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Assistenza personale: una testimonianza

Luciana LonerIl movimento della Vita Indipendente ha avuto storicamente una portata rivoluzionaria e continua ancor oggi a rivoluzionare la vita di molte persone con disabilità che, da una situazione di dipendenza, si affacciano per la prima volta a un nuovo percorso di recupero dell’autodeterminazione in tutte le forme possibili dato il caso specifico. In Superando abbiamo pubblicato alcune interviste sia sull’esperienza di avere un assistente personale (se ne legga cliccando qui) che su quella di esserlo (se ne legga cliccando qui). Seguiamo poi con regolarità le discussioni attorno a questo tema e aggiorniamo i Lettori sui suoi sviluppi più recenti.
Succede però che non tutti coloro che si avvicinano a questo movimento ne ricavino una sensazione positiva, non tanto per il contenuto che esso propone – che al massimo può non interessare persone che per i più diversi motivi preferiscono rimanere in una situazione di dipendenza – quanto per la carenza di informazioni a disposizione e soprattutto di strutture locali cui appoggiarsi. Accade cioè che alcuni lamentino di sentirsi soli e di doversi completamente arrangiare per sostenere un progetto di Vita Indipendente, trovandosi costretti ad acquisire competenze rispetto alle quali non avrebbero alcuna preparazione.
Si potrebbe dire che per potersi autodeterminare occorre affrontare anche questi passaggi, ma non tutti sono d’accordo. Non lo è, ad esempio, Luciana Loner, persona con disabilità grave che vive a Rovereto, in Trentino, e che solo da pochi anni usufruisce di un assistente personale all’interno di un progetto di Vita Indipendente.

Perché solo negli ultimi anni è riuscita ad avere un assistente?
«Prima non ne sapevo niente. La mia sensazione è che in Trentino chi conosce questo movimento tenda a “tenerselo stretto”, a non divulgarlo. Faccio la volontaria in una cooperativa la cui presidente dice di essere un membro di Vita Indipente in Valle d’Aosta, però in realtà, a parte le prime indicazioni su come è nato il movimento, non è che mi sappia dire un granché. E ora che faccio parte di questi progetti, posso dire che neanche il mio Comune, che mi eroga le sovvenzioni, sa molto in proposito».

Abbiamo consigliato a Luciana Loner di prendere visione del manuale sull’assistenza personale redatto di recente dalla UILDM Venezia (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) per conto della Regione Veneto. A fine lettura le chiediamo se ora si sente più informata.
«Ci sono moltissime cose che non sapevo. Tanto per cominciare nessuno mi aveva parlato dell’esistenza di questo libro. E ora che lo leggo ritengo ancora di più che la gente abbia poco chiaro come funziona il tutto. La società, intendo, non si è certo adeguata alle proposte del movimento. In Trentino, ad esempio, mi pare che la disabilità sia ancora concepita a livello assistenziale».

Prima di rientrare in un progetto di Vita Indipendente com’era la sua vita?
«Fino a tre anni fa vivevo in una casa di riposo. Ci ero finita non tanto per scelta, ma perché le altre offerte nel territorio erano ancora meno soddisfacenti. Non era il posto giusto per me, ma mi sono adattata. Non sapevo a chi altro chiedere».

Come si è trovata in casa di riposo?
«Male. Facevo addirittura digiuni di protesta per il fatto che neanche mi lavavano. È una vecchia casa con duecento ospiti. Il personale è precario e non è sufficiente per prendersi adeguata cura di ogni persona. Da qualche anno, però, hanno cambiato il direttore e le cose per fortuna sono migliorate».

Una volta uscita da lì, dov’è andata?
«Tre anni fa mi hanno assegnato un appartamento delle case popolari».

Un'altra immagine di Luciana Loner, in giro per Rovereto (Trento)Nelle sue giornate è aiutata da un assistente personale?
«Sì, all’inizio mi sono appoggiata a una cooperativa, La Casa. Avevo contrattato sei ingressi al giorno per due operatori. Poi sono passata alle assunzioni dirette. Quest’anno ho scelto di avere un assistente per sei ore al giorno e per sette giorni alla settimana. Le altre ore le trascorro da sola, notti comprese. Non è un gran dramma, ci si abitua, si mangia e beve poco, in modo da stare poi tranquilli per tutta la nottata».

Che tipo di difficoltà lamenta rispetto al suo progetto di Vita Indipendente?
«Innanzitutto i rapporti con il Comune. Per avere soldi a fine mese bisogna che io insista tutti i mesi. Basta che ci sia una minima cosa fuori posto e le cose non partono. All’Economato non interessa per niente delle mie problematiche con i miei dipendenti e questo non mi piace. Se non mi danno quanto mi spetta economicamente, io a mia volta non posso pagare i dipendenti, e loro se ne vanno. Il consulente del patronato non sa più che pesci pigliare per aiutarmi. Finora, comunque, alla fine ho sempre ottenuto i soldi. Quest’anno, poi, dopo aver parlato un paio di volte con l’Assessore, le cose si sono sistemate. Mi meraviglia che neanche chi sovvenziona questi progetti sia attento alle esigenze delle persone con disabilità. Mi aspetterei, ad esempio, che un assistente sociale facesse dei corsi sulla Vita Indipendente. Infine, voglio aggiungere che ho avuto diversi problemi anche con gli assistenti».

Problemi di che tipo?
«Sempre economici. Mi è capitata una ragazza che ho assunto e solo dopo l’assunzione mi ha detto che era incinta. Pareva fosse rimasta incinta mentre lavorava per me, invece adesso so che lo era già prima dell’assunzione. Così non posso più lavorare con lei perché non vorrei che il bambino risentisse della fatica fisica che farebbe aiutandomi. L’ho licenziata. Solo che lei adesso mi vuol far causa perché sostiene che io l’abbia licenziata senza giusta causa. Sono andata da un avvocato perché la situazione non mi pare chiara. E questa è solo l’ultima che mi è successa».

