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Sardegna: perché va sostenuta l’attuazione della Legge 162

Giovane donna in carrozzina alla finestra insieme a un uomo non disabileSi parla spesso – e lo si è fatto molte volte anche su queste pagine – di vero e proprio “modello Sardegna”, in riferimento ai piani personalizzati delle persone con grave disabilità, previsti dalla Legge 162/98.
In tal senso, quanto mai illuminante appare il seguente contributo, elaborato da Rita Polo del Comitato dei Familiari per l’Attuazione della Legge 162/98 in Sardegna, che fa parte della Commissione Consultiva Regionale istituita proprio per l’applicazione di tale norma. Il suo approfondito rendiconto dei lavori in corso, in vista dei criteri da adottare per i piani del 2012, traccia infatti una fotografia quanto mai nitida delle criticità e degli aspetti positivi in questo settore.

Sono stata nominata dall’Assessorato Regionale della Sardegna alla Sanità e alle Politiche Sociali a far parte della Commissione Consultiva Regionale per la Legge 162/98, quale rappresentante delegato del Comitato dei Familiari per l’attuazione della stessa Legge 162 in Sardegna, Comitato che rappresenta oltre quaranta organizzazioni di familiari.
Vorrei quindi di seguito presentare le posizioni e le argomentazioni sui criteri regionali per la valutazione e il finanziamento dei piani personalizzati riguardanti le persone con disabilità – ai sensi appunto della Legge 162/98 – in riferimento alla prossima annualità del 2012. Il tutto premettendo una valutazione positiva sul fatto che l’Amministrazione Pubblica decida di consultare su un argomento così delicato i diretti interessati: spero quindi che dal prossimo mese di settembre continuino i lavori avviati in prospettiva 2012-2013.
Devo infine precisare che il metodo di lavoro adottato dai funzionari dell’Assessorato ha previsto il nostro ruolo come Commissione esclusivamente consultiva e non decisionale; siamo partiti infatti dall’analisi di una loro proposta di modifica dei criteri per l’annualità 2012, sulla quale dovevamo esprimere un parere “non vincolante”. In altre parole l’Assessorato, sentiti tutti i nostri pareri, deciderà in piena autonomia e noi valuteremo il nostro gradimento o meno, una volta vista la Deliberazione di Giunta con i nuovi criteri.
E in ogni caso, per il mandato affidatomi dal Comitato dei Familiari, ho cercato e continuerò a cercare di influenzare con le mie proposte l’orientamento dell’Assessorato, per far sì che si ottengano i risultati più favorevoli possibili per le persone con disabilità, cambiando in meglio i criteri penalizzanti dello scorso anno.

Partendo dunque dalle criticità e dai problemi emersi nei lavori della Commissione, di seguito riporto in sintesi il mio – e il nostro – pensiero sul lavoro in corso, sulle procedure e le modifiche necessarie rispetto alla Deliberazione del dicembre 2010 [n. 45/18 del 21 dicembre 2010, N.d.R.], in vista dell’avvio dei piani per l’annualità 2012.

1.
La base da cui partire per i finanziamenti dovrà essere almeno di 116 milioni di euro, come approvato all’unanimità dal Consiglio Regionale, con il parere favorevole della Giunta e da questa base non accettiamo di fare passi indietro.
Alcune forze sociali immaginano erroneamente che una diminuzione delle risorse alla Legge 162 corrisponderebbe a risorse aggiuntive per i servizi sociali territoriali: ovviamente non sarà così. Anche quest’anno, infatti, la spesa è stata di circa 104 milioni di euro (rispetto ai previsti 116 milioni) e non un euro di “risparmio” è stato dirottato, destinandolo ad altri servizi sociali territoriali; si è puntato insomma a risparmiare, a ridurre. L’ultima proposta arrivata in Commissione parlava di 91 milioni più alcuni fondi residui dei quali però non si conosce l’entità e questo non è sostenibile per dare adeguate risposte alle persone con disabilità grave.
Noi abbiamo sempre dato e continueremo a dare battaglia perché la 162 abbia maggiori risorse e perché anche i servizi territoriali – compatibili con la 162 stessa – siano adeguatamente finanziati. Personalmente, inoltre, difendo il diritto, acquisito con l’applicazione della 162, di libera scelta da parte dei destinatari degli interventi e di totale autonomia nel decidere come e dove poter investire le risorse assegnate in base al proprio progetto. Non possiamo rischiare di rimettere sotto “custodia civica” le persone con disabilità gravi, di fare passi indietro di decenni.

