rispetto a chi. Io credo che fondamentalmente preferirei usare la parola “persone che hanno particolari bisogni”, in definitiva ci siamo un po’ tutti di mezzo, perché male che vada, o bene che vada, si diventa tutti anziani, e qualche bisogno particolare viene per tutti quanti.
In primo piano Ignazio Onnis, al microfono Giampiero Griffo di DPI (Disabled Peoples' International) a un convegno tenuto qualche anno fa in Sardegna Ma volevo sottolineare un aspetto; prima di tutto dico che è molto importante questo momento, veramente sono molto contento, tanto più perché qua in Sardegna, non soltanto perché siamo in un’isola, ma a causa anche del tipo di cultura, noi viviamo un grande isolamento, a volte dovuto alla geografia, e spesse volte dovuto anche a noi.
Se per un attimo mettiamo da parte i toni trionfalistici del discorso dell’associazionismo e ci contiamo veramente, vediamo che la realtà appare un po’ diversa. Alzate la mano tutte le Associazioni che ci sono… Oddio, molto poche, ma il problema vero è che di fatto le poche associazioni che ci sono, che lavorano, rischiano a volte di duplicarsi, di fare la stessa cosa e non comunicano tra di loro. Credo che fondamentalmente stamattina sia stato posto il problema, prima dal punto di vista della politica sociale e sanitaria, quando il Professore diceva: «Ragazzi qua si spendono tanti soldi, si spende sette volte tanto per far star male le persone, e se ne potrebbe spendere sette volte meno per farle stare molto bene».
Un aspetto è questo. L’altro punto riguarda il discorso molto interessante della fisiatria, fatto dalla professoressa Morosini; io lavoro in un  centro di riabilitazione, e posso confermarvi che di fatto il nucleo del problema che ha posto la professoressa è che noi dentro, nei progetti di riabilitazione, ci siamo veramente molto poco; un po’ la fretta, un po’ i disguidi e questo frazionamento di interventi, a volte ci sentiamo “tirati” un po’ da una parte, un po’ dall’altra. Vorrei capire per chi si fanno queste cose in definitiva.
Non scandalizzatevi quando si inventano servizi, ma non tanto per chi dovrebbe usufruirne, ma per altre persone. Se si parla solo del “piano socio-sanitario”, non so chi lo conosce di voi, ma, per esempio, gli handicappati non esistono, i tossicodipendenti non esistono, in questo piano i dati non si sa come mai sono quelli e risultano sbagliati. Si sono “inventati” questi piani per alcune categorie di operatori; stiamo attenti a questo tipo di giochi. Si dovrebbe veramente lavorare sulla libera circolazione e sull’indipendenza delle persone; ma soprattutto di fronte all’indipendenza culturale, non tecnica; la tecnica si fa in fretta a recuperarla, ma le motivazioni interiori è molto più difficile suscitarle; è inutile che mi impiantino delle protesi, anche le più sofisticate, quando io poi le metto nel comodino e non le sfrutto; quando si parla di un intervento dal punto di vista del soggetto umano, allora bisogna lavorare orientandosi in un’altra direzione. Per questo io trovo che quando si riescono a realizzare, questi momenti diventino straordinari, perché si lavora alla pari, invece che nell’isolamento delle varie situazioni di intervento.
Io ho avuto la poliomelite a 16 mesi, adesso ho 42 anni, sono nato in un periodo sfortunatissimo perché la fisiatria non esisteva, c’era soltanto l’ortopedia; non sono ridotto su una carrozzella perché mi sono sobbarcato un’armatura che consiste nelle due protesi più il busto, e ogni giorno faccio la mia “disfida di Barletta”. Credo che soprattutto bisogna pensare che noi siamo persone a cui piace godere delle gioie della vita, non siamo solo “sfortunati”, abbiamo dei sentimenti, non la sessualità, perché siamo anche considerati “asessuati” da quel punto di vista. Allora non abbiamo paura di affrontarle queste cose qua, soprattutto se nelle sedi opportune. Non si può mica affrontare sempre il problema del disagio dal Maurizio Costanzo Show. Oppure non limitiamolo a quello [grassetti nostri, N.d.R.]».

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