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Un servizio a Torino che si occupa di sessualità e disabilità

Oriella Orazi, «Nell'Amore n. 2»Come è nato lo Sportello Passepartout?
«Il Servizio Passepartout è nato poco più di dieci anni fa quale specifica scelta strategica dell’Amministrazione Comunale di Torino, per rispondere alle continue richieste di aiuto e sostegno delle persone con disabilità fisico-motoria e delle loro famiglie. Esso è organizzato su tre macroaree di attività: l’area dell’informazione e della comunicazione sociale, con la creazione e la gestione del sito InformadisAbile e la promozione di attività di comunicazione sociale multimediale; l’area della mobilità e delle attività di contrasto alle barriere architettoniche, con la gestione del servizio buoni taxi e dei minibus attrezzati, la promozione delle attività di trasporto e accompagnamento solidale, la consulenza sulle barriere architettoniche private (come da Legge 13/89) e pubbliche (come da DPR 503/96); l’area socio-educativa, con la programmazione e l’avvio delle prestazioni sociosanitarie: servizi diurni, residenziali, assistenza domiciliare, convivenza assistita, vita indipendente, Progetto Prisma per le relazioni di aiuto, servizio disabilità e sessualità».

Perché dedicare uno spazio specifico proprio al tema della sessualità e della disabilità?
«Il tema della sessualità delle persone con disabilità spesso è legato alle questioni esistenziali o bioetiche che maggiormente si prestano all’illusione di un facile approccio e di un esercizio di facili soluzioni, ma non è così. Questo, infatti, è un argomento di straordinaria complessità, che coinvolge in modo dirompente la qualità della vita delle persone.
Considerata, dunque, la grande difficoltà a rispondere alle richieste di aiuto da parte delle persone con disabilità e delle famiglie e degli operatori dei servizi pubblici e del privato sociale, si è reso necessario individuare una specifica linea progettuale, pensata e organizzata per rispondere in modo più appropriato a tutte le implicazioni che un argomento di questa portata comporta. Dopo un lungo periodo di sperimentazione dell’idea iniziale – realizzata a favore delle persone con disabilità intellettiva – abbiamo ritenuto di poter procedere a una seconda fase di compiuta strutturazione del servizio, organizzandolo su due grandi aree di destinatari: le già citate persone con disabilità intellettiva e quelle con disabilità fisico-motoria. Abbiamo costituito un Comitato Scientifico cui è assegnato il compito di indirizzo e sostegno dell’intero impianto metodologico e operativo».

Con quali criteri avete scelto gli operatori che gestiscono il servizio?
«Intanto distinguiamo le fasi. Dal 1991 l’équipe di operatori sviluppa un progetto formativo e di supervisione del personale, collegato a momenti di incontro, informazione e confronto con le famiglie. L’iniziativa affida la consulenza scientifica al professor Fabio Veglia.
All’inizio il laboratorio settimanale era rivolto a utenti con handicap lieve, allo scopo di incrementare la consapevolezza di sé e del proprio corpo. L’esperienza di laboratorio ha però fatto emergere problemi e tematiche ben più complessi, rispetto alle risorse di competenze possedute dall’équipe. Si è resa quindi necessaria la realizzazione di un progetto che formasse in modo più completo ed esauriente il personale, con l’obiettivo di acquisire strumenti adeguati per affrontare l’argomento, sempre sotto la guida e la direzione di Fabio Veglia.
Nell’ultimo triennio, infine, è stata avviata anche l’attività per la disabilità fisico-motoria e per questa ragione il servizio ha ritenuto di doversi avvalere della collaborazione tecnica del Comitato Scientifico, cui è demandata la formazione e la supervisione per gli operatori».

Cosa succede quando l’utente si avvicina al vostro servizio?
«È necessario distinguere le due attività. La prima, quella “storica”, è aperta alle persone con disabilità intellettiva ed è rivolta, come ovvio, agli operatori sociali e alle famiglie, senza coinvolgere direttamente le persone con disabilità. La seconda, invece,  è rivolta principalmente proprio alle persone con disabilità fisico-motoria e – seppure in misura residuale – agli operatori dei servizi.
Fatta questa piccola premessa, nel primo caso gli operatori e/o le famiglie chiedono un appuntamento e vengono accolti al servizio; nel secondo caso un operatore è disponibile per informare sul servizio stesso e, quando necessario, per accogliere le eventuali richieste di colloquio, soddisfatte da un’équipe multidisciplinare, composta da una sessuologa, da una psicologa e da un peer educator. Questo primo incontro è necessario per indirizzare la persona sulle risorse offerte dal progetto e per strutturare il percorso di sostegno».

