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Finanza creativa, finanza compassionevole e diritto variabile

Il deputato Domenico Virgilio sta per proporre di prelevare dalle vincite - non dalle giocate - del Superenalotto i fondi a favore delle persone con grave disabilitàL’idea è di Domenico Di Virgilio, deputato e vicepresidente del gruppo parlamentare del Popolo della Libertà (PdL). L’idea è trovare i fondi a favore delle persone con grave disabilità. Il 23 novembre, infatti, ha presentato una “geniale” Proposta di Legge, in occasione di una conferenza stampa alla Camera.
«Si tratta di un provvedimento di alto valore sociale – ha dichiarato Di Virgilio – il cui scopo è quello di destinare una quota del montepremi del Superenalotto a iniziative in favore dei disabili e dei malati cronici non autosufficienti e alla ricerca scientifica in ambito sanitario».
Il meccanismo è semplice: visto che questo Governo è stato “costretto” suo malgrado a ridurre ulteriormente gli stanziamenti destinati alle persone disabili e non autosufficienti, bisogna trovare dei finanziamenti alternativi a costo zero per l’Erario.
Come fare? Ce lo spiega Di Virgilio: «L’idea di dare un carattere sociale al Superenalotto rappresenterebbe una sorta di vincita per tutti perché, attraverso la destinazione del 50 per cento della quota eccedente a 75 milioni di euro, qualora naturalmente il monte premi totale superi tale importo, per sostenere i disabili e i malati cronici non autosufficienti e per sostenere la ricerca scientifica finalizzata alla cura di gravi patologie si potrebbe migliorare la qualità della vita di tanti malati».
Nota bene: il prelievo è sulle vincite  (mica scemo!) – non certo sulle giocate, che vanno a rimpinguare comunque le casse dello Stato. «Del resto – chiosa Di Virgilio – si tratta di un impegno economico per il bene comune e penso che sia i giocatori che i vincitori dei premi, quest’ultimi onorati di essere stati toccati dalla dea bendata, sarebbero felici di contribuire a migliorare l’assistenza e la ricerca in Italia». Eccomeno! E ancora più contento è lo Stato che non sborsa un quattrino da tutta l’operazione.
L’idea, ovviamente, fa rabbrividire: per le non autosufficienze i finanziamenti non sarebbero, nemmeno questa volta, legati a un diritto, ma alla variabilità della dea bendata e, forse, al buon cuore degli italiani “brava gente”.
Meglio così, in fondo. In fondo poteva svegliarsi qualcun altro e ipotizzare quella stessa operazione a favore delle operazioni in Afghanistan o in Iraq. O forse no… in quel caso, infatti, come spiegare ai militari che le pallottole arrivano solo se il Superenalotto fa cassa?…

L’8 per mille
Strano che al “geniale” onorevole Di Virgilio non sia venuto in mente qualcosa di più semplice, come finalizzare univocamente l’8 per mille destinato allo Stato alle persone non autosufficienti. E farne adeguata pubblicità tramite i canali televisivi come fa – per sé – la Chiesa Cattolica.
Ah no… non si può! L’ultima che ha proposto qualcosa del genere (destinare cioè l’8 per mille dello Stato al Fondo per l’Infanzia Abbandonata) fu letteralmente “linciata” – politicamente – sia da destra che da sinistra.
Correva l’anno 1996 e la proposta arrivò da Livia Turco – che era ministro per la Solidarietà Sociale nel primo Governo Prodi -, provocando reazioni rabbiose. L’allora “tesoriere pontificio” Attilio Nicora ribatté sdegnato – trovando ampia solidarietà politica – che lo Stato «non doveva fare concorrenza sleale alla Chiesa». E tutto morì là. Forse è il caso di ricordarselo in questi giorni in cui ci si accalora per la restrizione del 5 per mille per il no profit.

