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Malattie Rare: impossibile separare il sostegno alla persona da quello al paziente

Paola Facchin, dell'Università di Padova, si è soffermata al convegno dell'ASITOI sulla necessità di una prospettiva differente, quando si entra in contatto con una persona affetta da Malattia Rara, una prospettiva al di sopra della visione «medicalizzata» del paziente da una parte e di quella «socio-assistenziale» dall'altraUna prospettiva differente, totalmente al di sopra della visione “medicalizzata” del paziente da una parte e di quella “socio-assistenziale” dall’altra: è la nuova dimensione a cui si deve guardare, quando si entra in contatto con una persona affetta da Malattia Rara.
Questa visione è stata proposta da Paola Facchin, docente di Medicina di Comunità all’Università di Padova, responsabile del Registro Regionale per le Malattie Rare nel Veneto e componente del Comitato Scientifico di UNIAMO-FIMR (Federazione Italiana Malattie Rare), relatrice, qualche settimana fa, al ventisettesimo Convegno dell’ASITOI (Associazione Italiana Osteogenesi Imperfetta) di Lignano Sabbiadoro (Udine) [se ne legga la presentazione nel nostro sito cliccando qui, N.d.R.].
Tale visione rappresenta una dimensione di indagine sulle Malattie Rare assai più complessa e composita di quella, in continua evoluzione, cui si giunge attraverso gli studi delle cause biologiche di questo tipo di patologie. Dentro una corretta anamnesi del Malato Raro, infatti, deve comparire anche un’osservazione attenta dell’ambiente che lo circonda, dei rapporti con i suoi familiari e delle sue aspettative personali.

Si tratta di osservazioni che rappresentano la definizione più alta di ciò che anche i soci dell’ASITOI – che quest’anno ha scelto di dedicare il proprio convegno nazionale al tema dell’Autonomia – hanno segnalato all’Associazione: è impossibile separare il sostegno alla persona da quello al paziente.
Le associazioni – anche in questo nuovo ambito di intervento – continuano a rappresentare uno strumento importantissimo: la dimensione cui si deve indirizzare aiuto e per la quale si devono elaborare piani condivisi di intervento non è il solo individuo malato, ma la sua famiglia, che diventa l’unità da mettere al centro della rete di sostegno.
Grazie a Paola Facchin, ma anche attraverso una riflessione sulla figura del terapista occupazionale, portata da Irene Malberti del Centro Clinico NEMO (NeuroMuscular Omnicentre) di Milano, il convegno ha raccolto alcuni dati importanti: le leggi per sostenere le persone con disabilità – come chi è colpito in particolare da osteogenesi imperfetta – ci sono, ma troppo spesso vengono disattese o applicate in modo parziale o sbagliato. È il caso della Legge quadro 104/92, che porta già nei primi articoli molti dei princìpi di attenzione alla persona, che troppo spesso si concretizzano in procedure burocratiche complesse e che paradossalmente diventano di ostacolo al riconoscimento di un diritto.

Uno spunto interessante e uno strumento per superare queste difficoltà nasce proprio dalla figura del terapista occupazionale che all’estero, soprattutto nei Paesi del Nordeuropa – come testimoniato a Lignano da Kis Holm Laursen, proveniente dalla Danimarca – è un punto di riferimento importantissimo, per definire gli strumenti di autonomia più idonei alla vita e alle attività del paziente, garantiti e forniti poi direttamente dall’assistenza statale.
In Italia, come ricordato da Irene Malberti, questo importante raccordo tra diagnosi di funzione e vita quotidiana manca, creando una frattura certamente ostica per la persona che vuole raggiungere l’autonomia.
In alcuni casi virtuosi, poi – come quelli dimostrati dal fisioterapista Orazio Vitale e da Tamara Baratella dell’IRCCS Eugenio Medea-Associazione La Nostra Famiglia di Bosisio Parini (Lecco) e dall’istruttrice di nuoto Maria Concetta Scaglione della Polisportiva Terraglio di Treviso – anche figure di diversa specializzazione possono coprire le lacune, con la volontà e la collaborazione essenziale della famiglia del paziente, ma, a parte queste eccezioni, occorre ancora un forte cambiamento di mentalità.
Come fare dunque? La soluzione prospettata – e auspicata – è una nuova visione che non faccia convergere sul paziente passivo professionalità e aiuti differenti (la pluridisciplinarietà), ma ponga il paziente stesso e la sua famiglia come soggetti attivi al centro di una rete per il loro sviluppo (la multidimensionalità): una piccola grande rivoluzione copernicana, che suggerisce al Malato Raro di non essere di volta in volta paziente, titolare di diritti, studente o lavoratore disabile, ma di sentirsi sempre e costantemente Persona a contatto con la società.