2.
A questo proposito voglio anche evidenziare un forte rischio: durante i lavori della Commissione, ci è stata sottoposta una proposta tecnica, con l’obiettivo di trasferire direttamente ai Comuni le competenze per gli anziani al di sotto dei 75 punti e per le persone al di sotto dei 65 anni, con un punteggio inferiore a 50 [si fa riferimento al sistema tramite i quali i fondi vengono assegnati in base a una serie di criteri di punteggio, N.d.R.]; questo, però, con finanziamenti diminuiti del 50%, ovvero con circa 20.000 persone disabili gravi prese in carico direttamente dai Comuni che riceverebbero un finanziamento di circa 20.000 euro anziché 40.000.
Si tratta di una proposta non condivisibile alla quale non posso che oppormi e che punta a un risparmio netto e non a rafforzare le risorse per i casi più gravi. Sono sì d’accordo sul distinguere i due interventi per gli ultrasessantacinquenni e per quellli al di sotto di tale soglia di età, mantenendo tuttavia l’entità delle risorse (e la prosecuzione del piano anche sopra i 65 anni, per chi già da prima ha in atto un progetto ai sensi della Legge 162), con un graduale passaggio ai Comuni e solo a condizione che insieme ai piani vengano trasferite agli stessi le medesime risorse finanziarie e vengano garantite – attraverso apposite linee guida regionali – il metodo e la prassi della personalizzazione e della coprogettazione tra utente e Comune (con la possibilità di attuare la cosiddetta “gestione indiretta”, cioè l’assistenza personalizzata progettata insieme al Comune, come da modello della 162). Tutto ciò perché, pur non rappresentando direttamente le persone ultrasessantacinquenni, siamo familiari consapevoli e orgogliosi che vi siano anche per loro servizi personalizzati di qualità sociale.

Donna disabile in cucina con l'assistente3.
Una proposta positiva arrivata dall’Assessorato – analoga alle nostre richieste dello scorso anno – è quella di eliminare la tabella Compartecipazione prevista nella Deliberazione n. 45/18 del 21/12/2010 [“Legge n. 162/98. Fondo per la non autosufficienza. Piani personalizzati di sostegno in favore delle persone con grave disabilità. Parziale modifica dei criteri per la predisposizione e l’erogazione dei finanziamenti”, N.d.R.]. Infatti, con i servizi della 162 si sostiene la famiglia e la persona nel compito di cura per alcune ore al giorno, ma tutte le restanti ore sono già a carico della famiglia e della persona stessa.

4.
No alla valutazione per patologie
: va valutata, invece, la situazione delle persone, attraverso l’uso degli “strumenti” della progettazione (Scheda personale e Scheda sociale), seguendo un approccio multidimensionale che non consideri appunto le categorie/patologie, ma giunga alla definizione della situazione della “gravità” personale nell’ottica scientifica e sociale più avanzata dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, cioè quella bio-psico-sociale, relazionale e non sanitarizzante [si fa riferimento in particolare all’ICF, la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute, definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2001, N.d.R.].
Già oggi è cosi: chi invece sostiene che la Legge 162 fa differenze tra patologie dice una cosa errata. Ci sono, ad esempio, persone con cerebrolesione che raggiungono un punteggio pari a 95 o più e altri – molto meno gravi ma appunto con la stessa patologia – un punteggio di 45 o meno. E lo stesso vale per tante altre patologie, per le persone con sindrone di Down, per i malati di sclerosi laterale amiotrofica (SLA), per chi ha la distrofia muscolare, le atrofie, Malattie Rare o per altre situazioni ancora. Questo sistema è corretto perché la valutazione viene effettuata in base alla condizione di gravità personale, appunto, e non guardando alla patologia, ciò che sarebbe profondamente iniquo e creerebbe discriminazioni.

