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Vengono lasciate sempre più sole le famiglie di persone con sindrome di Down

Giovane con sindrome di Down in giacca e cravattaÈ un percorso decisamente a ostacoli quello che le persone con disabilità disabili e le loro famiglie devono affrontare ogni giorno in Italia. Ad esempio, cinque famiglie su dieci con una persona con sindrome di Down sono dovute ricorrere a soluzioni autonome, per individuare una sede adatta a fornire servizi riabilitativi. Quattro su dieci sono state costrette poi a rivolgersi a strutture private, pagando di tasca propria a causa della carenza dei servizi pubblici.
È quanto emerge da una ricerca del Censis, presentata a Roma presso IL CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) e realizzata dalla Fondazione Cesare Serono, in collaborazione con l’AIPD (Associazione Italiana Persone Down e con Parkinson Italia, nell’ambito del progetto pluriennale Centralità della persona e della famiglia: realtà o obiettivo da raggiungere?.
 A tal proposito, sono state realizzate due indagini che hanno coinvolto direttamente le persone con disabilità e le loro famiglie e hanno approfondito il loro vissuto, in relazione appunto alla sindrome di Down e al morbo di Parkinson.

Molte e diffuse sono le criticità emerse nel campione rappresentativo di 315 famiglie italiane intervistate in cui vive una persona con sindrome di Down.
La ricerca mette sostanzialmente in luce una serie di problemi vissuti quotidianamente dalle famiglie stesse, situazioni denunciate da tempo dalle associazioni che tutelano i diritti delle persone con sindrome di Down, presenti nelle diverse città italiane, evidenziando ad esempio la carenza dei servizi indispensabili a offrire una risposta dignitosa ai bisogni delle persone con disabilità, bisogni variabili a seconda dell’età.

Servizi riabilitativi e prospettive per il futuro
I servizi riabilitativi sono sempre più ridotti e le famiglie devono ricorrere a strutture private a pagamento per far sì che il proprio figlio possa avere un trattamento di fisioterapia, logopedia o psicomotricità.
Nel dettaglio risulta che il 53% delle famiglie si è dovuto arrangiare per trovare la sede adatta e che il 32% deve combattere con le liste d’attesa. E a pagare le distanze tra la propria abitazione e lo studio del medico sono soprattutto le famiglie del Mezzogiorno. «54,5 chilometri contro i 22 indicati mediamente nelle Regioni del Centro e i 17,2 del Nord», spiega Maria Concetta Vaccaro, responsabile per il Welfare del Censis, che ricorda anche come l’attenzione pubblica riservata generalmente alle persone con sindrome di Down si concentri sui bambini. Ma le persone crescono, e con gli anni la loro disabilità diventa più vincolante in termini di autonomia e di qualità della vita.
In pratica, quanto più le persone con sindrome di Down si avvicinano all’età adulta, tanto più emergono nel confronto con i coetanei le loro difficoltà in termini di autonomia, anche in funzione di quanto il contesto sociale con il quale si confrontano sia in grado di valorizzarne le abilità e le capacità. La permanenza in famiglia è infatti la prospettiva per il futuro indicata nel 50% dei casi per le persone con più di 24 anni, anche perché, con il passare del tempo, i familiari prendono sempre più consapevolezza della scarsa disponibilità di soluzioni al di fuori della famiglia stessa.
Esistono infine – sempre guardando alle persone adulte con sindrome di Down –risposte ancora più insufficienti per quanto riguarda le soluzioni abitative, con le famiglie lasciate sole, ciò che al decesso dei genitori costringe i fratelli ad affrontare problematiche gravi e difficili.

Dalla scuola al mondo del lavoro
Quasi tutti i bambini e i ragazzi Down vanno a scuola (il 97% fino ai 14 anni), ma quando crescono diventa sempre più difficile per loro trovare una collocazione sociale: infatti, quasi un adulto Down su quattro (il 23,4%) sta a casa e non svolge nessuna attività.
Il giudizio delle famiglie sulle scuole è generalmente positivo: è buona la qualità della scuola dell’infanzia per il 65%, della scuola primaria per il 56%, di quella secondaria di secondo grado per il 65%. Le problematiche più frequenti riguardano la preparazione degli insegnanti – sia quelli di sostegno (43%), sia quelli ordinari (39%) – e l’impossibilità di ottenere un numero adeguato di ore di sostegno (41%). Meno diffusa è l’esperienza di difficoltà di integrazione con i compagni (16%).
E tuttavia è significativo notare come, all’aumentare del livello di disabilità, i giudizi negativi delle persone intervistate aumentino in modo vistoso, un dato che sembra sottolineare come la scuola sia capace di fare inclusione laddove le problematiche degli alunni rimangono entro un certo livello di complessità, ma che superata tale soglia il sistema manifesti tutte le sue debolezze, cosicchè le famiglie sono spesso costrette ad azioni giudiziarie, per garantire il diritto allo studio del proprio figlio disabile.
Il percorso oltre la scuola dell’obbligo deve poi far fronte a una consistente riduzione delle opportunità di formazione professionale e dunque a sempre meno possibilità di inserimento lavorativo, anche perché i servizi che dovrebbero occuparsene sono molto scarsi e offrono risposte insufficienti, costringendo le persone con sindrome di Down a rimanere a casa, senza un adeguato “progetto vita”.
È però al termine del percorso formativo – come già accennato – che emergono le maggiori difficoltà. Le opportunità occupazionali, infatti, si restringono ulteriormente e il 56% dei maggiorenni ha difficoltà a trovare un impiego, di qualsiasi genere, a prescindere dai desideri, dalle capacità e persino da una remunerazione.
Ad avere un’occupazione è l’11,2% dei 15-24enni e il 31,4% degli adulti con più di 25 anni. Nel 70% dei casi, chi ha un’occupazione non percepisce alcun compenso (in particolare il 28,1%) o ne percepisce uno minimo, comunque inferiore alla normale retribuzione per il lavoro svolto.

«Serve un impegno maggiore e interventi innovativi e urgenti da parte della Società e delle Istituzioni per non lasciare le famiglie sole»: questo l’appello del ministro della Salute Ferruccio Fazio, intervenuto alla presentazione della ricerca. «Mi piacerebbe – ha aggiunto – che lo Stato fosse più vicino alle persone e auspico che di questo studio del Censis facciano tesoro Ministero, Governo e Stato, per identificare le giuste politiche di sostegno».
«Il Coordinamento Nazionale delle Associazioni delle Persone con Sindrome di Down (CoorDown) – dichiara il coordinatore di esso Sergio Silvestre – auspica e chiede con forza che le figure preposte alla gestione pubblica prendano atto dei problemi emersi e sviluppino una futura programmazione che possa rispondere alle tante famiglie che, quotidianamente e in silenzio, sopperiscono alle carenze di quei servizi essenziali che una società civile dovrebbe erogare. La centralità della persona e della famiglia deve tornare ad essere il perno del nostro sistema e perché questo avvenga, le Istituzioni devono rilanciare il proprio ruolo di supporto e sostegno solidale».

*Coordinamento Nazionale delle Associazioni di Persone con Sindrome di Down.

Per ulteriori informazioni: Federico De Cesare Viola, ufficiostampa@coordown.it.
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