Il 5 per mille
Sì, l’indignazione attorno alla restrizione del 5 per mille al no profit, in questi giorni è alle stelle. E spesso la rabbia fa dimenticare alcuni elementi di fatto.
Secondo la convinzione comune, con quel meccanismo il contribuente può destinare il 5 per mille delle imposte che deve allo Stato, ad associazioni no profit (autorizzate dall’Agenzia delle Entrate). In realtà non è così. In realtà il Legislatore ha posto un limite a questo trasferimento: 400 milioni di euro l’anno. Questo significa che non è vero che l’intero 5 per mille delle imposte va al no profit. Quindi la volontà dei contribuenti è solo in parte rispettata.
Da quest’anno il Legislatore – si legga la maggioranza dei Parlamentari, su proposta del Ministero dell’Economia – vorrebbe abbassare ulteriormente il limite di 400 milioni a 100 milioni.
Il ministro dell'Economia Giulio TremontiVale la pena innanzitutto rammentare che – al di là che il limite sia di 400 o di 100 milioni – si tratta di una limitazione sperequativa rispettivo al meccanismo dell’8 per mille che invece non conosce limiti e soggiace a regole “perverse”, che qui non approfondiamo, ma che portano alla Chiesa Cattolica una percentuale di destinazione superiore a quanti siano i contribuenti che hanno effettivamente sottoscritto a suo favore. E fra le accalorate voci di questi giorni nessuno ha sollevato questa contraddizione.
Abbiamo invece rilevato, fra le motivazioni contro il taglio al 5 per mille, una considerazione che non può che trovarci in disaccordo, ovvero che il “taglio” al 5 per mille non sarebbe sostenibile, anche perché contemporaneo al taglio di altri fondi per le politiche sociali.
Ebbene, riteniamo che questo sia un argomento pericoloso: i diritti fondamentali dei Cittadini non possono essere delegati alle associazioni di volontariato, né – tanto meno – essere affievoliti da motivazioni di bilancio, come ha in più occasioni sottolineato la stessa Corte Costituzionale.
È un argomento pernicioso: è come sottintendere che è possibile una delega al volontariato per la soddisfazione dei diritti primari. Ed è come accettare che questa soddisfazione sia condizionata da quanto i contribuenti riconoscono a questa o quella organizzazione volontaristica e mutualistica. E non si dica che la stessa Costituzione, all’articolo 38, afferma che «l’assistenza privata è libera», perché questo significa altro.
Si ricordi piuttosto che il terzo articolo della stessa Costituzione – uno dei princìpi fondamentali – sancisce essere «compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese»: è un compito della Repubblica, non del volontariato. E si lasci pure perdere il concetto di sussidiarietà che ha senso solo all’interno di una programmazione, di un’articolazione di diritti certi e di risorse altrettanto garantite.
No. Il 5 per mille è un finanziamento al no profit. Punto. Che ciascuna organizzazione se lo meriti o no lo verifica e lo decide il Contribuente. Ed è forse questo che dà fastidio a qualcuno: non crediamo, ad esempio, che i contributi a favore di Emergency raccolgano grande favore nell’attuale compagine governativa.
Il tutto, comunque, non ci sembra la “madre di tutte le battaglie”.

Diritti variabili
Ma torniamo ai diritti, i diritti umani, quelli incomprimibili, quelli sanciti dalla nostra Costituzione. Non c’è verso: il Legislatore da dieci anni – in modo bipartisan – scantona, oppone limiti di bilancio, richiama le competenze locali appellandosi al Titolo V della Costituzione. Ma per mantenere il consenso, ogni tanto, concede. Concede piccole cose, ma mai che costituiscano un diritto.
Di cosa stiamo parlando? Dei Livelli Essenziali dell’Assistenza Sociale, tanto per usare l’esempio più eclatante. Cioè di quelle indicazioni che dovrebbero fissare un diritto di accesso ai servizi minimo, ma certo e omogeneo su tutto il territorio nazionale.
Il deputato Marco Milanese, relatore di maggioranza del recente emendamento di 100 milioni di euro, finalizzati a «interventi per la SLA»Un esempio, lampante, di questo scantonamento ce l’abbiamo in questi giorni in sede di discussione della Legge di Stabilità 2011.

