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Per proteggere le cellule, essenziale il corretto smaltimento dei loro «rifiuti»

Disegno che rappresenta la pulizia cellularePulizia uguale salute: una regola che vale anche per le cellule. In uno studio, infatti, pubblicato dal «Journal of Cell Biology»*, Francesco Cecconi, ricercatore Telethon presso l’IRCCS Fondazione Santa Lucia e l’Università Tor Vergata di Roma, ha chiarito nuovi e importanti aspetti sui meccanismi con cui le cellule si ripuliscono da molecole tossiche. Una scoperta, questa, che fornisce non solo importanti informazioni su un meccanismo molto conservato in natura, quello cioè dell’autofagia, ma che suggerisce anche nuovi possibili bersagli farmacologici. La “pulizia cellulare”, infatti, ha un ruolo molto importante in patologie neurodegenerative, come le malattie di Parkinson e Alzheimer, ma anche in patologie di origine genetica, come quelle da accumulo lisosomiale, la corea di Huntington e le distrofie muscolari, nonché in numerose forme di tumori.
Malattie molto diverse, ma accomunate dal fatto che materiali cellulari danneggiati si accumulano progressivamente danneggiando i tessuti. Poter regolare farmacologicamente i processi di autofagia potrebbe quindi rivelarsi una mossa vincente per proteggere le cellule e migliorare così i sintomi nei malati.

Il meccanismo dell’autofagia – o autodigestione – è noto già dagli anni Sessanta, ma c’è ancora molto da scoprire sulle varie molecole coinvolte e sul loro ruolo.
In questo processo di smaltimento dei “rifiuti”, le sostanze da eliminare (proteine mutate, mitocondri danneggiati e altri materiali di scarto) vengono inglobate in vescicole chiamate autofagosomi. Il contenuto viene poi trasportato e rilasciato nei lisosomi, organelli cellulari addetti alla degradazione vera e propria.
Il gruppo di Cecconi – in collaborazione con altri ricercatori dell’Istituto Lazzaro Spallanzani di Roma, ha preso in considerazione una proteina chiamata dineina, che guida gli spostamenti di materiali lungo i microtubuli, sorta di “binari” presenti all’interno della cellula. I ricercatori hanno scoperto dunque che la regolazione di questo motore è dovuta a una loro vecchia conoscenza, la proteina AMBRA1, scoperta proprio da loro nel 2007 e nota per essere un fattore cruciale nell’autofagia. Mutazioni nel gene AMBRA1 portano infatti a un mancato sviluppo del sistema nervoso e a morte embrionale.
In particolare, lo studio appena pubblicato dimostra come la dineina AMBRA1 sia legata direttamente ad AMBRA1 e che – quando il legame si scioglie – quest’ultima avvia il trasporto delle vescicole autofagosomiche verso il luogo di degradazione. La rottura del legame è mediata dall’azione di un’altra proteina, la chinasi ULK1.

«In futuro – spiega Cecconi – contiamo di sviluppare delle piccole molecole, capaci di interagire con AMBRA1 e ULK1, così da modulare i meccanismi dell’autofagia in maniera “dolce”. Esistono già dei farmaci capaci di indurla, ma lo fanno in maniera troppo prorompente e quindi dannosa per le cellule».
Così facendo, la regolazione fine dell’autofagia potrebbe rivelarsi una strategia terapeutica contro la neurodegenerazione priva di effetti collaterali. «La nostra – conclude il coordinatore dello studio – è una ricerca di base, ma, speriamo, stavolta di grande prospettiva applicativa». (Ufficio Stampa Telethon)

*S. Di Bartolomeo, M. Corazzari, F. Nazio, S. Oliverio, G. Lisi, M. Antonioli, V. Pagliarini, S. Matteoni, C. Fuoco, L. Giunta, M. D’Amelio, R. Nardacci, A. Romagnoli, M. Piacentini, F. Cecconi, G. Fimia, The dynamic interaction of AMBRA1 with the dynein motor complex regulates mammalian autophagy, in «The Journal of Cell Biology», 2010; DOI: 10.1083/jcb.201002100.

Per ulteriori informazioni: Ufficio stampa Telethon, ufficiostampa@telethon.it.
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