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Nuove proposte riabilitative per i bambini italiani con disabilità

Bimbo in un letto di ospedale. Sullo sfondo un medico (donna)Reti riabilitative regionali specifiche per l’età evolutiva, disegnate sul cosiddetto modello organizzativo spoke and hub, dove cioè attorno a uno o più Centri-fulcro collaborino sinergicamente tutte le strutture che si occupano di riabilitazione dei bambini con disabilità, dai grandi prematuri in su. Un modello su cui riversare risorse finanziarie, professionali, terapeutiche, tecnologiche e scientifiche, in grado di dare risposte ai piccoli pazienti perché capace di intervenire nei momenti e nei modi giusti, con cure basate sulle evidenze scientifiche. Un modello ritagliato sul bambino, le cui esigenze sono completamente differenti da quelle dell’adulto. Così oltre quattrocento ricercatori di base e specialisti della riabilitazione del bambino e dell’adolescente sono uniti nel chiedere a gran voce di applicare tale modello, raccomandato anche dalle recentissime Linee Guida del Ministero della Salute, a tutte le Regioni italiane.
L’appello è stato lanciato al termine del convegno La riabilitazione precoce nelle disabilità dello sviluppo: dalla ricerca traslazionale ai modelli di intervento, svoltosi recentemente a Pisa e organizzato dall’Istituto Scientifico Stella Maris per le Neuroscienze dello Sviluppo di Calambrone (Pisa) e dall’Università della città toscana, dal quale è emerso con chiarezza che l’orizzonte della riabilitazione del bambino con disabilità è profondamente cambiato, grazie all’incalzare dei risultati della ricerca, che mette a disposizione nuove cure e nuove conoscenze, come quelle sulla plasticità cerebrale.

Un cervello plastico, risorsa da utilizzare
La ricerca di base, dunque, ha evidenziato come la plasticità del sistema nervoso, e cioè la sua capacità di riorganizzarsi e rimodellarsi, per compensare una lesione cerebrale o un difetto genetico nello sviluppo del sistema nervoso, sia massima in alcuni periodi della crescita del bambino, definiti “periodi critici”. Proprio in questi momenti, infatti, le cure possono dare il massimo vantaggio e i modelli organizzativi per la riabilitazione del bambino devono quindi investire il massimo di risorse nei periodi di maggior plasticità e sensibilità all’intervento, che sono diversi per le diverse funzioni, linguaggio, movimento e percezione.
Un intervento ritardato o che comunque non massimizzi le condizioni favorevoli legate alla plasticità cerebrale, diventerà un’arma spuntata o inutile. Un intervento, invece, che inizia subito – dall’incubatrice, nel caso dei bambini nati prematuri – ha il massimo di possibilità di efficacia.

Il bambino prematuro: neonatologie da ripensare
Il neonato prematuro che vive nell’incubatrice per molti mesi è enormemente sensibile a tutti gli stimoli uditivi, visivi, tattili ed è in questa fase che il suo sistema nervoso è estremamente plastico. Se gli stimoli sono troppo invasivi e dolorosi, la ricerca dice che possono restare tracce negative e che può sviluppare problemi neuropsichici anche piccoli, ma importanti per la sua qualità di vita.
«Gli studi ci indicano, per esempio, come siano molte volte più frequenti i casi di ADHD [disturbo da deficit di attenzione e iperattività, N.d.R.] nei bambini prematuri rispetto ai bambini nati a termine», riferisce Giovanni Cioni, ordinario di Neuropsichiatria Infantile dell’Università di Pisa e direttore del Dipartimento di Neuroscienze dell’Istituto Scientifico Stella Maris.
Per contro, quando l’ambiente che attornia il prematuro è positivo (massimo contatto anche fisico con la mamma; buona musica; evitare cure troppo invasive; ampio uso del massaggio), il prematuro non ha stress, cresce di peso e in salute.
«In una ricerca statunitense – continua Cioni – è stato fatto ascoltare Mozart ai prematuri in incubatrice ed è emerso che il loro consumo energetico era più basso rispetto ai controlli e crescevano molto più rapidamente di peso. Lo stesso accade con il massaggio del bambino in incubatrice, che riduce lo stress nel prematuro. In uno studio fatto presso la Neonatologia di Pisa, si è visto ad esempio che prematuri massaggiati per qualche minuto al giorno avevano una ridotta produzione di cortisolo (ormone dello stress, N.d.R.] e che il loro cervello maturava prima e meglio».
Anche alla luce di questi risultati, le Associazioni dei Genitori e la Società Italiana di Neonatologia – estensori della Carta dei diritti del bambino nato prematuro – chiedono che le Neonatologie italiane si attrezzino per aprire i reparti intensivi alle famiglie e, come è avvenuto nelle Pediatrie, le mamme e i papà possano stare accanto ai figli prematuri per tutta la durata del ricovero in camere singole (come avviene negli Stati Uniti e in molti altri Paesi), con personale formato per stimolare i bambini, “conoscitori” del massaggio e, perché no, anche della buona musica.