5.
Propongo invece un percorso distinto ed equamente finanziato ai progetti di vita indipendente: ritengo infatti che le persone che hanno un progetto di vita indipendente possano ambire ad avere il finanziamento massimo (dunque anche di 14.000 euro), riservato ai progetti personalizzati di sostegno alle persone in situazione più grave e a più alto punteggio. Questo perchè ritengo sia un diritto per chi – potendo rappresentarsi da solo – decida di crearsi un percorso di vita autogestito, autonomo, non assistenzialistico. E il tutto senza alcuna contrapposizione – va precisato – rispetto a chi non può rappresentarsi da solo. Infatti, chi più di una famiglia desidera che i propri figli, in qualunque situazione siano, possano crearsi una vita indipendente? E quando questo non sia possibile, perché denigrare i percorsi virtuosi delle persone con disabilità grave e gravissima, immaginandoli in contrapposizione ai percorsi di vita indipendente?
Credo di poter dire che si possano promuovere percorsi di vita indipendente anche “economicamente” sostenibili per la Regione, puntando al tempo stesso alla promozione dei diritti di cittadinanza reali, in quanto la platea da considerare dovrebbe essere “circoscritta” a circa 1.700 persone con disabilità grave, giovani e adulti da 18 a 64 anni, combinando insieme tre criteri nella situazione personale: che abbiano cioè la possibilità di prendere decisioni riguardanti la propria vita in autonomia, di svolgere attività di propria scelta, che siano liberi di autogestirsi e autodeterminarsi; che si possano in sostanza rappresentare da sole, pur necessitando di assistenza personale (in diversa misura, fino anche a 24 ore su 24). Sono persone già in possesso di un proprio status di nucleo familiare a sé stante, rispetto alla famiglia di origine o che lo vogliono/possono realizzare. Sono direttamente datori di lavoro del proprio operatore (od operatori). Su questa proposta siamo pronti a tutti i possibili confronti.

6.
Ho espresso contrarietà, in Commissione, rispetto alla sola compilazione dei vari documenti da parte del medico; devono essere infatti i diretti interessati e i loro familiari a presentare tutte le certificazioni che spieghino le condizioni, i bisogni, le attività quotidiane e gli obiettivi.
Ho inoltre espresso contrarietà anche alle continue valutazioni sanitarie per persone che hanno già prodotto innumerevoli certificati medici; per questo credo che la scheda personale dovrebbe essere in autocertificazione, con adeguati controlli. Il tutto sempre con possibili sperimentazioni/simulazioni del modello.

7. […]
[Per questo paragrafo, che scandaglia alcuni particolari molto tecnici della Scheda sociale da presentare ai fini del finanziamento, suggeriamo direttamente la lettura del documento originale redatto da Rita Polo e disponibile cliccando qui, N.d.R.].

8.
Priorità assoluta alle famiglie con più persone con disabilità grave.

Madre insieme alla figlia disabile9.
Vanno effettuati controlli, monitoraggi e verifiche previsti dalla legge, che migliorino in efficacia ed efficienza il sistema ed evitino gli abusi: questi ultimi sono fenomeni sicuramente limitati, ma è necessario il controllo mirato anche da parte della Regione (ad esempio partendo da chi nell’attuale Scheda di salute ha zero punti, un punto, due punti ecc.).
Inoltre è importante trovare anche soluzioni “tecniche” di controllo, vietando ad esempio il pagamento in contanti e adottando pagamenti esclusivamente tracciabili o solo provvisoriamente tramite assegni. E ancora, la documentazione dovrebbe essere obbligatoria, con fotocopie dei pagamenti al Comune. I controlli, infine, dovrebbero essere effettuati in prima persona da funzionari adeguatamente preparati dell’Assessorato alla Sanità o da loro emanazioni dirette, magari con un progetto finalizzato, non demandandoli all’INPS.

10.
Il reddito di cui tener conto dovrebbe essere solo quello della persona con disabilità grave e non della sua famiglia, come stabilito dal Decreto Legislativo 130/00.

11.
I lavori della Commissione Consultiva Regionale per la 162 abbisognano di continuità, a partire dal prossimo mese di settembre e per tutto il 2012, consentendo un corretto avvio dei piani per l’annualità 2013.

