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Quando si riconoscerà anche in Calabria la persona che sta dietro alla disabilità?

Realizzazione grafica di simbolo della disabilità, cacciato a calciHa atteso invano e a lungo, la signora Livia Ferrato, un cenno di scuse dall’Assessorato alle Politiche Sociali del Comune di Reggio Calabria, poi, in risposta a una sua protesta, le è giunto il 21 febbraio un fax in cui addirittura si affermava che, se voleva fruire del servizio “a pagamento”, avrebbe dovuto «motivare la richiesta» (!). A questo punto la signora dice: «Basta, facciamo qualcosa!».

Ma andiamo con ordine: la mattina del 7 gennaio scorso Livia è costretta a scendere dal pulmino, e ricorrere all’aiuto di un amico, per recarsi a un centro diagnostico dove aveva prenotato una TAC, perché gli operatori del Servizio Mobility Bus avevano avuto tassativi ordini dalla dirigente dei Servizi Sociali del Comune di non imbarcare l’assistente personale: lo vieta il regolamento.
La signora Ferrato è persona che vive in modo indipendente, nonostante gli esiti della poliomielite le impediscano di camminare e le limitino i movimenti delle braccia, fruendo dell’assistenza personale di alcune operatrici, da lei stessa retribuite, che la aiutano nelle uscite per la spesa, a camminare per la strada a causa delle innumerevoli barriere architettoniche, oltre che, ovviamente, per le faccende di casa e per l’igiene personale.
Una vita organizzata e dignitosa, come tante altre in Calabria, che le Istituzioni Pubbliche ignorano, perché altrimenti dovrebbero incoraggiarle e supportarle, per gli alti costi che l’istituzionalizzazione ha avuto e ha tuttora sulla spesa sanitaria.
E così Livia Ferrato sa che l’assistente personale è un suo diritto, ma sa anche di vivere in un territorio dove ancora la politica dei servizi domina sulla tanto decantata “attenzione della persona”, dove ancora persiste la stigmatizzazione della “diversità”, dove ancora non viene riconosciuta la persona che sta dietro alla disabilità.

Ed è in questa pseudocultura di politici e amministratori che nasce l’idea che una persona con grave disabilità, per fruire di un servizio, debba comunicare dove deve recarsi, in modo che qualcun altro giudichi se visitare quel luogo è opportuno o no… Ma qual è il criterio? È facile intuirlo: una persona con disabilità può essere accompagnata solo a un ambulatorio medico… e non osi chiedere di andare a trovare un amico. Ed è proprio ciò che è accaduto! Qualche giorno fa, infatti, la signora Livia ha chiesto di andare a trovare un amico e la risposta è stata negativa.
Così, l’alibi del Regolamento che l’aveva lasciata a piedi il 7 gennaio – superato dal fax del 21 febbraio a firma dell’avvocato Carmela Stracuzza – segna una seconda e ben più grave discriminazione, perché entra nella sfera privata di Livia Ferrato.
Per questo abbiamo deciso di “fare qualcosa”, denunciando l’episodio all’opinione pubblica e valutando attentamente i fatti, anche in sede giudiziaria, con il pensiero a tutte le persone con disabilità costrette a subire l’insensibilità e le ingiustizie di chi, in buona o in cattiva fede, continua ad ignorarne i diritti.

*Presidente dell’ANFFAS di Reggio Calabria (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale).

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