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Cerchiamo di includere la disabilità in tutto quello che facciamo

Kareem Dale, non vedente, assistente speciale del presidente degli Stati Uniti Obama sulle politiche riguardanti la disabilitàDirettore associato del White House Office of Public Engagement – sorta di “interfaccia” tra la Casa Bianca e la società civile statunitense – Kareem Dale, persona non vedente che utilizza il bastone per camminare in autonomia, è assistente speciale del presidente Obama sulle politiche per la disabilità, primo consulente ad avere sinora assunto questa qualifica.
Laureato in Giurisprudenza all’Università dell’Illinois, Dale ha incontrato Obama nel 1998, quando lo aveva invitato a parlare – in veste di senatore di quello Stato – presso la  Black Law Students Association dell’Università, ovvero l’Associazione degli Studenti di Giurisprudenza di colore. Con Obama ha condiviso poi la campagna presidenziale del 2008, anche allora in veste di consigliere sulle politiche per la disabilità.
Nella presente intervista, rilasciata a Ed O’Keefe del «Washington Post», Dale si sofferma sull’
ADA (Americans with Disabilities Act), legge entrata in vigore il 26 luglio 1990, provvedimento “storico” in ambito di diritti umani negli Stati Uniti, e sul suo impatto sia sulle politiche federali che sull’opinione pubblica in generale.

In quale modo l’ADA ha aiutato, in questi vent’anni, le persone con disabilità americane?
«Credo che le persone con disabilità del nostro Paese siano molto soddisfatte dei progressi ottenuti. Ora ci sono le rampe e gli scivoli e io stesso posso beneficiare delle scritte in braille sulle porte delle stanze d’albergo e negli ascensori. C’è una migliore accessibilità nei trasporti, ci sono autobus accessibili alle persone in carrozzina e una serie di ragionevoli accomodamenti che i datori di lavoro devono necessariamente mettere a disposizione.
C’è stato dunque un significativo cambiamento di rotta in questi vent’anni, ma resta ancora molto da fare, ad esempio in ambito di tecnologie. Infatti, quando l’ADA venne approvata nel 1990, internet non era certo quello che è diventato ora, e lo stesso discorso vale per le altre tecnologie».

Può darci un esempio di come l’ADA potrebbe essere meglio applicata in ambito di tecnologia?
«
Un quesito più semplice potrebbe essere: “l’ADA vale anche per i siti web”? Molti tribunali hanno detto di no, un paio, invece, hanno forse detto di sì, ma la questione resta aperta. Il nostro Dipartimento di Giustizia ha recentemente annunciato il programma di emanare nuove norme riguardanti proprio l’applicazione dell’ADA a internet».

L’ADA ha favorito una migliore comprensione, da parte gli americani, della condizione delle persone con disabilità?
David A. Paterson, non vedente, è l'attuale governatore dello Stato di New York«Ritengo certamente che lo abbia fatto, anche se naturalmente non basta avere una legge come l’ADA per poter arrivare a cambiamenti quasi “epocali”, come l’elezione di un governatore cieco allo Stato di New York, ciò che è successo con David A. Paterson.
In altre parole, non si può arrivare a questo senza che contestualmente sia cambiata la consapevolezza dell’opinione pubblica. Dovremmo dunque chiederci: siamo complessivamente soddisfatti dell’evoluzione sociale in questo settore? Probabilmente no, ma tra le cose che il presidente Obama sta tentando di fare, vi è anche quella di dare il “buon esempio”, dicendo ai Cittadini: “Guardate, ci sono persone con disabilità che lavorano per la mia amministrazione”».

Quali sono i principali obiettivi dell’Amministrazione Obama rispetto alle politiche sulla disabilità?
«Credo che essi non differiscano troppo da quello che il Presidente sta tentando di portare a temine per tutti gli americani. Rispetto alla salute, ad esempio, la proibizione alle compagnie di assicurazione di negare la copertura sanitaria sulla base di preesistenti condizioni mediche [provvedimento contenuto nella riforma della salute recentemente approvata, N.d.R.] è certamente una “cosa immensa”. Stiamo ora affrontando la riforma dell’istruzione, che è un’altra questione cruciale per le persone con disabilità. E naturalmente anche l’occupazione e il lavoro rappresentano un punto molto importante, tenendo tra l’altro conto dello stato attuale della nostra economia».

Come si è comportato il settore privato rispetto all’inclusione delle persone con disabilità nel mondo del lavoro?
«I progressi ci sono stati e varie aziende del settore privato hanno fatto cose notevoli, sia nel settore del lavoro che in quello della tecnologia. E tuttavia, c’è bisogno di fare di più. Il tasso di occupazione delle persone con disabilità, infatti, è di almeno cinque punti percentuali al di sotto di quello delle persone non disabili. Dobbiamo quindi fare meglio, come dobbiamo fare meglio all’interno dello stesso Governo».

E a tal proposito, qual è oggi il tasso di occupazione delle persone con disabilità all’interno del Governo?
«Nel Governo poco più del 5% delle persone ha una disabilità e meno dell’1% sono persone con gravi disabilità».

Al di là di questo ventennale dell’ADA, come continuerete a tenere in primo piano le questioni delle persone con disabilità americane?
«Quello che stiamo cercando di fare è di includere la disabilità in tutto quello che facciamo. Un buon esempio può essere la creazione del nostro Ufficio per i Giochi Olimpici, Paralimpici e della Gioventù, ove sin da subito abbiamo incluso le persone con disabilità del movimento paralimpico, non volendolo fare successivamente. Noi cerchiamo quindi di includere le persone con disabilità fin dall’inizio, in modo tale che possano davvero essere pienamente integrate».

*Traduzione e adattamento, in collaborazione con Stefano Borgato, di un’intervista curata da Ed O’Keefe e pubblicata il 25 luglio 2010 da «The Washington Post». Il testo originale è disponibile cliccando qui.

Sulle questioni trattate nel presente servizio, suggeriamo anche la lettura – sempre nel nostro sito – di: Compie vent’anni quella pietra miliare delle leggi sulla disabilità, disponibile cliccando qui.
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