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Libertà di scelta: una riflessione

Uomo forografato di profilo con le mani congiunte sul voltoMentre in televisione sono iniziati i soliti dibattiti sul testamento biologico, chi scrive è un disabile affetto da una forma di distrofia muscolare che quasi sicuramente passerà l’ultimo periodo della propria vita attaccato a delle macchine per la respirazione, alimentato attraverso un buco nello stomaco. Per intenderci, per chi lo ricorda, come il grande Piergiorgio Welby. Al solito, ogni dibattito è una sofferenza per chi sa già che stanno parlando di lui e di quello che potrà decidere o no.

La prima considerazione da fare è quella sulla disonestà intellettuale degli interlocutori. A che titolo si permettono di parlare di cose così personali, delle quali non hanno e quasi sicuramente mai avranno esperienza diretta, se neanche il sottoscritto sa cosa si prova in quelle fasi terminali e riesce solo ad intuire l’enorme sofferenza provata da chi è adesso in quella situazione? Com’è possibile che loro abbiano delle certezze?
A volte mi capita di invidiare chi ha la verità in mano, chi “sa tutto” e vuole decidere anche per me. Queste decisioni, infatti, appartengono a una sfera talmente personale che dovrebbe essere impensabile pretendere di normarle limitando la libertà di scelta individuale. Invece accade che persone, pervase da “sacro fervore” (dov’ è a questo punto la differenza con i “fanatici musulmani”?), si sentano in diritto di scegliere e decidere per gli altri.
Mi riferisco ai vari Melazzini [Mario Melazzini, presidente dell’Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica e presidente della Consulta Nazionale delle Malattie Neuromuscolari, N.d.R.], Roccella [Eugenia Roccella, sottosegretario nazionale alla Salute, N.d.R.], e, perché no, a Papa Ratzinger. Gentili Signori, per favore non toglieteci l’ultima libertà: quella di decidere sulla nostra vita.
Oltretutto, sappiamo tutti quanti che alla fine – è già successo tantissime volte e succederà ancora – se proprio vogliamo spegnere le macchine possiamo farlo benissimo, costringendo chi ci ama a farlo per noi. Perché allora questa ipocrisia da doppia morale? Perché usarci questa sottile violenza, peggiore di qualunque tortura fisica? Perché sottrarci l’ultimo nostro diritto umano?
Se la vostra azione, sicuramente in buona fede, dettata dal “sacro fuoco”, serve a tacitare la vostra coscienza, sappiate che non credo vi farà guadagnare il vostro paradiso; con tutta probabilità, se questo esiste, ci ritroveremo tutti assieme all’inferno, anche se, forse, non credo che sarei contento della vostra compagnia. Se invece la motivazione è un’altra, allora dobbiamo aprire un diverso discorso.

Vi siete mai chiesti dove risiedono i pazienti attaccati alle macchine? La maggior parte di loro è in famiglia. Hanno uno o più familiari, quasi sempre donne, totalmente dedicate a loro. Queste “schiave” non hanno più una vita propria. Qualche volta hanno qualche ora di assistenza fornita dal sociale, spesso questa assistenza è intermittente, quasi mai qualificata. Il tutto a un costo piuttosto elevato. In sostanza, questi pazienti sono abbandonati a se stessi e come splendidamente esprime un vecchio detto, «chi vuole Dio, se lo prega». Tutto è basato sul ricatto “d’amore” alle famiglie.
Quei pazienti, invece, che non è possibile gestire a casa, sono sempre in strutture specializzate, quasi sempre “private”. Sono assistiti da personale estraneo e le loro condizioni dipendono dal grado di consapevolezza, onestà intellettuale e spirito di sacrificio di questo personale; perciò, se sono fortunati, hanno un’assistenza almeno decente, se sono sfortunati, in genere, “se ne vanno presto”.
Per i pazienti nelle strutture i costi sono enormi: superano spesso i 10.000 euro al mese. Bisogna però riflettere che, se per la società si tratta di costi enormi, per gli Istituti, al contrario, si tratta di entrate finanziarie enormi.

Ora alcune domande: perché per i pazienti a casa si spende così relativamente poco, lasciando tutto il peso alla famiglia? Perché lo stesso paziente in Istituto costa così tanto? Perché lo si vuole anche privare della libertà di decidere sulla propria esistenza, costringendolo a subire lo strazio di un qualcosa che non si può più definire vita? È forse legittimo almeno sospettare che quest’ultimo fatto abbia a che fare con il giro di danaro che si potrebbe interrompere?
Immagino già l’indignazione che queste mie parole potranno suscitare. Sappiate però che è proprio la doppia morale che ci ha insegnato a sospettare la malafede.
Come io non pretendo di imporre la mia volontà agli altri in decisioni così personali, allo stesso modo mi aspetto – anzi pretendo – che venga rispettata la mia libertà di scelta. Perciò, cari signori, in nome di quella coscienza che pretendete di avere, per favore lasciateci vivere e morire come ci pare! Onestà e rispetto verso gli altri, è così che ci si guadagna il paradiso!

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