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Sardegna: tra ritorni al passato e scommesse di partecipazione

In primo piano ruota di carrozzina, in mezzo alla quale si intravedono altre persone con disabilità che manifestanoIl 4 febbraio scorso è stata depositata presso il Consiglio Regionale della Sardegna la Proposta di Legge n. 110 che reca il titolo: Compiti associativi di rappresentanza e tutela dei disabili. Tale proposta – sottoscritta da numerosi consiglieri regionali esponenti di alcune forze politiche che governano la Regione Sardegna – mira a ripristinare primazìe esclusive di rappresentanza alle associazioni storiche (ANMIC – Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi Civili; UIC – Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti [citata per altro ancora come “Unione Italiana Ciechi” nella Proposta di Legge, N.d.R.], ENS – Ente Nazionale per la Protezione e l’Assistenza dei Sordi [citato per altro ancora come “Ente Nazionale Sordomuti” nella Proposta di Legge, N.d.R.], ANMIL – Associazione Nazionale Muitilati e Invalidi del Lavoro; UNMS – Unione Nazionale Mutilati per Servizio), che, a questo scopo, riceverebbero il riconoscimento di «interesse pubblico».
L’iniziativa, andando oltre il rapporto proficuo costruito in questi mesi tra le Federazioni FISH Sardegna (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e la stessa FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali dei Disabili), appare come un vero e proprio ritorno al passato dal punto di vista legislativo e culturale. Infatti, sono ormai trascorsi ben trentatré anni da quando queste associazioni sono state “de-pubblicizzate”, perdendo in sostanza il ruolo storico della rappresentanza istituzionale degli invalidi civili e sensoriali, di quelli del lavoro o per servizio [il riferimento è al DPR 616/77, N.d.R.].

Siamo quindi di fronte ad un tentativo di “recupero” di un ruolo superato dalla stessa evoluzione delle istituzioni e delle autonomie locali, da significative riforme sociali, quale quella dei servizi integrati e della programmazione socio-sanitaria. Dal 1977, infatti, è decollata una nuova e diversa cultura che mira a programmare risposte, progetti e servizi organizzati, non sulla base di “categorie”, ma dei bisogni commisurati alla persona nella sua interezza. Da quella stagione, quindi, sono decollate le politiche di integrazione che hanno costruito una diversa coscienza e una nuova consapevolezza il cui risultato più innovativo è stata la Legge Quadro sull’Handicap 104/92.
Il progresso della ricerca scientifica, l’individuazione e la diagnosi di malattie rare prima sconosciute, l’approntamento di nuove terapie sanitarie e mediche e l’insorgere conseguente di nuovi bisogni, hanno generato una diversa articolazione dell’associazionismo, che è diventato molto più specifico, più mirato, ma soprattutto protagonista. Tante patologie specifiche e condizioni individuali di disabilità – che determinavano situazioni personali limitanti – erano inglobate infatti dentro il concetto giuridico onnicomprensivo e indistinto di invalido. E oltre ad essere pressoché assente la specificità, soprattutto non era considerata la persona nella sua unicità.
Iniziava da allora il cammino che portava a riconsiderare la disabilità non solo come condizione individuale, ma anche in rapporto all’organizzazione sociale e all’ambiente. Insomma appariva sempre più chiaro che lo svantaggio (handicap) poteva essere ridotto e in molti casi superato, ridisegnando e riprogettando il territorio, i servizi e l’ambiente circostante.
E ancora, con il nuovo clima culturale decollava anche la grande e impegnativa esperienza dell’integrazione scolastica, in contemporanea alla progressiva chiusura delle istituzioni totalizzanti, ciò che concretizzò il rientro di tante persone con disabilità nel loro ambiente familiare.

