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Disabilità in Giordania: i numeri e una mentalità che pian piano cambia

Alcuni ragazzi dell'Arsenale dell'IncontroIn Giordania esiste dal 2006 un centro italiano dedicato ai bambini con disabilità che si chiama Arsenale dell’Incontro. La struttura funziona come una scuola ed è destinata ai bambini dai 6 ai 14 anni. In questo momento ce ne sono 35 raggruppati in cinque classi, ma la lista di quelli in attesa di inserimento è lunghissima.
Si tratta di bambini che non sono mai stati scolarizzati prima. La Giordania ha infatti una caratteristica particolare, quella di una presenza elevata di persone con disabilità, dovuta, si ritiene, all’alta percentuale di matrimoni tra persone di uno stesso clan. Le stime dicono che un abitante su dieci risulta avere un qualche tipo di disabilità fisica, psichica o intellettiva. I bambini che rientrano in questa categoria ancor oggi non vengono inseriti nel percorso scolastico ufficiale.
Il centro italiano è gestito dal Sermig (Servizio Missionario Giovani) torinese, una struttura religiosa di volontari che si adoperano per «sconfiggere la fame con opere di giustizia e di sviluppo, vivere la solidarietà verso i più poveri e dare una speciale attenzione ai giovani cercando insieme a loro le vie della pace».
Rosanna Tabasso – che dall’Italia si occupa per il Sermig della struttura e in particolare degli aspetti formativi delle persone che entrano nell’organizzazione o che si offrono come volontari – specifica che i bambini in questo momento coinvolti hanno prevalentemente difficoltà di apprendimento o difficoltà nello sviluppo intellettuale e psicomotorio. «Una percentuale consistente di loro – commenta – ha secondo noi una buona possibilità di recupero».

I ragazzi più grandi invece ormai non possono più essere recuperati?
«Certo che possono. Infatti accogliamo anche giovani dai 14 ai 30 anni, sempre con qualche tipo di disabilità. Per loro però abbiamo predisposto delle attività occupazionali, in modo che possano imparare un mestiere. Offriamo corsi di cucina, cucito, mosaico e altro ancora».

Cosa insegnate ai più piccoli a scuola?
«L’obiettivo primo è quello di renderli il più possibile autonomi almeno nelle piccole cose legate soprattutto all’igiene personale. I bambini imparano a lavarsi i denti e le mani, a vestirsi e tenersi puliti. Ma insegnamo anche a leggere, scrivere e far di conto».

Non esiste l’obbligo scolastico in Giordania?
«Sì, ma se il potenziale studente ha un qualche tipo di disabilità, pur minima – potrebbe ad esempio camminare male o avere limitazioni uditive – la scuola normale non lo accoglie».

Non esistono nemmeno politiche a favore dell’inclusione?
«La casa reale in realtà sta prendendo sempre più consapevolezza del problema e inizia a interessarsene via via con più serietà. C’è un Ministero che è addirittura specificamente dedicato alla disabilità. Devo dire che la sensibilità generale si sta ampliando e anche a livello di legislazione iniziano a vedersi i primi risultati. Però resta il fatto che al momento ancora non esiste alcuna struttura pubblica che sia in grado di offrire la possibilità ai bambini con disabilità e alle loro famiglie di venire seguiti».

Un'altra immagine delle lezioni nel centro voluto dal SermigCome mai il Sermig ha deciso di aprire un centro in Giordania?
«È stato quasi in caso, in effetti. La Chiesa Cattolica giordana dal 2003 ha iniziato a creare in molte città dei comitati cattolici che tra le altre cose si occupavano anche di disabilità. Noi, come Sermig, ci trovavamo in Giordania in quel periodo. Siamo un’organizzazione cattolica e l’iniziativa della chiesa locale ci aveva colpito. Abbiamo deciso di partecipare con le nostre forze. In collaborazione con il principe, abbiamo aperto un primo centro ad Amman [la capitale, N.d.R.], abbiamo formato dei fisioterapisti locali e aperto un centro medico. Poi nel 2006 ci siamo spostati a Madaba, una città di circa 70.000 abitanti vicina a Israele, a un’ora di auto dal Mar Morto e a 40 chilometri da Amman, una città con radici cristiane in cui oggi convivono pacificamente cristiani e musulmani, tanto che è stata perfino aperta una moschea intitolata alla figura di Gesù. Il centro si chiama Arsenale dell’Incontro e al suo interno si trovano una nostra sede del Sermig, la scuola, il centro occupazionale e gli ambulatori».

I bambini che accogliete sono tutti cristiani?
«No, anzi, al contrario, sono prevalentemente musulmani. Non ci interessa selezionare chi ha una fede religiosa uguale alla nostra».

