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Una proposta per il futuro dell’inclusione scolastica

Alunno in carrozzina a scuola, con un'insegnante e una compagnaIl 14 giugno scorso è stato presentato e discusso in un convegno a Roma il rapporto denominato Gli alunni con disabilità nella scuola italiana: bilancio e proposte – pubblicato da Erickson – a cura dell’Associazione TreeLLLe e della Caritas Italiana, con il sostegno della Fondazione Giovanni Agnelli.
Si tratta di un testo che propone una rivoluzionaria riforma dell’attuale sistema di inclusione scolastica in Italia, prendendo le mosse dalle numerose carenze attuali in termini di mancato coordinamento di tutti gli interventi, dell’eccessiva delega ai docenti per il sostegno, della deriva giudiziaria per l’assegnazione delle ore di sostegno e della mancata valutazione di efficacia e di efficienza dell’intero processo.

Molto in sintesi, si propone sostanzialmente l’abolizione della figura del docente per il sostegno, così come la conosciamo, in quanto di tutti gli oltre 90.000 docenti  per il sostegno, il 10 o il 20% verrebbe selezionato e formato per diventare “figura di tutoraggio e di supervisione” deambulante per le scuole appartenenti a un determinato ambito territoriale, con il coordinamento di un Centro Territoriale per l’Integrazione Scolastica (d’ora in poi CTI), dotato di autonomia amministrativa, organizzativa e personalità giuridica. Tutti gli altri docenti per il sostegno rientrerebbero invece nelle scuole come docenti curricolari, costituendo una sorta di “organico di istituto”, data la loro preparazione per consulenze ai colleghi curricolari.
Ci sarebbe inoltre una formazione iniziale obbligatoria per tutti i futuri docenti curricolari sulla didattica, non solo degli alunni con disabilità, ma anche di tutti gli altri con bisogni educativi speciali (disturbi specifici di apprendimento – DSA, disagio personale, psicologico e socioambientale, culturale ed etnico ecc.).
E ancora, scomparirebbe la certificazione di disabilità e per la valutazione dei bisogni educativi speciali di ciascuno si applicherebbe la diagnosi di funzionamento di cui all’ICF (la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute, definita nel 2001 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità), alla quale dovrebbe seguire per ogni alunno con bisogni educativi speciali il PEI (Piano Educativo Individualizzato), entrambi predisposti in collaborazione  con gli ex docenti per il sostegno, divenuti “specialisti” presso i CTI.
Per quanto poi riguarda le attuali risorse per l’inclusione scolastica – i fondi per il sostegno a carico del Ministero, quelli per l’assistenza all’autonomia e alla comunicazione a carico degli Enti Locali e quelli per l’assistenza igienica a carico delle singole scuole autonome -, essa non dovrebbe essere ridotta, ma totalmente destinata a questo nuovo progetto.
Le scuole, infine, dovrebbero coordinarsi in rete nell’ambito del territorio governato dal CTI, presso cui sarebbero incardinati i nuovi “specialisti di tutoraggio”, che avrebbero come “terminali” i Gruppi Lavoro Handicap (GLH) d’istituto i quali verrebbero però integrati anche con una maggiore rappresentanza dei docenti curricolari e dovrebbero occuparsi di tutti i bisogni educativi speciali.

Ebbene, l’ipotesi è indubbiamente affascinante, ma dovrà fare i conti con alcuni grossi problemi. Vediamo quali.
I CTI sembrerebbero dover sostituire – almeno in parte – i GLIP (Gruppi di Lavoro Interistituzionali Provinciali) e forse anche gli Uffici Scolastici Provinciali. Gli stessi CTI dovrebbero tuttavia essere coordinati da un Centro Regionale – attualmente non previsto nella proposta – che assegnasse loro le risorse, una sorta di struttura intermedia fra i CTI stessi e un Coordinamento Interministeriale, affiancato, quest’ultimo, da una Consulta Nazionale sulla Disabilità (questi ultimi, invece, sono previsti). Ma tutta questa organizzazione non è certo semplice.
Interessante è poi l’esplicitazione della necessità di una “valutazione triangolare”, da parte degli utenti, degli operatori delle singole scuole e dei CTI. Ciò però presupporebbe l’individuazione analitica di alcuni indicatori di qualità: strutturali, di processo e di esito.
Sembra strano, invece, che non vi sia alcun cenno al ruolo dei compagni come agenti di integrazione scolastica ed extrascolastica. A tal proposito, per altro, si prevede nella proposta l’intervento del volontariato, sia a scuola che fuori. In tal senso è innanzitutto indispensabile distinguere tra volontariato e altri soggetti del Terzo Settore, come le cooperative sociali e le associazioni di promozione sociale, comprendenti queste ultime quasi tutte le associazioni delle persone con disabilità e delle loro famiglie. Personalmente sono contrario al volontariato nelle scuole in orario scolastico, mentre lo vedo bene in attività para ed extrascolastiche; ciò perché rischierebbe di portare a un aumento del numero di persone in classe, mentre occorrerebbe stimolare sempre più la presa in carico del progetto inclusivo da parte dei docenti curricolari e dei compagni.

