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La piena partecipazione delle persone sorde e quella Proposta di Legge che fa discutere

Primo piano di orecchio di uomo, con tre dita appoggiate su di essoPer entrare nel  merito del testo della Proposta di Legge C 4207 (Disposizioni per la promozione della piena partecipazione delle persone sorde alla vita collettiva), approvata dalla XII Commissione Affari Sociali della Camera, è necessario fare alcune premesse.

Quando la sordità insorge gravemente in età infantile, provoca preoccupanti alterazioni nello sviluppo del linguaggio e conseguenti problematiche nella comunicazione, nello sviluppo cognitivo e psicologico e nella vita di relazione, oltre a gravi disagi in e per la famiglia.
Solo attraverso la diagnosi precoce di sordità e i conseguenti idonei interventi abilitativi – logopedici ed  educativi – si può avviare quel processo indispensabile a favorire un percorso individuale pienamente indipendente, autonomo e partecipativo alla vita collettiva in tutte le età e nei diversi ambiti, scolastico, sociale e lavorativo. Si possono, in altri termini – nella quasi totalità dei casi – risolvere definitivamente i problemi della sordità infantile relativi all’acquisizione della competenza linguistica verbale, necessaria per poter entrare in relazione con tutti.
Purtroppo, ancora oggi, la realtà italiana evidenzia che circa il 39,7% dei bambini nati sordi non può fruire dello screening neonatale, che solo nove Regioni hanno previsto Piani per la Diagnosi Precoce di Sordità e la Prevenzione e che il Registro Nazionale sulla Sordità in questo momento non viene finanziato.
Si tratta di un quadro di assoluta precarietà, che si aggrava ulteriormente quando si cerca di reperire nei territori di prossimità i necessari presìdi sanitari per la terapia e la protesizzazione e pertanto garantire i livelli essenziali diventa in molti luoghi d’Italia solo una speranza. Viene difatti meno la reale possibilità di scegliere liberamente un adeguato progetto di vita per il proprio figlio sordo.

Al contempo si assiste oggi in Italia a una crescente e tendenzialmente pervasiva proliferazione e istituzione di corsi di Lingua dei Segni (LIS), sostenuta dall’intervento di  Regioni, Province, Comuni e altri Enti, che stanno elargendo fondi a tale scopo in modo sempre più massiccio. È un fenomeno stridente e discriminante, se lo si confronta con la situazione appena denunciata, che tra l’altro diffonde un paradigma approssimativo e massificato della persona sorda, senza garantirne tutti i diritti.
Un’onesta e obiettiva analisi del fenomeno stesso evidenzia poi che un’informazione scorretta sui reali bisogni delle persone sorde e la necessità di reperire un lavoro stabile e duraturo ha indotto molte persone a frequentare tali corsi, investendo in essi anche cospicuamente. Va detto in tal senso che non si può barattare il diritto, giusto e sacrosanto, al lavoro degli operatori e interpreti LIS come concetto solutorio e indispensabile per garantire l’inclusione della persona sorda nella società.
Vi sono poi tutte le ragioni per temere che, verosimilmente, con il riconoscimento della lingua dei segni, questo fenomeno si  espanderebbe a dismisura, per la facilità con cui si può attuare, e assorbirebbe grandi quantità di risorse proprie del settore sociale, senza centrare l’obiettivo principale che è naturalmente quello di favorire l’inclusione sociale delle persone sorde. La reale partecipazione alla vita collettiva, l’autonomia e l’indipendenza da parte delle persone sorde, infatti, non può che passare oggi attraverso il più ampio e possibile  recupero della capacità percettiva uditiva.

Rimane infine opinabile che la LIS sia una vera lingua, piuttosto che un linguaggio (mimico gestuale, secondo alcuni), proprio perché manca della forma scritta, al contrario dei linguaggi verbali.

Tornando comunque al dettaglio della Proposta di Legge C 4207, va detto che il testo approvato dalla XII Commissione Affari Sociali della Camera segna un discreto passo avanti rispetto a quello precedentemente formulato dalla I Commissione Affari Costituzionali del Senato. Esso infatti toglie il riferimento all’articolo 6 della Costituzione (sulla tutela delle minoranze linguistiche), eliminando un elemento di discriminazione quale l’individuazione di una minoranza linguistica basata sul deficit uditivo e l’iscrizione ad essa, per legge, di tutte le persone sorde.
Elimina inoltre, giustamente, alcuni riferimenti vincolanti alla Carta Costituzionale e ad altre Direttive del Parlamento Europeo. In tal modo si riconosce che la legislazione italiana – a cominciare da quella scolastica e universitaria – è già abbastanza avanzata nel garantire anche le persone che necessitano e utilizzano la LIS nei diversi ambiti. Basti pensare alla Legge 104/92 o alla 17/99 (interpreti LIS anche all’Università).
E ancora, il nuovo testo antepone l’importanza della lingua verbale, alla stregua del diritto primario alla parola, e sottolinea l’importanza della diagnosi precoce, degli interventi abilitativi e delle innovazioni tecnologiche, mentre il testo licenziato dal Senato era molto – e fondamentalmente – incentrato sul riconoscimento della LIS intesa come lingua piuttosto che come linguaggio.
Infine, la Proposta di Legge prevede all’articolo 3 una clausola finanziaria secondo la quale non dovrebbero esserci oneri finanziari per lo Stato. E questo appare certamente come un controsenso, come dimostrano le innumerevoli iniziative e finanziamenti – di cui si è già accennato – da parte di Regioni, Province e altri Enti e Istituzioni, per favorire la diffusione della LIS attraverso appunto corsi destinati a persone udenti che aspirano logicamente ad essere collocate al lavoro come specialisti del settore. Se è questo che si vuole, bisogna esprimerlo chiaramente nella legge ed eventualmente prevedere oneri finanziari atti all’assunzione di personale specializzato in LIS in varie Amministrazioni e luoghi pubblici.

In conclusione, premesso che l’attuale testo della Proposta di Legge è migliorato rispetto a tutti quelli precedentemente presentati in Parlamento, non si vede comunque la necessità o l’urgenza, in questo momento, di promulgare una legge che incrementi una tipologia di lavoro (assistenti e interpreti LIS), la quale richiede notevoli investimenti e che in prospettiva assumerà un ruolo sempre più marginale, in quanto è scientificamente sostenuto che la sordità infantile è un problema in via di risoluzione. In tal modo, infatti, si potrebbero creare, con enorme dispendio di risorse, tanti addetti LIS che, in un futuro prossimo, potrebbero risultare frustrati e senza lavoro.
Ben più coerente sarebbe invece creare maggiori opportunità inclusive direttamente a favore delle persone sorde, anche attraverso incentivi di tipo progettuale o personale. Un esempio può essere rappresentato dalla diffusione dell’uso della sottotitolazione che corrisponde anche a criteri di progettazione universale per l’accessibilità garantita. E quanto mai necessario sarebbe altresì garantire su tutto il territorio nazionale i servizi di diagnostica precoce e di abilitazione protesica-logopedica, attraverso un’ordinaria pianificazione sanitaria, a prescindere dalla previsione di una nuova legge.

*Presidente della FIADDA (Famiglie Italiane Associate per la Difesa dei Diritti degli Audiolesi), organizzazione aderente alla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).

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