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Il diritto alla cittadinanza

Tanti omini unitiContinuiamo a proporre i contributi elaborati dalla Tavola della Pace, in occasione del 10 dicembre, Giornata Internazionale dei Diritti Umani, per rileggere la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, proclamata appunto dall’Assemblea delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948.
La bella iniziativa, denominata
10 giorni x i diritti umani, ha previsto appunto la riproposizione di alcuni tra i più significativi articoli della Dichiarazione Universale, riguardanti di volta in volta le discriminazioni, il diritto di cittadinanza, la scuola, il lavoro, la pace e molto altro ancora, con il commento di Antonio Papisca, direttore della Cattedra Unesco “Diritti Umani, Democrazia e Pace”, presso il Centro Interdipartimentale sui Diritti della Persona e dei Popoli dell’Università di Padova.
Andando dunque oltre la data del 10 dicembre, come avevamo scritto, diamo oggi spazio all’articolo 15, dedicato al diritto di cittadinanza, altro tema al quale il nostro sito guarda naturalmente con particolare attenzione. Nei prossimi giorni ci occuperemo di vita dignitosa, di scuola e di lavoro.

Articolo 15 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani
1. Ogni individuo ha diritto ad una cittadinanza.
2. Nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua cittadinanza, né del diritto di mutare cittadinanza.

Il commento di Antonio Papisca
«Tradizionalmente concepita, la cittadinanza è una sorta di “ruolino di marcia” per l’esercizio di diritti e doveri della persona all’interno dei singoli ordinamenti nazionali, per lo svolgimento di ruoli. In questo contesto, cittadinanza equivale ad appartenenza ad un determinato Stato, il quale è il regolatore, più o meno “liberale”, più o meno arbitrario, dei diritti di cittadinanza.
Cittadinanza nazionale significa diritto-potere di eleggere e di essere eletti in assemblee rappresentative, di ricorrere presso i tribunali, di ricevere certi sussidi in caso di bisogno, di beneficiare della “protezione diplomatica” del proprio Paese, se ci si muove all’estero, significa dovere di prestare servizio militare o servizio civile (laddove obbligatori) ecc.
La cittadinanza nazionale è una concessione dello Stato, con riferimento a parametri quali lo ius soli (diritto del territorio) o lo ius sanguinis (diritto di sangue).
Con l’avvento del Diritto Internazionale dei Diritti Umani, fa per così dire irruzione sulla scena delle tipologie giuridiche la cittadinanza universale, ovvero l’eguale status di “tutti i membri della famiglia umana”, con corrispettivi ruoli da esercitare dentro e fuori degli Stati di appartenenza “anagrafica”.
Dal punto di vista giuridico-formale e naturalmente storico, le cittadinanze nazionali precedono la cittadinanza universale. Oggi, possiamo e dobbiamo parlare di cittadinanza plurale. Questo comporta la ridefinizione, meglio la ricostruzione del concetto di cittadinanza in quanto tale.
Utile è qui avvalerci della metafora dell’albero. Il tronco raffigura lo status di cittadinanza della persona in quanto titolare di diritti fondamentali internazionalmente riconosciuti. Questi ultimi sono le radici del tronco. I rami significano la cittadinanze “anagrafiche” nazionali: italiana, russa, israeliana, palestinese, cinese. Ci possono essere i rami dei rami: ad esempio, la cittadinanza dell’Unione Europea è un ramo della cittadinanza italiana o di qualsiasi altra cittadinanza nazionale dei 27 paesi membri dell’Unione. L’eventuale cittadinanza veneta o parmigiana o calabrese sarebbe un ramo del ramo “cittadinanza italiana”.
Guardando bene questo “albero”, ci accorgeremo che i rami non sono innestati nel tronco ma gli fluttuano intorno, per altro in uno stato di forte sollecitazione a ricomporre la fisiologia dell’albero stesso; è la dialettica in atto fra cittadinanza universale e cittadinanze nazionali, come dire tra lo ius humanae dignitatis (diritto della dignità umana) da un lato, e lo ius soli e lo ius sanguinis dall’altra.
La sollecitazione che alle legislazioni nazionali – specie in tema di immigrazione – viene dalla cittadinanza universale è a ridefinire la cittadinanza nazionale in termini di inclusione.
Alla luce del “nuovo” Diritto Internazionale, non c’è posto neppure per l’apolidia, o, per meglio dire, l’apolide è cittadino universale allo stato puro.
La cittadinanza universale delle persone sollecita ad aprire spazi per l’esercizio dei corrispettivi diritti, in particolare dei diritti democratici per la legittimazione e il corretto funzionamento delle Istituzioni multilaterali. A livello regionale europeo, uno spazio si è aperto con l’elezione diretta dei membri del Parlamento Europeo. L’azione dei difensori dei diritti umani, come  previsto dalla Dichiarazione “Magna Charta” delle Nazioni Unite del 1998 che li riguarda, esperita a titolo individuale o tramite organizzazioni non governative, è un modo concreto di realizzare i diritti di cittadinanza universale. Così anche per i ricorsi giudiziari alle Corti e ai Tribunali internazionali o per le “comunicazioni individuali” ai vari Comitati Diritti Umani delle Nazioni Unite.
La cittadinanza mondiale o planetaria o cosmopolitica preconizzata da personalità carismatiche quali Giorgio La Pira, padre Ernesto Balducci e papa Wojtyla, è realtà giuridica. Si tratta di rimuovere la pigrizia e il conservatorismo degli adoratori dello stato-nazione-sovrano-armato-confinario con relativa cittadinanza ad alios excludendos (costruite cioè nel segno dell’esclusione dell'”altro”).
Partendo dai diritti umani, non c’è neppure posto per la “reciprocità” nel trattamento dei cittadini da parte degli Stati, all’insegna di: io tratto i tuoi, come tu tratti i miei, se tratti male i miei, io tratto male i tuoi. Questo, infatti, è un parametro mercantile, valido per gli scambi commerciali.
Il Diritto Internazionale dei Diritti Umani obbliga invece lo Stato a dire all’altro Stato: io tratto i tuoi cittadini nel rispetto dei loro diritti fondamentali, a prescindere da come tu tratti i miei».

I nostri due primi articoli, di questa serie di contributi (Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti e Vietato discriminare!) sono disponibili cliccando qui e qui.

Redazione della Tavola della Pace, tel. 075 5736890, redazione@perlapace.it.
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