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Manca ancora la cultura delle differenze

Particolare di faccia di uomo anziano con gli occhiali, in un'espressione pensierosaGentile Bomprezzi [l’articolo di Franco Bomprezzi cui si riferisce Andrea Ponzano è stato pubblicato dal nostro sito con il titolo Siamo sicuri che «non è mai troppo tardi»? ed è disponibile cliccando qui, N.d.R.], la ringrazio per le sue parole sulla “battaglia di Gardaland”, di cui sono felice che lei abbia sempre inteso il pieno significato: non di un giro su questa o quella giostra (il punto, come lei spiega benissimo, non è l’Ortobruco piuttosto che il Blu Tornado), ma di discriminazione basata sulla riconoscibilità somatica, argomento su cui insistiamo da molto tempo ormai.

Condivido le sue preoccupazioni circa la piega culturale che sta prendendo la nostra società e le voci violente e intolleranti, prive di quel minimo di cultura del rispetto che dovrebbe essere caratteristica di una società evoluta.
Credo che la causa principale del volume sempre più alto di queste voci, e del numero sempre maggiore di esse, sia la totale mancanza, nel nostro Paese, di una cultura delle differenze. E dico apposta delle differenze e non del “diverso”, perchè il diverso non esiste. Esistono i diversi, anzi i differenti (la parola diverso ha ormai acquisito un’accezione vagamente negativa, quasi fosse un sinonimo di escluso, disadattato, “strano”, per questo preferisco usare “differente”, che ha un suono più fresco e nuovo), cioè tutti noi.
Le differenze ci distinguono dagli altri, ma allo stesso tempo ci rendono simili: essere differenti è forse la caratteristica più comune a tutti gli esseri umani.
Essere differenti è normale. Credo manchi questo piccolo “click” nella testa della maggior parte degli Italiani, spesso anche di quelli in maggiore buona fede.
E credo anche che sia il momento di interrogarci a fondo noi per primi, rappresentanti delle associazioni, persone e famiglie con disabilità, su cosa abbiamo fatto negli anni per aiutare la nostra società a fare questo “click”: se non sia il caso di rivedere il tipo di messaggio e le modalità delle nostre campagne di sensibilizazione di informazione, di comunicazione con la società.

L’autocritica la faccio in primo luogo sulla sindrome di Down, che mi riguarda da vicino, sia come genitore che come persona impegnata nel mondo associativo. Troppo spesso risultati e capacità di integrazione dei nostri ragazzi – magari ancora poco diffusi, ma impensabili soltanto fino a qualche anno fa, e in costante aumento – vengono omessi dalla comunicazione, sistematicamente occultati per il timore di creare “false” aspettative o di perdere davanti agli occhi dell’opinione pubblica e della classe politica il diritto a benefìci sacrosanti che andrebbero però difesi, a mio avviso, in tutt’altro modo.
In parte siamo noi per primi a dover cominciare a dare a noi stessi e alle persone che rappresentiamo più rispetto: solo così avremo più forza e ragione di pretenderlo dagli altri. Altrimenti casi come quello di Gardaland saranno inevitabili e, in parte, noi ne saremo responsabili.

Oltre all’articolo di Franco Bomprezzi da cui prende spunto il presente intervento (Siamo sicuri che «non è mai troppo tardi»?, disponibile cliccando qui), ai problemi riguardanti Gardaland e le persone con disabilità, il nostro sito ha dedicato anche – recentemente – i testi intitolati Questa è discriminazione nei confronti delle persone con sindrome di Down, Perché Gardaland non ha ragione (Andrea Ponzano) e Gardaland, sindrome di Down e altre strutture: situazioni che fanno ancora discutere (disponibili cliccando rispettivamente qui, qui e qui) e qualche tempo fa, esattamente tra il 2007 e il 2008:
– Gardaland: cambierà quel regolamento sulle persone Down?
(cliccare qui)
– Gardaland e persone Down: proviamo a ragionare (Marco Vesentini) (cliccare qui)
– A Gardaland hanno ragione (Carlo Giacobini) (cliccare qui)
– No carrozzina? No disabile… (cliccare qui).
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