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Non si possono «ingabbiare» le persone con disabilità psichica

Primo piano di ragazzo con riflessi colorati sul voltoCome cittadini a pieno titolo, le persone con disabilità hanno gli stessi diritti di qualsiasi altro e, in particolare, il diritto alla dignità, alla parità di trattamento, a una vita autonoma e alla piena partecipazione alla vita sociale.
L’Unione Europea promuove l’inserimento attivo e la piena partecipazione dei portatori di handicap nella società, in linea con l’approccio che inquadra il tema delle disabilità nel contesto dei diritti umani. La disabilità, infatti, è una questione da affrontare nell’ambito dei diritti e non da lasciare alla discrezione dei singoli, un approccio, questo, che è lo stesso al centro della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, cui l’Unione Europea ha aderito come organismo a sé stante.

Non vi è dunque giustizia e rispetto dei diritti umani dove non vi sia partecipazione attiva e riconoscimento delle differenze e in questo senso la persona con disabilità psichica non dev’essere solo destinataria passiva di politiche che la riguardano, ma soprattutto un soggetto protagonista.
Questo vale a incominciare dallo stesso progetto di vita, che non può essere tale se sono gli altri a decidere tutto. In sostanza, se non viene dato nessuno spazio all’intervento del soggetto con disabilità psichica e/o intellettiva nelle scelte che lo riguardano, si rischia di “passivizzarlo” e di renderlo oggetto passivo di un intervento assistenzialistico. La partecipazione di queste persone al loro percorso significa altresì la possibilità di farne funzionare le capacità e di sviluppare tutte le potenzialità della loro umanità. E invece, in genere, il progetto di vita viene impostato dagli altri e spesso la persona si ritrova senza la possibilità di incidere minimamente sul corso della propria esistenza, con la negazione della sua libertà di scelta.

Non si può “blindare”, “ingabbiare”, “precostituire” tutta l’esistenza delle persone con disabilità psichica e/o intellettiva e a tal proposito l’importanza del lavoro come fattore fondamentale per la loro integrazione sociale e vita autonoma è una certezza ormai da tempo acquisita, quanto meno a livello di coscienza collettiva culturalmente avvertita e un minimo informata sulle potenzialità e i diritti fondamentali e inviolabili di quelle persone. E tuttavia le dinamiche sociali, culturali, scientifiche ed economiche impongono che un sistema normativo – per quanto complesso e avanzato – metta in atto, con tempestività, processi di aggiornamento e revisione degli strumenti di cui dispone, per accrescere a tutti i livelli l’inclusione sociale e la diretta partecipazione di queste persone “gabbate e silenziate”.
Né bastano le norme da sole, che troppo spesso restano lettera morta. Servono infatti anche politiche e battaglie specifiche, perché la cultura dei diritti va riconquistata ogni giorno, per potere concretamente affermare i diritti delle persone che vivono in condizioni di disabilità.

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