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La qualità della ricerca per la qualità della vita

Particolare di persona in carrozzinaLa cultura dei diritti che il mondo della disabilità tenta di costruire e di imporre a ridosso della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità prevede un diritto fondamentale quando l’essere umano, ancorché disabile, diventa una persona malata, ovvero il diritto alla libertà di scelta della cura. La legge italiana lo sancisce a tutela dell’individuo nel momento di debolezza caratteristico dello stato di assenza di salute. Altri diritti ne sono corollario, quali il cosiddetto “consenso informato”, la gratuità del Servizio Sanitario Nazionale eccetera.
Al diritto di libera scelta della cura corrisponde però, immediatamente, un dovere della medicina, intesa come medicina di base o ambulatoriale od ospedaliera: il dovere di proporre solo ciò che è utile alla persona divenuta “paziente”. A sua volta il concetto di utilità non può essere definito per legge, non può far riferimento a una norma, ma diventa una questione etica e deontologica. Il dovere della cura utile impone una prassi, quella dell’aggiornamento costante, dello studio e della formazione continua. L’origine della formazione e dell’aggiornamento sono i risultati della ricerca.
La ricerca di base o applicata ha il suo fondamento, ovvero il suo principio fondante, nella piena libertà di indagine, che può incontrare limiti solo di carattere etico personale, ma che trova stimolo continuo proprio dalla richiesta di salute che proviene dall’esterno e alla quale deve rispondere.

Abbiamo così descritto la catena di relazioni che condizionano vicendevolmente i soggetti del sistema paziente-medicina-ricerca. Si tratta di un sistema articolato e complesso da descrivere in ipotetiche condizioni di normalità, ma che diventa ancor più complesso nella realtà del mondo contemporaneo. Procedendo per semplificazioni, da subito possiamo rilevare una novità che riguarda oggi l’ambito della ricerca: dall’essere un mondo isolato – lo “scienziato nella torre d’avorio” – esso è divenuto un mondo sovraesposto e sottoposto a un pressing che vuole risultati. Risultati che poi daranno visibilità, notorietà e quindi più facile accesso ai fondi di cui la ricerca non può fare a meno. A causa poi della “fame di risorse” – lesinate dalle pubbliche finanze – sulla ricerca, che è sempre più a partecipazione privata, si addensano sospetti di dipendenza negativa dalla fretta di “pubblicare”, dall’autopromozione, dai finanziatori e dall’endemica povertà. Tutto questo, giustamente e fortunatamente, avviene sotto l’attenzione dei mezzi di comunicazione. In questo modo vengono condivise speranze su ricerche appena cominciate, si anticipano ipotesi di future applicazioni.
Può così accadere che la persona “paziente”, libera di scegliere e informata, alla voce Cellule staminali su internet, incontri in un centro di ricerca estero suggestioni per la soluzione ai suoi mali. Soluzione che il Servizio Sanitario Nazionale – che deve/dovrebbe essere coerente con i princìpi di efficacia e appropriatezza delle cure – non vuole pagargli.
L’Istituto, di cui non citiamo il nome, operante in cliniche europee, offre, per 7.454 euro, un trattamento intratecale con cellule staminali per la cura di un qualsiasi trauma al midollo spinale, assicurando, a suo dire, un alto tasso di successo, oppure propone, per patologie cardiovascolari, un’angioplastica coronarica con “spennellatura” di cellule staminali a 11.500 euro.
Dove sta il problema? A chi il diritto dell’imprimatur scientifico? E se la ricerca ha i suoi guai, il Sistema Sanitario non ne esce meglio. Tempo fa, ad esempio, fu costretto da una sollevazione popolare televisivamente guidata ad accollarsi le spese di una scelta politica e non scientifica (tale fu la soluzione del cosiddetto “caso Di Bella”), oppure recentemente è stato sommerso da un’ondata di critiche e sospetti per la vicenda dei vaccini antinfluenzali, quando c’è invece da chiedersi cosa sarebbe accaduto se gli imprevedibili virus si fossero evoluti in forme letali e i vaccini non fossero stati preparati. Scienza democratica?
Pagato il tributo alle semplificazioni, ripetiamo che, comunque, è delle relazioni e non dei fatti episodici che vorremmo discutere.

*Il Coordinamento Paratetraplegici del Piemonte aderisce alla FAIP (Federazione Associazioni Italiane Paratetraplegici) e alla FISH Piemonte (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap). Il presente testo è un estratto dell’intervento presentato il 26 marzo 2010 a Torino, durante il Convegno del Politecnico La qualità della ricerca per la qualità della vita: dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (se ne legga nel nostro sito cliccando qui).

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