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Una scuola di tutti, perché a misura di ciascuno

Bimbi disabili a scuolaEgregio Professor Fontanini, non ero presente il 22 ottobre scorso al convegno di Palmanova del CAMPP (Consorzio per l’Assistenza Medico Psicopedagogica) e dunque non ho sentito con le mie orecchie ciò che la stampa ha riferito rispetto alle sue dichiarazioni. Quindi, siccome siamo ormai in campagna elettorale, voglio non prendere alla lettera quanto riportato dai giornalisti (secondo i quali Lei riterrebbe «auspicabile un percorso scolastico differenziato per gli alunni con disabilità») e quindi prima di tutto la ringrazio per avere avuto il coraggio di dire ciò che nella scuola, purtroppo, molti pensano.
Ha ragione: fatti salvi alcuni esempi di buone prassi, all’inclusione non ci siamo proprio. Il fatto è che, taglia di qua e risparmia di là, non c’è più specializzazione nella formazione, tanto per la materia che si va ad insegnare quanto per l’azione di sostegno. Tolta dunque la ricerca, e anche quella didattica e pedagogica. Soppressa la filosofia dei Nuovi Programmi del 1986, perché troppi insegnanti (!) cosa possono fare in due o qualche volta tre, in compresenza nella stessa classe: «chiacchiereranno tra loro!»… Rimossi buona parte dei capi d’Istituto («ne basta uno ogni tot scuole! In fondo deve solo rigirare circolari e personale in modo che tutti i posti siano coperti…»: e per que­st’ul­tima operazione la soluzione è semplicissima: basta aumentare il limite numerico degli allievi nelle clas­si, indipendentemente dalla superficie e dal volume delle aule). E via anche i corsi di aggiornamento obbligatori per gli insegnanti («in fondo si dicono sempre le stesse cose e gli allievi-docenti ci fanno le parole crociate»!)…
Ma soprattutto via i corsi di specializzazione che formavano gli insegnanti per il sostegno: per primi furono istituiti i cosiddetti “monovalenti” (due anni per poter insegnare a una sola tipologia di disabili: eccessivi!); poi i “polivalenti” (due anni per imparare a insegnare a tutte le tipologie di allievi disabili: inutili, costosi e troppo pratici: chiusi!); ora basta un semestre all’Università perché il futuro docente arricchisca le proprie competenze con qualche ora di lezione “speciale” e qualche laboratorio che affianchi i vari saperi.

Professor Fontanini, con quali docenti vuole fare le scuole “differenziali” o “speciali” che dir si voglia? Noi che nelle scuole speciali abbiamo insegnato, siamo ormai quasi tutti pensionati e quando lotta­vamo per essere utilizzati in modo da poter portare la nostra esperienza nella scuola di tutti per aiutare a renderla “anche speciale”, in quanto a misura di ciascuno, non immaginavamo certo che i colleghi ci considerassero una “sottospecie”, come talvolta consideravano quei bambini e ragazzi che noi volevamo istruiti ed educati assieme agli altri, ben sapendo che la nostra didattica e la nostra linea pedagogica erano del tutto trasferibili nel contesto comune.
Le buone prassi lo hanno dimostrato ampiamente: certificati o non certificati, l’essere presi nella propria individualità va a vantaggio dei geni come degli allievi in difficoltà per i più vari motivi, per essere portatori di una disabilità come per l’appartenere a situazioni di disagio o per comunicare in un’altra lingua… e pensi che con l’atteggiamento che ha esposto al convegno del CAMPP di Palmanova avrebbe destinato alla scuola differenziale anche Einstein e molti altri allievi – più modesti di lui, ma comunque molto dotati – che semplicemente mal sopportano il grande gruppo perché il loro cervello gira più velocemente e si annoiano, diventando ipercinetici, disturbatori, chiudendosi in se stessi e assumendo atteggiamenti autistici o aggressivi, per non parlare della foltissima schiera dei dislessici, disgrafici, disortografici, discalculici o degli ipovedenti e dei ciechi, degli ipoacusici o dei sordi.

Forse, Professore, Lei manca dalla scuola da troppo tempo. Se così non fosse anche Lei scenderebbe in piazza per chiedere di incrementare la ricerca e di estendere la specializzazione a tutti gli insegnanti, affinché sappiano essere riferimento per gli allievi (per tutti gli allievi loro affidati), traendo vantaggio dalla conoscenza diretta dei loro colleghi specializzati, utilizzandoli come consulenti in grado di suggerire le migliori tecniche, i migliori sussidi anche tecnologici e quant’altro, affinché possano farsi carico, come dovrebbe essere, di ciascun allievo.
Se non mancasse dalla scuola militante da troppo tempo, anche Lei scenderebbe in piazza per chiedere la riduzione degli allievi per classe in modo da potersi occupare, come insegnante, di ciascuno di loro. E anche Lei chiederebbe più insegnanti, per rendere possibile il lavoro per piccoli gruppi, quella metodologia che non lascia indietro nessuno e favorisce così anche l’imparare a studiare, potendo preparare quegli esami di quinta superiore a cui giustamente Lei pensa.
Comunque non serve preoccuparsi troppo: se non scende in piazza con tutti noi, il problema delle quinte si risolverà da solo perché saranno pochi i ragazzi che ci arriveranno. Saranno i figli dei ricchi, di coloro che finanzieranno con le proprie aziende le poche scuole che rimarranno, dopo che lo Stato – decentrato e privatizzato un po’ alla volta, fino a non possedere altro che il Palazzo del Ministero – avrà risolto i problemi di tutte le Finanziarie, non dovendo più investire nella formazione che – come ben si sa – è il campo che nell’immediato costa di più e dev’essere programmato in proiezione futura.

Forse Le ho dato l’impressione della “saputella”, ma dal di dentro della mia disabilità voglio gridare a Lei e a tutti che noi, che abbiamo studiato nelle scuole speciali, pur avendo goduto di ottimi insegnanti, di materiali didattici adeguati, là dentro, lontani da casa, soffrivamo.
Io appartengo ai disabili visivi che, statisticamente, sono in numero esiguo e dunque venivamo raggruppati per Regione, quando andava bene, ciò che significava collegio, con tutto quello che esso comporta. La prego, siccome «chi non conosce la propria storia è destinato a ripeterla», si incontri con noi disabili e ci dia la possibilità di raccontarci: credo nella forza del dialogo e non voglio che si torni indietro e che altri vivano ciò che noi abbiamo vissuto!
Spero dunque che da questa mia possa scaturire un incontro sulla scuola e su quanto la Sua Amministrazione può fare concretamente per essa, per migliorarla e per aiutarla a diventare “Scuola Comune”, cioè “scuola di tutti in quanto a misura di ciascuno”.

*Tiflopedagogista, direttrice delle attività didattiche ed educative dell’ANFaMiV (Associazione Nazionale delle Famiglie dei Minorati Visivi).

Alle dichiarazioni del 22 ottobre scorso di Pietro Fontanini, presidente della Provincia di Udine ed ex insegnante, oltre che alle sue successive “smentite che non hanno smentito”, il nostro sito ha dedicato i testi:
– Non stanchiamoci di ripeterlo: la scuola è luogo e patrimonio di tutti! (cliccare qui)
– Quando ci sveglieremo dal Lungo Sonno? (di Franco Bomprezzi) (cliccare qui)
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