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Il censimento e i dati «sensibili»

Realizzazione grafica dedicata al censimento del 2011Ci sono dati il cui segreto è custodito meglio di tesori d’arte come la Gioconda o la Pietà di Michelangelo e ci riferiamo segnatamente ai dati sulle persone con disabilità.
Provare per credere. Cercate di ottenere dagli uffici della vostra Regione il numero delle persone con disabilità grave e gravissima, come da certificazione della Legge 104 e vedrete il risultato. Se ci riuscirete, sarete stati più bravi del commissario Montalbano, perché vi risponderanno che sono “dati sensibili”, ove per “sensibili”, naturalmente, si deve intendere: «Non ve li diamo!».
Il sospetto che viene, però, è che neanche loro, in realtà, li abbiano e che non sappiano neanche dove andarli a prendere. Tant’è vero che quasi tutti i Piani di Zona degli Enti di Ambito Sociali Territoriali presentano dati “presuntivi” e di massima. Solo l’INPS è in grado di dire quante indennità di accompagnamento eroga e vorremmo ben vedere!

Ora è arrivato il censimento decennale e qualche ingenuo potrà pensare: «Finalmente ci chiederanno, tra le tante domande, se in famiglia c’è un disabile grave, se è ricoverato, se ha un familiare dedicato a lui per 24 ore al giorno» e, magari, anche quali problemi comporta eccetera eccetera. Manco per sogno! Quello che interessa sapere, infatti, sono fondamentalmente le notizie sulla casa e sulla composizione del nucleo familiare, due punti sui quali – si noti bene – verranno desunti essenzialmente dei dati che, dal punto di vista sociologico, indicheranno quale tipologia di consumatori siamo stati e quale potremo essere nel futuro. O almeno è questo che desume un comune Cittadino.
Sicuramente qualche autorevole professore ci spiegherà che non è così, che la finalità di questo censimento obbligatorio è ben altra, magari riuscirà anche a convincerci che i dati serviranno a indirizzare le politiche economiche e sociali del governo e così via. Sarà pur vero, ma ci rimane il fastidioso sospetto che questi dati serviranno sì a indirizzare le politiche economiche, ma non del governo, piuttosto delle multinazionali che ormai dominano la nostra vita e che, a spese della società – quindi nostre – avranno – come hanno sempre avuto del resto – una marea di dati utilissimi per le loro strategie di mercato.

Ritorniamo comunque alle persone con disabilità e poniamoci una domanda: perché l’accesso ai dati che le riguardano, ammesso che esistano e che siano attendibili, è quasi impossibile? Eppure, dovrebbero interessare anche tutte quelle multinazionali, ad esempio quelle degli ausili, insieme al mondo della sanità e del sociale che vive, sopravvive, specula e spesso si arricchisce sulle spalle della disabilità.
Il fatto è che se questi dati fossero resi pubblici, finalmente si potrebbe fare una seria programmazione e ripartizione nel campo del sociale; finalmente potrebbe esserci una presa di coscienza dell’immenso valore economico della disabilità e, Dio non voglia, lo sconvolgimento sociale potrebbe essere tanto forte che tutti i potentati che prosperano sull’ignaro e inconsapevole disabile potrebbero tremare!

Ma che cosa c’entra il censimento? Il censimento avrebbe potuto essere uno strumento formidabile per il rilevamento di quei dati che interessano tutti coloro che si occupano – magari volontariamente e cioè gratis – di sociale. È ben per questo – crediamo – che si evitano accuratamente quelle domande che potrebbero far emergere lo stato di sfinimento e prostrazione vissuto dalle famiglie che supportano e sopportano al loro interno una persona con disabilità o magari con problemi di tossicodipendenza o magari uscito di galera e in cerca di redenzione.
Ciò che sembra invece interessare di più, con questo censimento, è riuscire a desumere dati come: quanti televisori o lavatrici si compreranno nei prossimi dieci anni; quante persone saranno in cerca di appartamenti da acquistare nei prossimi dieci anni; quanti invecchieranno e quindi avranno bisogno di una casa di riposo, o di bare, o di loculi (mi si perdoni l’ironico cinismo) o meglio ancora di farmaci per l’artrosi o i reumatismi, o addirittura di vaccini.
E credo che interessi anche sapere: quanti sono totalmente inutili come “consumatori” e quindi da ignorare completamente, come se non esistessero.
Di sicuro non interessano quei dati che griderebbero al mondo l’enorme quantità di disagio sociale che sarebbe espresso dalle persone “deboli”, come ultimamente vengono definite nelle stanze istituzionali.

*Presidente della UILDM di Pescara (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) e componente del Movimento per la Vita Indipendente dell’Abruzzo, il cui presidente Nicolino Di Domenica condivide a sua volta i contenuti del presente testo.

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