Può farci una sorta di identikit della persona tipo che si rivolge a voi per questo particolare contesto?
Giovane uomo in carrozzina con una donna non disabile in braccio«Come ho già riferito, sono operatori sociali e famiglie per le persone con disabilità intellettiva, mentre nel caso dei disabili fisico-motori, si tratta di persone che vogliono supporto nelle relazioni, ad esempio dopo avere subìto un incidente e capire quali servizi sono a disposizione.
Sono cittadini, compagni, partner e familiari che vogliono comprendere se è possibile recuperare o instaurare una relazione dopo un trauma o la scoperta di una patologia; se e come è possibile continuare ad essere genitore o diventare genitore. Sono persone che vogliono recuperare la vita di un tempo o vivere “normalmente”, ma non sanno come fare, sono disorientate».

Quali sono le più frequenti richieste che ricevete? E le più rare?
«Dobbiamo sempre ricordare che le aree di attività sono due e le richieste sono molto differenti tra loro. Per quanto riguarda la disabilità intellettiva, sono per lo più richieste su come gli operatori o i familiari possano agire di fronte a comportamenti che creano disagio; mentre l’altro servizio – per la disabilità fisico-motoria – riceve richieste dettate dal bisogno di avere informazioni a tutto campo che sono in genere assicurate o dalle strutture ultraspecialistiche – unità spinali, urologi, ginecologi – oppure assai più maldestramente dal passaparola, dalle esperienze personali, che dopo poco si ammantano di verità universali e di certezze scientifiche che ovviamente non hanno, data l’assoluta singolarità delle patologie, dei traumi e dei loro effetti, oltreché, naturalmente, delle conseguenze del tutto personali e irripetibili sul piano psicologico, emotivo, affettivo ecc.
Al nostro servizio chiedono di essere aiutati a mettere ordine intanto su questo aspetto. Non di rado la vera richiesta di aiuto verte sulle implicazioni affettive e relazionali, non disgiunte da preoccupazioni legate all’ossessione del ripristino delle funzionalità perdute o gravemente attenuate. Capita spesso, poi, in sede di colloquio, che emergano altri problemi centrati sul tema della qualità delle relazioni».

L’utenza femminile è numerosa?
«Non in modo così rilevante».

Cosa vi chiede una donna con disabilità?
«Il quesito è spesso: “Perché un uomo dovrebbe avere voglia di avvicinarsi a una donna disabile?”; è insomma la voglia di una vita di coppia che fa avvicinare le donne con disabilità al servizio. Poi, chiaramente, si affrontano i problemi tipici femminili, spesso affrontando argomenti molto intimi, non immediatamente legati al rapporto di coppia, ma alla propria persona e alla propria intimità, intesa nella sua accezione più riservata. Allora, come detto, le domande sono quelle tipiche dell’universo femminile: “dove posso andare per fare un controllo ginecologico”, “come devo interpretare questo fastidio o malanno”, “qual è l’ambulatorio più accessibile” e così via. Per fortuna abbiamo una rete di servizi che ci supporta egregiamente».

In internet capita di incontrare annunci di uomini che offrono prestazioni sessuali a donne con disabilità. Vi sono mai capitate tali situazioni? E come riuscite a gestire la questione?
«Queste situazioni non ci sono capitate, per ora, ma non tarderemo a misurarci anche con queste problematiche, che nascondono tuttavia un fenomeno che stiamo osservando nonostante le mille difficoltà che si possono facilmente intuire e cioè il “turismo sessuale”. È una caratteristica certamente più vicina all’universo maschile, anche in conseguenza dell’attribuzione miracolistica dei più recenti ritrovati della farmacologia».

Ma questo è veramente un fenomeno reale?
«Non sono in grado di rispondere con certezza; le informazioni che abbiamo su questo argomento sono poco più che dicerie; forse non è un argomento che le persone affrontano volentieri con la nostra équipe, ma nei nostri focus group questo dato emerge, eccome!».

Grazie alla sua esperienza nel mondo della disabilità, potrebbe dare una definizione sulla differenza tra come vive la sessualità una donna disabile rispetto a una donna normodotata?
«Mettiamola così. Da un punto di vista introspettivo, le donne con disabilità vivono e percepiscono la propria sessualità esattamente nello stesso quadro di complessità di qualsiasi altra donna normodotata. Paura, aspirazioni, desideri, ecc. Ma quando la donna disabile si misura idealmente nella relazione con un’altra persona, le differenze si marcano eccome. Ancora di più se la persona desiderata è normodotata. In questo caso è evidente che il senso di inadeguatezza può condizionare in modo dirompente l’intera costruzione del progetto d’amore. Anche se vale sempre la pena di convenire sul presupposto che quando si parla di sessualità, i termini quali normale o normodotato sono davvero imprudenti. Ci vuole cautela». (Gaia Valmarin)

*Referente del progetto sulla sessualità delle persone disabili del Servizio Passepartout del Comune di Torino (tel. 011 4428013, informahandicap@comune.torino.it), del quale Claudio Foggetti è responsabile e fautore. Intervista già apparsa, con il titolo Un servizio in tema di sessualità e disabilità, nel sito  del Gruppo Donne UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), a cura di Gaia Valmarin. Viene qui ripresa, con minimi riadattamenti, per gentile concessione del Coordinamento Gruppo Donne UILDM.

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