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Quale sorte per le persone di quelle case famiglia romane?

Uomo con disabilità alla finestra (chiusa da delle sbarre)«Che fine faranno le persone con disabilità che non hanno più una famiglia, e che vivono nelle case famiglia gestite dal Comune di Roma? Dobbiamo preparare un rapido programma di dismissione degli ospiti e di chiusura di quelle case famiglia?».
Lo ha scritto Luigi Vittorio Berliri, presidente dell’associazione romana Casa al Plurale, a Sveva Belviso, vicesindaco di Roma, lanciando quello che definisce «un ulteriore disperato appello», dal momento che ancora non si intravede una soluzione per una questione che si trascina ormai da tempo.

Per restare ai tempi più recenti, ricordiamo che nel giugno scorso, la stessa Associazione Casa al Plurale, insieme a Confcooperative Lazio, Legacoopsociali Lazio e AGCI Lazio (Associazione Generale Coopeerative Italiane), aveva inviato una lettera a tutti i consiglieri del Comune di Roma, in vista dell’approvazione del Bilancio Municipale, sollecitando una sorta di “patto tra gentiluomini”, ovvero un impegno ad aumentare le rette fino alla cifra necessaria alla sopravvivenza di tutte le case famiglia di Roma, con uno stanziamento aggiuntivo di 4 milioni di euro per il 2011 e di 3 milioni per gli anni successivi (se ne legga nel nostro sito cliccando qui).
Nel ricordare poi che il Comune di Roma, per le cinquantaquattro case famiglia esistenti, spende circa 13 milioni di euro all’anno e che le rette erogate per gli ospiti di tali strutture sono ferme al marzo del 2007, vale a dire meno della metà di quanto sarebbe necessario, la lettera conteneva anche una proposta di mozione da depositare, discutere e votare, riguardante appunto il finanziamento delle residenze per persone adulte con disabilità.

Ebbene, quella mozione era poi stata approvata dal Consiglio Comunale all’unanimità, il 28 giugno, senza però che nemmeno quell’atto avesse portato a positive conseguenze concrete.
«Come lei sa – scrive pertanto oggi Berliri al Vicesindaco di Roma – e come sanno tutti i consiglieri comunali, con le rette attuali non si possono sostenere i costi minimi per garantire il servizio. Lei ha da poco presentato alla città la riforma dell’assistenza domiciliare e in quel documento, oltre alla razionalizzazione del servizio, si garantisce una giusta retribuzione agli operatori. Ma lei sa anche che con le attuali rette comunali, la retribuzione per gli operatori nelle case famiglia è di un terzo di quanto previsto per l’assistenza domiciliare: non solo, quindi, non si riconosce la delicatezza del loro lavoro, ma non si permette di rispettare il minimo di qualunque contratto di lavoro esistente in Italia. Come si fa a garantire un servizio di qualità a queste condizioni?».

«Noi siamo certi – conclude il presidente di Casa al Plurale – della sua sensibilità e del suo impegno e confidiamo che mercoledì mattina in Giunta [il 16 novembre, in occasione dell’approvazione dell’assestamento di bilancio, N.d.R.] lei saprà con forza difendere i sui concittadini più deboli, che non hanno davvero più nessuno: i disabili che vivono in casa famiglia». (S.B.)

Per ulteriori informazioni: Ufficio Stampa Casa al Plurale (Carmela Cioffi), ufficiostampa@casaalplurale.org.
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