Tutti questi processi – lunghi nel tempo, difficili ma inclusivi – hanno progressivamente e profondamente innovato la cultura italiana, producendo numerose forme organizzative sociali animate dalla volontà di tanti cittadini decisi nel costruire risposte ai propri bisogni e alle proprie aspettative. Nasceva una diversa consapevolezza dei diritti umani e di cittadinanza e fioriva l’impegno per essere partecipi alle scelte riguardanti la propria vita.
Questa grande ricchezza è un terreno fertile da cui non si può tornare indietro; è una risorsa che non può essere affidata e ancor meno delegata ad altri perché perderebbe la vitalità e la ragion d’essere che la anima e la rende pregnante nell’opinione pubblica e quindi nella stessa concezione culturale. Si tratta di un grande movimento che – andando oltre la monetizzazione del bisogno e la categorializzazione dei cittadini – pone con forza l’esigenza di una politica moderna dei servizi, delle prestazioni e delle opportunità.

Ne consegue che un così gigantesco processo, spesso contrastato, sofferto, ma nel complesso proficuo, non è restringibile o riducibile alla burocratica rappresentanza affidata a cinque associazioni di categoria. Siamo – come si può osservare nella citata Proposta di Legge n. 110 – in presenza di un tentativo di ritorno al passato e di una riedizione di approcci che non susciteranno azioni innovative, ma che, al contrario, rischiano di indebolire le motivazioni e le rivendicazioni del movimento ampio delle persone con disabilità.
Rivendicare l’esclusività della rappresentanza ripropone vecchie aspirazioni di delega che servono a mantenere una concezione largamente superata dalla storia, dalla cultura e dalla legislazione, ma soprattutto  a generare divisione nel movimento di emancipazione dei disabili.
La rappresentanza – a parere della FISH Sardegna – non può essere riferita a categorie indistinte di fasce di cittadini, ma si fonda su una funzione sociale moderna che punta a costruire consapevolezza e protagonismo dei cittadini con disabilità attraverso la costruzione di opportunità, di diritti, di processi virtuosi e di una nuova qualità sociale. Non mera rappresentanza, dunque, ma partecipazione consapevole di tutte le organizzazioni a tutti i livelli, per decidere insieme ciò che tutti ci coinvolge, in modo uguale e in modo diverso.
Insomma, la partecipazione, per la FISH Sardegna, non è uno strumento, ma il “prodotto alto” derivante dal rapporto unitario dei partecipanti e dal coerente confronto interassociativo. Non esiste un “interesse pubblico” indefinito, ma esiste l’interesse di cittadini che perseguono risposte e servizi destinati a tutti. Più ampio e più partecipato è il movimento dei portatori dei bisogni e delle aspettative, più ricca e più qualificata sarà la funzione sociale svolta da tutte le associazioni per la piena inclusione.

Per tutte queste ragioni e per queste finalità abbiamo proposto, sostenuto e condiviso l’istituzione in Sardegna della Consulta Regionale sulle Disabilità: è questo, a nostro parere, il luogo più democratico e più alto della rappresentanza dell’interesse pubblico, la massima espressione delle parti sociali che devono avanzare proposte, promuovere programmi e iniziative. Ed è nella Conferenza Regionale – prevista dalla Legge Regionale 7/08 – che tutte le organizzazioni possono esercitare il massimo grado di partecipazione, operando per soluzioni di governo e di programmazione finalizzate al perseguimento dell’inclusione di tutti i cittadini.
Non siamo quindi per la rappresentanza-delega, ma siamo per il maggiore coinvolgimento delle organizzazioni i cui componenti intendano impegnarsi da protagonisti, per essere riconosciuti cittadini fra cittadini. Non servono altre leggi. Occorre invece dare pratica attuazione alla legge istitutiva della Consulta Regionale sulle Disabilità perché ogni organizzazione possa dare il proprio contributo.
Nessuna esclusione, nessuna esclusività, nessuna marginalizzazione. Rivendichiamo invece, in tempi rapidi, l’attivazione della Conferenza Regionale e l’elezione democratica della Consulta quale nuova grande opportunità per dare risposte a chi in Sardegna attende con fiducia e speranza.

*Presidente della FISH Sardegna (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).

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