Perché sostenere l’attuazione della Legge 162/98 in Sardegna
Il cosiddetto “modello Sardegna” di applicazione della Legge 162/98 deve e può essere migliorato e rafforzato, guardando sia all’assistenza personalizzata e al sostegno ai familiari, sia ai progetti vita indipendente.
La Legge 162, infatti, è una “buona prassi”, che vede persone e familiari diventare possibili protagonisti attivi di un modello di partecipazione, coprogettazione e personalizzazione, in cui operano per i diritti dei propri figli, per costruire una società che permetta a tutti di vivere in famiglia e con percorsi di vita indipendente, nel proprio territorio e comunità, evitando ogni forma di istituzionalizzazione, segregazione o discriminazione, con una ricaduta di benessere e vantaggio per tutti, rendendo la società della nostra Isola più inclusiva e migliore.
E in effetti è dal 2000 che in Sardegna sempre più persone con disabilità grave e gravissima e i loro familiari – insieme alle organizzazioni che li rappresentano – sono coinvolti in un processo di partecipazione per la costruzione di servizi a loro dedicati. Sono più consapevoli delle difficoltà e della risorse che i piani personalizzati ai sensi della Legge 162 rappresentano per loro, per le loro famiglie, per i Comuni e per i loro territori.
Come Comitato dei Familiari per l’attuazione della Legge 162, abbiamo lavorato incessantemente dal 2000 e in particolare negli ultimi due anni, per mantenere i livelli raggiunti, documentare e presentare esperienze e buone prassi, rivendicare diritti, portare proposte migliorative, sempre in un’ottica di collaborazione con tutti gli operatori sociali, dei Servizi e con la Regione.

Come detto inizialmente, si può parlare dunque di un “modello Sardegna” di personalizzazione, ma perché? Perché i diretti protagonisti sono le stesse persone con disabilità grave (o i familiari, per chi non può rappresentarsi da solo), che possono scegliere e gestire direttamente il servizio, con il proprio operatore di fiducia, diversamente dal vecchio modello assistenzialistico di interventi calati dall’alto o “sanitarizzanti”. Si può dunque avere la gestione del piano “indiretta” (o ancora la forma diretta dal Comune in cui è il Servizio Sociale che si occupa della scelta del personale, del suo inquadramento e della sua gestione): cioè è la famiglia – o la stessa persona con disabilità grave in grado di rappresentarsi da sola – che sceglie il personale di fiducia, spesso formato dalla famiglia stessa o da esperienze di volontariato offerte in ambito personale e familiare; in tal senso, ci si può avvalere di una cooperativa sociale, o gestire tutto con contratti di lavoro domestico (CCNL) e il piano degli interventi si coprogetta con il Comune.
Dall’esperienza con le famiglie, proprio questo aspetto – ossia la possibilità della scelta e dell’assunzione dell’operatore – rappresenta una garanzia della qualità del servizio alla persona, in molti casi fattore determinante nella decisione di voler realizzare un piano personalizzato. E questo avviene – grazie a linee guida regionali – sia a Cagliari o a Sassari che nel più piccolo paese, poiché ogni persona con disabilità grave ha il diritto di coprogettare un suo piano con interventi e obiettivi che contribuiscano al suo personale progetto di vita, oltre naturalmente al dovere e alla responsabilità di rapportarsi con il Comune, di rendicontare e di co-valutare).
Oggi questo non si realizza in altre Regioni italiane, se non in minima parte. Ma personalizzare e coprogettare i servizi non è un’utopia: infatti, la grande azione collettiva, sociale e culturale che si sta compiendo in Sardegna – pur ancora con tante ombre e limiti – al’insegna della deistituzionalizzazione e dell’inclusione sociale è ormai visibile, perché vediamo sempre più persone con disabilità grave che vivono nella nostra società sarda. Li incontriamo per strada o a scuola o nei luoghi pubblici e vivono con estrema dignità.

*Comitato dei Familiari per l’attuazione della Legge 162/98 in Sardegna. Componente della Commissione Consultiva Regionale per la Legge 162/98.

Come già accennato nel testo, il documento originale di Rita Polo, dal quale è tratto questo riadattamento, è disponibile cliccando qui.
Tra i numerosi testi dedicati dal nostro sito – in particolare negli ultimi mesi del 2010 – alle questioni riguardanti i piani personalizzati, segnaliamo il più recente, disponibile cliccando qui.
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