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Minorazione visiva e disturbi pervasivi dello sviluppo

Maria Luisa GargiuloSi terrà sabato 19 novembre a Roma (Best Western Hotel Universo, Via Principe Amedeo, 5/b, ore 9.30-13.30) il  seminario denominato Il benessere del bambino nelle situazioni di patologie complesse, sul tema Minorazione visiva e disturbi pervasivi dello sviluppo. L’iniziaztiva è rivolta a genitori ed educatori interessati al benessere del bambino condizionato dall’interazione di più diagnosi o con quadri funzionali complessi, comprendenti anche il deficit visivo e e disturbi pervasivi  dello sviluppo.
Con un taglio divulgativo e uno stile interattivo, dunque, verranno esaminate, durante l’incontro, le necessità del bambino che oltre ad avere problemi visivi, presenta alcune caratteristiche comuni anche ad altri disturbi. In  particolare si illustreranno i principali termini usati nell’ambito dei disturbi pervasivi dello sviluppo, per consentire ai partecipanti di acquisire maggiore padronanza nell’ambito di queste patologie. Infine, verranno introdotte le linee guida di approccio educativo attualmente accreditate in questo tipo di situazioni, dando una speciale attenzione alle differenze di approccio e alle particolarità del bambino con deficit visivo e con disturbi di sviluppo di questo genere.
A ideare e a condurre il seminario sarà la psicologa e psicoterapeuta Maria Luisa Gargiulo, cui ben volentieri cediamo la parola.

Per iniziare a parlarne…
Ho pensato di realizzare  questo  evento allo scopo di dare semplici conoscenze su alcuni disturbi dello sviluppo che a volte possono presentarsi in associazione con problemi di tipo percettivo e che possono condizionare la crescita del bambino.
Penso sia enormemente conveniente per un genitore approfondire la conoscenza di alcune specifiche particolarità di sviluppo del proprio figlio, anche se questo può comportare un grande sforzo e la necessità di adeguare le proprie scelte.
Lavoro da quasi vent’anni con genitori e con bambini disabili e ho sempre considerato fondamentale il beneficio che viene da un’alleanza profonda tra una famiglia che condivide gli obiettivi di crescita del bambino, con gli educatori e i riabilitatori che lavorano con lui. Ma questa cooperazione, a parer mio, può nascere soltanto da un’idea comune della situazione e da una definizione condivisa.
Di conseguenza, nel mio lavoro ho sempre dedicato molto tempo a iniziative di divulgazione delle conoscenze, come quella del 19 novembre a Roma, perché credo che i genitori abbiano bisogno di strumenti chiari di conoscenza e che, quando li hanno, essi divengano i migliori alleati della salute del loro figlio.

Tutti noi sappiamo che vi sono molti bambini e ragazzi con disabilità della vista che presentano comportamenti che denotano una combinazione di problemi nella sfera degli interessi, della comunicazione e dell’interazione sociale.
Gli “addetti ai lavori”, i rappresentanti delle associazioni di non vedenti, i genitori e gli insegnanti hanno ben chiara la situazione attuale, nella quale purtroppo sono sempre meno numerosi i bambini che presentano uno sviluppo riconducibile classicamente a quello del bambino cieco, come  veniva  descritto nella letteratura tiflopedagogica. E tuttavia, a questa constatazione segue spesso un senso di sgomento e solitudine, perché i bambini con problemi di vista che non corrispondono allo stereotipo positivo e rassicurante dell’immaginario collettivo, sono come sospesi in una “terra di nessuno”, così come chi si occupa di loro, dal punto di vista familiare ed educativo.
Accade quindi che i genitori e gli insegnanti di questi bambini spesso non vedano riconosciuti i loro bisogni di conoscenza, chiarificazione e di aiuto, perché i loro figli – o i loro allievi – sono “troppo diversi” da quello che ci si aspetterebbe. Insomma, una diversità nella diversità, per la quale non c’è posto e non c’è attenzione.

Quando si parla di pluriminorazione, qualche volta si ragiona come se  tutte le persone pluriminorate avessero necessità simili e vivessero condizioni tra loro assimilabili. In realtà la parola pluriminorazione indica genericamente il fatto che la persona, oltre al deficit visivo, presenta altre menomazioni e disturbi. Ci possono essere una serie di patologie le più diverse. In qualche caso si tratta di vari effetti generati da un’unica causa: ad esempio, un problema neurologico alla nascita, che ha leso varie parti del cervello e di conseguenza varie funzioni della persona; oppure una particolare sindrome che comporta conseguenze patologiche a carico di vari sistemi e organi; oppure ancora una malattia genetica che, comportando diverse alterazioni cromosomiche, si esprime con varie malformazioni o malfunzionamenti.
Particolare di bimbo ciecoIn altri casi, la pluriminorazione è determinata dalla casuale concomitanza di due differenti patologie, aventi cause non collegate tra di loro, una delle quali concernente la vista e un’altra riguardante un diverso sistema. La minorazione visiva dalla nascita è inoltre un fattore di rischio per altri tipi di disturbi, e quindi concorre, insieme ad altre cause, alla generazione di situazioni, variamente composte, che ne sono soltanto il punto finale.
In tutti i casi, avere un problema visivo insieme a uno o più problemi aggiuntivi, non equivale quasi mai ad avere la somma delle conseguenze delle due patologie prese singolarmente. Infatti, il più delle volte, i problemi si condizionano reciprocamente nella  globalità e unicità della persona, dando luogo a una situazione molto  particolare, che dev’essere valutata caso per caso, tenendo sempre presenti i singoli problemi patologici, ma soprattutto il modo nel quale essi interagiscono  tra loro.
Questa difficoltà viene restituita ai genitori come fosse un ostacolo insormontabile alla diagnosi, mentre a volte definire precisamente un disturbo di sviluppo è il primo passo verso  l’avvio di misure educative e riabilitative appropriate.

