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La «deroga», tra diritti degli alunni e ragioni economico-finanziarie

Ragazza in carrozzina insieme a insegnante di sostegnoÈ apparsa in questi giorni in «Tuttoscuola», la rivista per insegnanti, genitori e studenti, una nota di grande interesse dal titolo Docenti di sostegno. Quel 70% che non tiene più [rintracciabile cliccando qui, N.d.R.].
Rinviando alla lettura di quel testo, esso dà spunto per riprendere vecchie analisi, oggi attuali e pericolose, sia per i diritti degli alunni con disabilità, sia per le ragioni economico-finanziarie dello Stato.

Circa due anni fa, nel Trattato dei Nuovi Danni, edito da CEDAM, sostenni quanto segue (pp. 286 e ss.): «Schematizzando e sintetizzando, il sistema previgente di assegnazione dell’insegnante specializzato per il sostegno (precedente alle Leggi Finanziarie 2007-2008), poco (o nulla) si fondava su un’analisi dei bisogni individuali e su una personalizzazione dell’assistenza scolastica dell’alunno con disabilità. Spesso, nella pratica, purtroppo, il tutto si riduceva ad un tentativo di distribuzione di ore di sostegno che, qualora nel complesso non sufficienti, venivano colmate con la possibilità di poter ricorrere all’assunzione in deroga agli organici previsti di ulteriori insegnanti di sostegno.
Si ritiene che questo sistema abbia contribuito – se non, persino, determinato – l’aumento esponenziale della spesa. Di converso, l’abrogazione di una normativa ad hoc nei confronti degli alunni riconosciuti gravi, ex art. 3 comma 3 l. 104/92 per cui è prevista dallo Stato “priorità negli interventi e servizi”, risulta certamente incostituzionale.
Si ritiene, però, di dover far chiarezza su un punto. Ancora oggi, nella pratica, si sente far confusione sul concetto di “deroga”. Ed a chi o a cosa si riferisca la suddetta “deroga”. Molti docenti e dirigenti (ed anche i genitori) affermano, infatti, che in deroga “sono le ore assegnate all’alunno con disabilità” (con fantasiose classificazioni del tipo l’assegnazione di 4-6 ore di sostegno agli alunni disabili lievi e 18 ore per i gravi!) oppure che in “deroga è l’alunno” se grave. Si comprende che la prima delle affermazioni sconfessa la soggettività, l’individualità e la personalizzazione delle esigenze visto che, come noto, la disabilità è qualcosa di estremamente eterogeneo, come eterogeneo è il panorama di persone “normodotate”! La seconda delle affermazioni, invece, etichetta, stigmatizza e rende diverso dagli altri l’alunno con disabilità grave; il quale, invece, è in tutto e per tutto uguale agli altri alunni, salvo il fatto che, ai sensi dell’art. 3 comma 3 l. 104/92, può beneficiare di priorità negli interventi e servizi.
Il pericolo nella “pratica” che oggi si corre è, di nuovo, quello di un “aumento esponenziale” di assunzione in deroga di insegnanti di sostegno. Pericolo che, oltre a ledere le ragioni economico-finanziarie dello Stato non garantisce, automaticamente, una migliore qualità dell’istruzione scolastica per l’alunno con disabilità [grassetti redazionali nella citazione]».

Oggi, l’articolo giornalistico pubblicato da «Tuttoscuola», confermando espressamente il paventato pericolo di allora, mi induce a riflettere. Vi si afferma, infatti, che «rispetto alla nuova quantità complessiva di posti di sostegno, la quota fissa vale ora il 64,6%, mentre la quota aggiunta è salita al 35,4%. È una situazione destinata ad aggravarsi, facendo ritornare il tutto indietro a quattro anni fa. Occorrono nuovi criteri per una rinnovata stabilizzazione».
La Corte Costituzionale, nella famosa pronuncia n. 80/10, chiaramente statuì «l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 414, della legge n. 244 del 2007, nella parte in cui esclude la possibilità, già contemplata dalla legge 27 dicembre 1997, n. 449, di assumere insegnanti di sostegno in deroga, in presenza nelle classi di studenti con disabilità grave, una volta esperiti gli strumenti di tutela previsti dalla normativa vigente».
Il timore – a questo punto non del tutto infondato – è che la “prassi quotidiana” non sia stata sufficientemente rispettosa del disposto della Corte Costituzionale e delle norme vigenti, ovvero che la possibilità di assunzione in “deroga” non sia stata solo «una volta esperiti gli strumenti di tutela previsti dalla normativa vigente».
Il principio di legalità, di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa, infatti, imporrebbe un nucleo indefettibile di livello essenziale di istruzione scolastica da garantire agli alunni con disabilità e un utilizzo – del tutto eccezionale e volto alla tutela del diritto soggettivo dell’alunno con gravità (e della “priorità in interventi e servizi” che da essa ne deriva) – della possibilità dell’assunzione di docenti in “deroga”. Laddove invece le percentuali raggiunte si attestano su un 35,4% (con una tendenza a salire) di posti di sostegno “in deroga”, si comprende come la “certezza del sostegno” per l’alunno, “la stabilità del rapporto di lavoro” per il dipendente, e la “stabilizzazione organizzativa ed economico-finanziaria” per l’amministrazione scolastica, siano obiettivi assai difficili da raggiungersi.
Forse, quindi, una profonda verità è che il numero di alunni con disabilità frequentanti le scuole, purtroppo, aumenta considerevolmente ogni anno; ma nel contempo non vi è un sistema normativo e organizzativo che abbia (o stia) tenendo conto di questo elemento.
I princìpi economici di domanda-offerta, con i dovuti temperamenti, se non affatto ascoltati o analizzati, possono condurre, nel tempo, non solo a una lesione di diritti soggettivi (dell’alunno, come del lavoratore) ma anche a un aumento dei costi sociali e dell’inefficienza complessiva del sistema.

Pertanto, come in altre sedi ho manifestato, è forse il momento di rivedere seriamente quelle dinamiche (non sempre foriere di efficacia, efficienza ed economicità), determinate dalle regole dell’amministrazione scolastica e, in particolare, dell’organizzazione degli organici mediante graduatorie, che caratterizzano il “docente specializzato per il sostegno” come “figlio di un dio minore” e l’alunno con disabilità come un alunno con diversi diritti di cittadinanza rispetto agli altri alunni.
Ciò al fine di evitare – come sostenuto dal Consiglio di Stato, Sezione VI, 17 ottobre 2000, n. 245 – che il sostegno possa «tradursi in vuoto simulacro di ottemperanza formale alla normativa», che l’insegnante non possa ritenersi sufficientemente motivato e garantito nell’espletamento (stabile e professionale) delle proprie mansioni, e che l’alunno (e la sua famiglia) non possa effettivamente beneficiare di quel livello essenziale di istruzione previsto da tutte le norme vigenti.

*Avvocato (fmarcellino@videobank.it).

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