La Camera ha appena approvato (325 favorevoli su 329 votanti) un emendamento della maggioranza che stabilisce un contributo di 100 milioni di euro «a favore della sclerosi laterale amiotrofica», vale a dire la SLA, tanto per usare la semplificazione giornalistica maggiormente adottata.
Il testo reale dell’emendamento (che dovrà essere votato anche in Senato) non è ancora disponibile, ma gli atti della Camera sono chiari. Ha dichiarato infatti l’onorevole Marco Milanese, relatore di maggioranza: «Preannuncio la presentazione di un subemendamento […], con il quale andiamo a finalizzare interventi per la SLA, quindi interventi in tema di sclerosi laterale amiotrofica: ricerca, campagna di informazione e promozione dell’assistenza domiciliare dei malati – articolo 1, comma 1264, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 [Finanziaria per il 2007, N.d.R.] – prevedendo una dotazione di 100 milioni di euro».
L’operazione – che pure ha raccolto una pioggia di applausi – è quanto meno bizzarra e lancia una marea di interrogativi. Che cosa significherà mai «promozione dell’assistenza domiciliare»? L’assistenza domiciliare o si fa o non fa, non si «promuove». Da quanto si legge, poi, non arriverà nulla direttamente alle persone (quelle che il relatore definisce «malati»): i 100 milioni andranno in ricerca (ma chi la fa? Con quali criteri?), in campagna di informazione (su che? Sulla prevenzione della SLA di cui non si è ancora certi nemmeno delle cause?) e sulla fantomatica «promozione dell’assistenza domiciliare».
E poi – soprattutto – perché il Relatore inserisce quella zeppa di riferimento legislativo? Forse sarà sfuggito ai 325 deputati favorevoli, ma quella citazione si rifà al Fondo per le Non Autosufficienze, inventato nel 2006 dal centrosinistra e ignorato – nella sostanza – dal centrodestra. Forse significa che quei 100 milioni rifinanziano un Fondo divenuto uno “scandalo”, prima che una “grottesca barzelletta”? O che quel Fondo servirà a finanziare la ricerca? O che sarà destinato solo alle persone non autosufficienti affette da SLA?
Ma se quei 100 milioni di euro fossero “incamerati” dal Fondo per le Non Autosufficienze e concessi solo alle persone con SLA, per qualunque altro Cittadino che si trovi in identiche situazioni sanitarie e assistenziali, si potrebbe agevolmente invocare il dubbio di legittimità costituzionale e la disparità di trattamento.
Insomma, un bel pastrocchio anche dal punto di vista tecnico-giuridico. Ma non è questo il punto. L’emendamento riconosce un contributo (e, come abbiamo visto, lo fa pure male), ma ancora una volta non stabilisce un diritto che sia valido, al di là della disponibilità – residuale! – di bilancio. Di Livelli Essenziali dell’Assistenza Sociale ancora non si parla. Anzi, se da una parte si concedono 100 milioni per il prossimo anno (non in eterno, ricordiamolo!), «per la SLA», dall’altra parte il Fondo per le Politiche Sociali subisce una cesoiata che metterà ancora più in ginocchio i servizi sociali dei Comuni.
L’emendamento giunge al termine di una battaglia sacrosanta di un manipolo di persone decise e ammirevoli che con senso civico hanno protestato davanti a Palazzo Montecitorio. Affetti da SLA, chiedono quella garanzia di assistenza che la loro condizione spesso disperatamente impone. Non hanno chiesto la carità, hanno chiesto una garanzia. Non sono portatori di bisogni, sono portatori di diritti,  di quella dignità sociale che l’articolo 3 riconosce a tutti i Cittadini.
Cosa ci sia da applaudire, sommessamente, lo ignoriamo.

*Direttore editoriale di Superando.

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