Altre esperienze difficili prima di questa?
«Sì, ancora per questioni economiche. La prima persona che avevo scelto come assistente personale era una signora che avevo conosciuto in casa di riposo. Solo che lì era inquadrata con un quinto livello e lo pretendeva anche da me. Ma con il budget passatomi dal Comune era impensabile. Con quei soldi non pago solo gi assistenti. Pago anche le consulenze del CAF e la preparazione delle buste paga».

Com’è finita?
«Era una situazione incompatibile e il nostro rapporto si è sciolto. Lei voleva qualcosa che non potevo darle. Si trattava di circa 1.800 euro al mese. Mi minacciava».

Minacciava?
«Diceva cose tipo: “Se non mi dai questi soldi me ne vado da un momento all’altro”, oppure “Guarda che vado dai sindacati”».

In generale, come trova le persone cui affidarsi?
«È un problema, perché non conosco l’esistenza di alcuna Agenzia per la Vita Indipendente in Trentino che possa mettermi in contatto con le persone adatte. A parte la prima assistente, che appunto avevo conosciuto alla casa di riposo, per il resto mi sono affidata all’agenzia del lavoro. Ma le persone che ho trovato così sono rimaste poco, perché lo stipendio che offro – che è quello sindacale per una colf – è basso. Allora mi viene chiesto un pagamento in nero, ma ovviamente non posso, visto che i soldi del progetto li ricevo solo se faccio tutto in regola».

In questo momento ha difficoltà anche con l’attuale assistente?
«No. Ho trovato una madre e un figlio. Lei ha circa quarantacinque anni e lui una ventina. La mattina lavorano insieme e il pomeriggio torna solo il figlio. Mi trovo bene con loro».

Quali caratteristiche deve avere un assistente che la soddisfi?
«Deve fare quello che chiedo, da mangiare, farmi la spesa, cose così. Nelle case popolari ci sono alcune mansioni comunitarie da svolgere, come ad esempio pulire le scale. La persona che mi assiste deve prendersi cura anche di questi aspetti. Quando mi rivolgevo alla cooperativa, questo ovviamente non era possibile. Talvolta qualcuno di loro mi aiutava uscendo dagli incarichi contrattuali, ma mi pregava di non dire niente a nessuno. In più, alla cooperativa mi fornivano quasi tutto personale straniero e per me questo è stato motivo di incompatibilità. Per la cultura diversa e anche per problemi di comunicazione legati alla conoscenza della lingua. Ora, quando cerco io i miei assistenti, li voglio solo italiani».

Naturalmente questa è un’opinione personale di Luciana Loner, e una sua esigenza specifica. Ci sono molte altre persone con disabilità che testimoniano bellissime esperienze con personale straniero. Si tratta quindi di scelte e di storie personali.
Allo stesso modo – poiché molte persone con disabilità preferiscono assumere persone prive di una competenza specifica, per quanto riguarda la cura della persona, in modo da poterle poi formare secondo le esigenze del caso e ritenendo che talvolta una persona già formata faccia più fatica a rinunciare alle nozioni apprese in cambio di nuove – chiediamo alla Loner se è della stessa opinione.Luciana Loner scatta anche una serie di foto, per le strade di Rovereto, testimoniando eventuali barriere architettoniche
«Preferisco che già sappiano qualcosa, a dire il vero. Che abbiano una formazione di base, che sappiano insomma almeno cos’è un sollevatore. La prima persona che ho assunto era un’assistente geriatrica. Gli altri non avevano idea di cosa fosse Vita Indipendente. Ho chiesto all’Agenzia del Lavoro di mettermi in contatto solo con persone preparate per l’assistenza, ma gli operatori dell’Agenzia si rifiutano perché ritengono che sarebbe una discriminazione. Un atteggiamento che mi meraviglia. Allo stesso modo ho chiesto di non mettermi in contatto con personale straniero, eppure continuano a non ascoltare le mie richieste. La donna che lavora per me in questo periodo sta studiando per diventare infermiera e ritengo che questo aspetto sia positivo».

Quali sono le attività principali che richiede all’assistente?
«Mi piace che faccia anche qualcosa di diverso dal lavoro domestico. Di quello ho bisogno, naturalmente, ma poi mi piace anche – se posso e riesco – uscire insieme. Quando vado in giro da sola, ho difficoltà ad aprire le porte, ma non è per questo che porto qualcuno con me, non è solo per aprirmi la porta! Se chiedo un accompagnatore fuori, è soprattutto perché voglio averlo come amico. Forse, anzi sicuramente, sto sbagliando, ma mi piace che si instauri un rapporto di tipo personale, anche perché non ho più la famiglia e mi sento carente affettivamente».

Come trascorre le sue giornate?
«Mi alzo la mattina verso le nove, faccio colazione, mi faccio preparare e lavare. Poi verso le dieci, dieci e mezza, mi occupo degli aspetti amministrativi della mia vita e vado in Comune per ottenere i pagamenti che mi spettano oppure vado dal consulente del lavoro del patronato per fare le buste paga o vado in banca, cose così. Una volta o due alla settimana faccio volontariato. E poi talvolta vado in giro per la mia città, Rovereto, a scattare fotografie che poi pubblico su Facebook, social network che utilizzo molto. Naturalmente mi arrabbio anche molto, ogni volta che trovo qualcosa sul marciapiede che secondo me non va bene».

Se anche altri Lettori vogliono raccontare la loro esperienza all’interno dei progetti di Vita Indipendente, ci contattino senz’altro a: info@superando.it.

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