Alunni in classe con l'insegnanteAltro problema non da poco sarebbe quello della gestione del passaggio dall’attuale sistema a quello proposto. Si prevede infatti un periodo sperimentale che, penso, non possa essere inferiore ai sei anni, tempo necessario alla conclusione dei primi corsi di laurea con l’obbligo di formazione iniziale per tutti i futuri docenti. In tale periodo occorrerebbe mantenere la continuità didattica almeno degli attuali docenti per il sostegno.
Le associazioni hanno da tempo proposto un aumento dell’obbligo di permanenza su posto di sostegno per i docenti di ruolo e un aumento della durata delle attuali supplenze annuali per un periodo pari a un ciclo scolastico (ad esempio il triennio della scuola dell’infanzia, il primo o il secondo ciclo della scuola primaria, il triennio della scuola media ecc.), in modo da poter seguire lo stesso alunno.
Fondamentale, poi, è il problema della formazione obbligatoria in servizio degli attuali docenti curricolari, sino a quando non arriveranno i nuovi docenti curricolari. Senza questa formazione, infatti, qualunque sperimentazione sarebbe destinata al fallimento.
Un’ulteriore questione strettamente collegata è quella della composizione delle classi: infatti, malgrado l’obbligo di venti alunni per classe, ancora si registrano classi con ventotto o trenta alunni nelle quali, spesso, sono presenti più di due o tre alunni con disabilità, talora anche grave.
Ebbene, se non si risolve concretamente questo problema, qualunque formazione iniziale o in servizio  dei docenti curicolari risulta inutile: nessun docente, anche se “superpreparato”, potrà seriamente farsi carico del progetto didattico degli alunni con disabilità.
E così verrebbe vanificata l’ipotesi iniziale e fondamentale della ricerca presentata a Roma: se infatti – come attualmente troppo spesso avviene – gli alunni con disabilità verranno abbandonati a se stessi, a causa dell’eccessivo affollamento delle classi, i genitori pretenderanno sempre più spesso di ottenere dai Tribunali Amministrativi Regionali (TAR) il massimo delle ore di sostegno. E la delega al solo sostegno, che la ricerca vorrebbe superare, continuerà sempre più massiccia.

Occorrerebbe quindi impostare – con negoziazioni sindacali – un piano nazionale di formazione obbligatoria in servizio di tutti i docenti curricolari. D’altro lato, sarebbe necessario che venissero rispettati dagli Uffici Scolastici Regionali i parametri di venti (massimo ventidue) alunni per classe, evitando in modo drastico la concentrazione di più alunni con disabilità nella stessa classe.
E ancora, occorrerebbe evitare l’uscita dalle classi di alunni con gravi disabilità, concentrandoli in una sola classe, ciò che palesemente viola gli stessi princìpi fondativi dell’inclusione scolastica.
Infine si dovrebbe evitare l’uso improprio dei docenti per il sostegno in supplenze di colleghi curricolari assenti, quando l’alunno con disabilità loro affidato sia presente a scuola [su quest’ultimo problema suggeriamo la lettura, nel nostro sito, del recente testo disponibile cliccando qui, N.d.R.].

Torno dunque a dire che la proposta è assai interessante e che non si dovrebbe affossarla a priori. Ma anche che per attuarla sarebbe necessario porre in essere tutte le condizioni indispensabili a renderla operativa, per una vera presa in carico del progetto di inclusione da parte di docenti curricolari preparati, sostenuti dai docenti altamente specializzati operanti presso i nuovi CTI.
Se le risorse attualmente esistenti non verranno ridotte – come invece purtroppo sembra dai programmi di tagli alla spesa del Ministero – l’ipotesi della ricerca sarebbe percorribile in via sperimentale, anche se occorrerebbe precisare quale ruolo dovrebbero svolgere i docenti per il sostegno che rientrano nei normali posti disciplinari. Se dunque essi continueranno a supplire alla presa in carico dei docenti curricolari, non si farà alcun passo avanti rispetto all’attuale situazione di delega ai soli docenti per il sostegno. Se invece diventeranno una risorsa stabile nelle singole scuole, a sostegno dei colleghi curricolari e – nei casi più gravi, specie nei primi anni di scolarizzazione – anche a singoli alunni con disabilità, allora l’ipotesi della ricerca potrebbe prendere corpo, prefigurando il futuro di una nuova fase dell’inclusione in Italia che vedrebbe protagonisti i docenti di classe e i compagni.

*Vicepresidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap). Il presente testo costituisce la traccia di un intervento che apparirà prossimamente nella rivista «L’integrazione scolastica e sociale» di Erickson. Per gentile concessione.

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