Quanto personale avete a disposizione?
«Ci sono tre volontarie del Sermig che vivono lì permanentemente. Poi ci sono cinque insegnanti giordani laureati in educazione speciale e cinque assistenti per disabità fisiche. Abbiamo inoltre istituito negli anni un servizio di logopedia e uno di fisioterapia coordinato da una fisiatra italiana che ogni tre mesi supervisiona il procedere delle attività e inserisce i nuovi professionisti che man mano si aggiungono. I servizi di fisioterapia e logopedia seguono anche casi di bambini non iscritti alla scuola. Anzi, devo aggiungere che seguiamo anche dal punto di vista didattico dei bambini iscritti alla scuola pubblica e non alla nostra, e che magari hanno una qualche difficoltà di apprendimento. Tanto che alla fine abbiamo più bambini seguiti individualmente nelle lezioni di supporto che non nel gruppo classe. A volte, infatti, questo tipo di supporto è sufficiente per migliorare le prestazioni scolastiche e favorire il benessere generale di alcuni bambini».

Lavorate in collaborazione con le istituzioni?
«Sì, la nostra scuola è riconosciuta dal Governo locale. Siamo seguiti dal Ministero dedicato alle disabilità, con cui abbiamo una convenzione, che ci monitora e ci segnala alcuni casi. Inoltre, una volta alla settimana ci invia un medico per visitare i bambini».

I bambini che avete accolto vi sono stati inviati dal Ministero?
«Non è una procedura obbligatoriamente esclusiva. Molti li troviamo direttamente noi. Però per i bambini segnalati dal Ministero riceviamo anche un contributo economico».

Ben ottocento persone hanno assitito allo spettacolo organizzato dall'Arsenale dell'IncontroCi pare di capire che vi trovate in Giordania in un momento storico molto particolare, rispetto al tema della disabilità.
«Sì. Stiamo assistendo a un passaggio di mentalità. Fino a poco fa la maggior parte dei bambini con disabilità non venivano neanche fatti uscire da casa. Accade ancora, ma sempre di meno. Anche la famiglia allargata li rifiutava. Si invitavano a pranzo o a cena tra parenti ed espressamente dicevano: “Non portare tuo figlio disabile, però”. Ora sta veramente cambiando tutto, c’è un’apertura nuova molto bella da vedere. Si sta cominciando a rompere il velo della vergogna».

Ci può fare qualche esempio concreto di questa nuova apertura?
«Abbiamo organizzato una festa con i bambini che hanno preparato uno spettacolo. A guardarlo sono venute ben ottocento persone. L’evento, già di per sé un successo, ha portato buoni frutti perché a molti genitori spesso basta poco per sentirsi incoraggiati a far uscire di casa i propri figli. Vedere che tante persone si sono mostrate interessate ad assistere a uno spettacolo preparato da bambini con disabilità ha provocato un’ondata di coraggio in molti genitori. Non posso ancora dire che il cambiamento sia avvenuto, ma che il processo di cambiamento sia in atto sì che posso dirlo. Ho visto mamme piangere perché i loro figli hanno imparato a scrivere e mai lo avrebbero pensato possibile. Non vedo solo i bambini migliorare, vedo anche i genitori rifiorire e aprirsi».

Siete molto soddisfatti, dunque, della vostra attività come Sermig in Giordania.
«Sì. Voglio anche aggiungere che con il nostro centro abbiamo introdotto il volontariato in questo Paese. Retribuiamo gli insegnanti, i fisioterapisti e i logopedisti, ma i bambini pagano una retta minima di poche decine di euro al mese. La gestione della casa e del personale ad essa preposto è completamente a carico nostro. Abbiamo una quarantina di volontari, quasi tutti giordani. A loro spettano soprattutto le attività ricreative, durante le quali i bambini con disabilità giocano con altri bambini normodotati, in modo da iniziare il processo di inclusione. Come Sermig ci occupiamo anche di raccogliere fondi. Con questi ultimi, ad esempio, abbiamo potuto acquistare due pullman attrezzati con cui andiamo a prendere i bambini che vivono nei villaggi più isolati e i cui genitori non sono in possesso di un’automobile».

La Giordania è uno Stato del Vicino Oriente di 5.323.000 abitanti, che confina a nord con la Siria, a nord-est con l’Iraq, a sud-est e a sud con l’Arabia Saudita, a ovest con Israele e con i Territori Palestinesi ed è bagnato a sud-ovest dal Mar Rosso. Il 30 marzo 2007 ha sottoscritto la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità e il Protocollo Opzionale di essa. Ha ratificato la Convenzione stessa (non ancora il Protocollo Opzionale) il 31 marzo 2008.

Per chi volesse sostenere le attività in Giordania di cui si parla nel presente testo: Sermig – Fraternità della Speranza, Piazza Borgo Dora 61, 10152 Torino, tel. 011 4368566, sermig@sermig.org.

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