Il bambino con autismo: quando la diagnosi è precoce
Fino a poco tempo fa si pensava che l’autismo si manifestasse dopo alcuni anni dalla nascita e che fosse incurabile. Oggi invece la ricerca scientifica ritiene che vi siano segni precoci, addirittura sin dalle prime settimane di vita.
«Sembra possibile – sottolinea ancora Giovanni Cioni – individuare casi di autismo da come il neonato si muove, dai suoi vagiti che sono diversi rispetto agli altri bambini, da come guarda la madre e da come interagisce con l’ambiente. Sono i risultati degli studi retrospettivi sui bambini affetti da autismo, fatti su filmati familiari di quando erano piccoli, e prospettici sui fratelli e sui modelli animali».
Durante il convegno di Tirrenia, sono stati presentati in tal senso i risultati del “topo autistico”, realizzato dall’Istituto Superiore di Sanità, ricerche che puntano sulla diagnosi precoce ora possibile anche per questo disturbo. In Toscana, tra l’altro, è in corso uno screening regionale di diagnosi precoce dell’autismo, che vede come capofila l’Istituto Scientifico Stella Maris e la collaborazione di tutti i pediatri e neuropsichiatri infantili. Si tratta del primo screening del genere avviato in Italia, i cui risultati si conosceranno il prossimo anno.
Vi è necessità di una diagnosi precoce per poter avviare cure precoci, si è detto, ma queste ultime ci sono? «Un trattamento precoce che coinvolga i genitori – spiega il professor Cioni – può modificare il quadro clinico di questi bambini e forse, in alcuni casi, anche guarire dal disturbo autistico. A tal proposito, presso l’Istituto Stella Maris è in corso un trial di trattamento precoce».

Malattie neuromuscolari nei bambini: nuove prospettive future
Si parla qui di malattie considerate incurabili e con un destino segnato di gravissima disabilità, quali le distrofie muscolari e l’atrofia muscolare spinale (o amiotrofia spinale).
In questo ambito la ricerca nutre grandi speranze offerte dagli studi sulle cellule staminali e altri trattamenti genetici, sperimentati su modelli animali. Alcune molecole hanno superato la fase di sicurezza anche nel bambino e presto entreranno in fase di sperimentazione clinica, ma ci vorranno alcuni anni per sapere se e quali eventualmente funzioneranno, né vanno prese in considerazione “scorciatoie” come i cosiddetti “viaggi della speranza” in fantomatici centri asiatici.
Per contro, come è emerso a Tirrenia, i trattamenti riabilitativi standardizzati che intervengono sul movimento, la respirazione, la deglutizione e l’alimentazione, possono modificare la storia naturale di questi bambini, prolungandone non solo la durata, ma anche la qualità di vita.
Sono esperienze e ricerche i cui vantaggi si applicano anche ad altri disturbi del movimento, come le paralisi cerebrali dovute a lesioni del sistema nervoso nel feto e nel neonato.

Disturbi sensoriali, dove ricerca e tecnologia fanno la differenza
Nei disturbi sensoriali alla vista e all’udito, la ricerca e la tecnologia offrono strumenti di cura eccezionali, come l’orecchio bionico che sostituisce quello naturale e presto anche la retina, su cui sono in corso importanti studi.
Si tratta di protesi avanzatissime che, come afferma la ricerca, per dare il massimo vantaggio, devono essere non solo impiantate presto, ma soprattutto seguite subito dopo da una riabilitazione specifica e intensiva nelle fasi di vita in cui massima è la plasticità visiva e uditiva.
«Per i problemi legati alla vista – afferma Cioni – sappiamo che i primi due anni di vita del bambino sono cruciali e che se non si interviene in questo periodo, le successive possibilità di recupero sono molto più scarse, così come può essere davvero importante il recupero della sordità e la riabilitazione possibile con l'”orecchio bionico”, se si agisce nei primi tre anni di vita. La plasticità da un lato è un risorsa, se la si sa cogliere, dall’altro, invece, può essere un problema, se non si interviene o se lo si fa troppo tardivamente».

Ricerca e cura chiedono nuovi modelli organizzativi
«Sappiamo – conclude il direttore del Dipartimento di Neuroscienze dell’Istituto Stella Maris – che grazie alla sua plasticità, il cervello dei bambini ha grandi capacità di rimodellarsi per far fronte a gap cognitivi, linguistici e motori. Se dunque a queste persone diamo gli stimoli giusti, l’alimentazione giusta, il contesto sociale giusto, ad esempio, possiamo fare una riabilitazione che, facendo perno sulla plasticità, possa avere la massima efficacia. Ma attenzione, la plasticità cerebrale è massima solo in alcuni periodi della crescita del bambino, quelli che noi chiamiamo i “periodi critici” ed è in questi momenti, scanditi in parte dallo sviluppo funzionale del bambino e in parte da cause genetiche, che le cure possono dare il massimo vantaggio. Per far ciò, i nostri Istituti e i nostri Ospedali devono adottare modelli organizzativi che tengano conto di queste evidenze scientifiche. Un intervento ritardato o che comunque non massimizzi le condizioni favorevoli legate alla plasticità cerebrale, fa perdere al bambino molte delle sue possibilità di una vita più piena da adulto e costringe la società a spese molto più ingenti, mediche e sociali».
Da qui la richiesta di creare specifiche reti riabilitative per l’età evolutiva, Regione per Regione, che utilizzino strumenti di cure adeguati agli standard internazionali (basati cioè sulle evidenze scientifiche), che coinvolgano la famiglia come risorsa di cura, che sappiano applicare le più avanzate tecnologie e che siano ritagliate sul bambino, soggetto di cura – come si è detto inizialmente – ben diverso dall’adulto.

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