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Niente di ciò che umano mi è indifferente

Uno dei tanti striscioni della manifestazione del 7 luglio a RomaDal momento in cui mi è stato chiesto di parlare delle ragioni che mi hanno spinto ad affrontare un viaggio di oltre mille chilometri, tra andata e ritorno, in poco più di ventiquattr’ore, le prime parole che mi si sono affacciate alla mente sono state quelle del commediografo latino Publio Terenzio Afro, vissuto nel secondo secolo avanti Cristo: Homo sum, humani nihil a me alienum puto (“Sono un essere umano, niente di ciò che è umano mi è indifferente”), che, a dir la verità, pensavo sepolte sotto quintali di ricordi.
Ho realizzato che – in un epoca in cui dilaga l’individualismo selvaggio – si rende necessario pensare, agire, comportarsi in modo diverso e chi può riuscirci meglio di noi che siamo “diversi” o che abbiamo a che fare quotidianamente con la diversità?
Allora sono scesa in piazza, pur non avendo un’indennità di accompagnamento da difendere, perché agli ipovendenti non spetta. Sono scesa in piazza per i miei amici che non hanno potuto, costretti a casa da condizioni fisiche ed economiche precarie. Protestare costa, sia in termini di stress fisico che in termini economici. Fortunatamente posso ancora contare su un paio di gambe buone, su polmoni capaci di dar fiato a una voce squillante e su uno stipendio sufficiente a sostenere la trasferta… a quel che manca degli occhi ha provveduto mia sorella.
Mi preme sottolineare questa presenza perché personalmente – ma ritengo sia valido anche per altri – il coraggio e la forza di manifestare pubblicamente accanto al mio handicap si sono manifestati solo dopo avere affrontato svariati conflitti personali e familiari.

Ho partecipato alla manifestazione tenutasi il 7 luglio davanti alla sede del Senato, uno dei simboli della democrazia, perché un Ministro della Repubblica [Giulio Tremonti, ministro dell’Economia, N.d.R.] non può e non deve ledere una categoria di Cittadini, offendendone in modo tanto brutale la dignità, oltre a tentare biecamente di privarne buona parte degli scarsi mezzi di sussistenza.
Vivendo la piazza con le sue voci, i suoi colori, la sua fantasia, le sue storie, la sua rabbia composta, ho avuto la sensazione di essere circondata da persone impegnate a difendere qualcosa di più grande del proprio beneficio economico; uomini e donne che non hanno guardato dall’altra parte, facendo proprie, forse senza conoscerle, le parole di uno scrittore vissuto agli albori della nostra civiltà.
Onestamente, devo ammetterlo, a posteriori mi rimane una punta d’orgoglio che accompagna la consapevolezza di avere contribuito, insieme a tutti gli altri, alla stesura di una pagina importante della nostra storia: quella in cui il mondo della disabilità, unito e compatto, entra in azione in prima persona, senza delegare ad altri le proprie battaglie. Senza, per questo, disprezzare o rinnegare l’aiuto e il sostegno altrui.

La speranza, credo condivisa da molti, è che un evento di tale portata, oltre agli effetti immediati e necessari sulla Manovra Finanziaria, possa avere offerto un importante spunto di riflessione in materia di Cittadinanza e Costituzione, non solo a Ministri e Deputati, ma anche a tutti coloro che, normodotati e non, hanno pensato e detto: «Tanto non mi riguarda!».
Ritengo inoltre che se fosse stato attribuito maggiore rilievo all’iniziativa da parte della stampa e se essa non fosse stata in concomitanza con altri eventi di pari gravità, altri cittadini avrebbero urlato «Vergogna!» al nostro fianco, perché questo Paese non è abitato solo da gente vacua e indifferente.

*Comitato di Coordinamento Pavese per i Problemi dell’Handicap (coordpvhandy@yahoo.it).

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