Mi sono  soffermata sui problemi e non sui punti di forza, perché a volte, sottolineare a un genitore esclusivamente le potenzialità potrebbe suonare come una consolazione inutile, e in effetti lo è davvero. Invece è necessario  che il clinico accordi ai genitori la necessaria fiducia per ascoltarlo e per esaminare insieme a lui anche tutti i problemi che gli danno pena e preoccupazione, e che si abbia il coraggio di usare parole chiare e comprensibili, i termini tecnici e le loro spiegazioni, come un modo per capirsi e non come una barriera “medichese”.
Non sempre i genitori riescono a trovare risposte alle domande di chiarimento rispetto a queste difficoltà. A volte ci si imbatte in giustificazioni generiche che fanno riferimento alla differenza di sviluppo del bambino cieco rispetto a quello nato vedente, e alla conseguente difficoltà a valutare gli altri aspetti. In altri casi viene vagamente citata una situazione di pluriminorazione, quasi questa fosse un’unica condizione patologica.
Va per altro annotato che l’individuazione precisa di eventuali disturbi di sviluppo è resa complicata dall’oggettiva difficoltà da parte dei clinici di utilizzare gli strumenti diagnostici classici – come le batterie di test adottate per il resto della popolazione – per valutare l’esistenza o meno di eventuali problemi. Ciò non è quasi mai possibile, senza modificare il modo di somministrare le prove, perché quasi tutti questi strumenti sono realizzati presupponendo che i bambini ai quali essi sono rivolti, siano vedenti. Da questo deriva che la diagnosi – invece di essere immediatamente reperibile e la più precoce possibile, come tutte le linee guida moderne suggeriscono – sia fatta in modo impreciso oppure dopo varie peregrinazioni, solo molti anni dopo la comparsa di eventuali segni comportamentali.

Il seminario del 19 novembre a Roma vuole essere dunque un’occasione per iniziare a parlare di alcuni aspetti problematici dello sviluppo, che possono presentarsi anche in  alcuni bambini con problemi di vista e che assieme al deficit visivo condizionano il benessere e la crescita.
Molto spesso le madri mi riferiscono alcune frasi, che sono rimaste loro impresse nella memoria, e che esse si sono ripetute per anni, tentando di convincersi della loro veridicità: «Il bambino si chiude, non vuole comunicare…», «Signora, lei è ansiosa e il bambino ha problemi relazionali…», «Lei si preoccupa troppo e questo fa male al bambino…», «Il bambino è così perché non si sente accettato…», «Siccome è cieco deve avere il tatto sviluppato…», «Poi quando cresce gli passa da sé…», «Lo faccia sfogare, prima o poi si calma…», «Ma cosa vuole, lui è cieco!».
La valutazione delle problematiche a carico della qualità dell’interazione sociale e della comunicazione e l’eventuale presenza di un repertorio di interessi ristretti e/o di comportamenti problematici, è il primo passo per individuare quali siano le aree sulle quali lavorare.
Di solito, dopo un primo periodo di valutazione, le linee guida internazionalmente riconosciute prevedono oggi interventi che non sono focalizzati soltanto su poche ore di generica terapia settimanale. Infatti, sebbene le attività riabilitative – quando specifiche – siano importanti, è stato riconosciuto che esse non sono sufficienti, se non affiancate da un’attività educativa specifica e appropriata, con obiettivi misurabili e quantificabili, e realizzata secondo precise metodologie, per un congruo numero di ore settimanali.
Ciò e molto difficile da attuarsi nella situazione organizzativa – o disorganizzativa – attuale e tenuti presenti i modelli di intervento che genericamente vengono seguiti nelle politiche sociali, scolastiche e sanitarie. Infatti, sebbene esistano numerosi strumenti legislativi, tuttora persiste una grande necessità di attuare programmi che possano essere condivisi e portati avanti in modo sistematico e personale contemporaneamente dalla scuola, dalla sanità e dalla famiglia. Ma questo è comunque possibile, sebbene comporti il dispendio di un buon numero di ore dedicate alla valutazione, alla personalizzazione dell’intervento, al coordinamento  degli operatori e alla verifica in itinere dei risultati.

*Esperta nelle problematiche psicologiche, riabilitative ed evolutive nel settore del deficit visivo. In questo ambito è psicologa consulente dal 1994 e psicoterapeuta dal 1997, consulente di private famiglie e di istituzioni pubbliche. Ha scritto numerosi articoli e libri ed è docente di corsi e seminari di formazione per operatori, insegnanti e riabilitatori (info@marialuisagargiulo.it).

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