Oltre alla speranza di queste innovazioni generali del tessuto sociale, nello specifico delle persone interessate da osteogenesi imperfetta, alcuni interessanti elementi sono pure emersi, durante il convegno in Friuli Venezia Giulia: in particolare, Elena Monti (Dipartimento di Scienze della Vita e della Riproduzione-Sezione di Pediatria dell’Università di Verona) ha illustrato i progressi nella classificazione delle forme recessive di osteogenesi imperfetta, sempre più puntuale grazie alla scoperta di nuovi geni che spiegano molti dei casi fino a cinque anni fa senza una diagnosi certa.
Sempre in ambito di biologia cellulare, Valeria Rasini (Dipartimento di Oncologia ed Ematologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria dell’Università di Modena) ha informato sulle complesse sperimentazioni di terapia cellulare, che potrebbero consentire l’intervento diretto sul metabolismo cellulare dell’osso, per creare nell’organismo le condizioni della crescita di tessuti sani, in sostituzione di quelli alterati e indeboliti dall’osteogenesi imperfetta.
Per il resto, le varie discipline mediche concorrono sempre più strettamente al raggiungimento dell’autonomia del paziente affetto dalla patologia: infatti, sia Georges Finidori, ortopedico dell’Ospedale Necker di Parigi, sia Paolo Fraschini, fisiatra dell’IRCCS Medea-La Nostra Famiglia, hanno concordato sul fatto che tra i vari punti di vista specialistici sulla patologia non dev’esservi una prevalenza di uno sugli altri, ma una collaborazione stretta che proprio la specializzazione può valorizzare e che dev’essere volta a un’unica autonomia, come unico è l’individuo cui queste discipline offrono tanti aiuti concreti a livello sanitario.

In conclusione va detto che l’osteogenesi imperfetta – come tutte le Malattie Rare – porta con sé tante dimensioni e quello medico, benché richieda interventi specializzati e spesso di emergenza, è solo uno dei tanti aspetti che richiedono attenzione da parte della società e degli stessi Malati Rari.
E in tal senso anche l’ASITOI è cambiata e si pone tanti nuovi obiettivi, per essere sempre più vicina alle persone che soffrono di questa patologia e offrire il suo contributo a un progresso fatto di tante dimensioni, ma riassunto in una sola: il diritto per ciascuno al miglior stile di vita.

*L’osteogenesi imperfetta è una malattia del tessuto scheletrico che causa fragilità e deformità delle ossa e che comporta per chi ne è affetto handicap motori anche gravi. Essa colpisce uno su 10.000 nati e rivela il suo sintomo principale con le fratture, anche spontanee, che rendono necessaria una continua e qualificata assistenza medica, con interventi chirurgici a livello ortopedico e terapie riabilitative che garantiscano la massima funzionalità fisica possibile alla persona. Le crisi respiratorie, nei casi più gravi, rappresentano poi un’altra evenienza da prevenire grazie a controlli costanti.

Per ulteriori informazioni: ASITOI, tel. 039 509470, info@asitoi.it.
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