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La scuola dev’essere di tutti, anche delle persone sorde

Bambino sordoIl Comitato Nazionale Genitori Familiari Disabili Uditivi rappresenta una sinergia tra famiglie, professionisti, esponenti della comunità scientifica e associazioni; in tal senso, è supportato, sia a livello nazionale che locale, dalla SIO (Società Italiana di Otorinolaringoiatria) e dalla SIAF (Società Italiana di Audiologia e Foniatria).
La battaglia più dura che ognuno nei propri ambiti associativi e lavorativi cerca di portare avanti è quella di combattere il pre-giudizio che circonda i figli delle persone componenti il Comitato e gli amici nati o divenuti sordi profondi bilaterali in età pre-verbale, tutte quelle persone, cioè, che a causa di questo deficit fisico, incontrano difficoltà ad acquisire una competenza linguistica adeguata, vale a dire la capacità di comprendere e produrre frasi mai incontrate prima.
Albert Einstein disse che «è più facile spezzare un atomo che un pregiudizio». Beh, nel 2012 la stragrande maggioranza delle persone ancora pensa che chi nasce sordo sia muto! In realtà, da quando circa cinquant’anni fa sono state inventate le protesi acustiche, anche le persone sorde profonde bilaterali pre-verbali – se seguite con un adeguato protocollo sanitario – possono raggiungere un’adeguata competenza linguistica.
Naturalmente il percorso non è semplice e il successo di esso dipende in larghissima parte dalla fornitura di servizi efficienti sul territorio e dall’esistenza di protocolli diagnostici, protesici e riabilitativi adeguati e verificati dai risultati.
In questo va detto che la Regione Toscana, ad esempio, è abbastanza all’avanguardia, perché già dal 2005 prevede lo screening audiologico neonatale in tutti i punti nascita e fornisce in maniera diretta o in convenzione un servizio logopedico su tutto il territorio regionale.
Quello dunque che vogliamo sia ben chiaro a tutti è che se la sordità non viene affrontata con il percorso sanitario adeguato – cioè screening neonatale, diagnosi, protesizzazione o impianto cocleare e abilitazione alla parola naturale -, il bambino sordo non acquisirà competenza linguistica, non potrà mai essere linguisticamente adeguato alla società e sarà sempre condannato all’impossibilità di esprimersi e di essere compreso, nonché ad essere confinato all’uso di metodiche speciali e forzatamente limitate per la comunicazione.

Tutta questa lunga introduzione è stata necessaria per mettere in chiaro che quando si parla di problemi del bambino sordo a scuola non si può categorizzare, ma è fondamentale far riferimento alla sua situazione linguistica oltreché, naturalmente, alla sua storia personale. La scuola deve prendere atto del cambiamento e del progresso nel settore della sordità e si deve adeguare ai successi, non ai pochi insuccessi, che sono comunque fisiologici in ogni progresso.
Adeguarsi al successo significa in altre parole aumentare gli standard e migliorare la scuola nel suo complesso, anche per tutti gli altri alunni. Significa, nel caso specifico, andare oltre il pregiudizio di cui parlavo prima (sordo = muto) e andare oltre l’etichetta fisica, valutando la competenza linguistica e quindi fornendo il supporto adeguato.
Fortunatamente possiamo dire che per la sordità tutti gli sforzi congiunti hanno fatto sì che oggi il bambino sordo adeguatamente seguito possa essere integrato scolasticamente nell’ambito della metodologia normale ed è quindi assurdo remare indietro, reclamando ancora la specialistica. Per i bambini e i ragazzi sordi non chiediamo e non vogliamo strade parallele, vogliamo integrazione che ovviamente non può essere separazione! E crediamo anche che gli insegnanti dispongano già di tutto quello di cui hanno bisogno, perché l’unica cosa di cui c’è necessità per lavorare con l’alunno sordo è la lingua.

Alla fine degli anni Settanta, in Italia, proprio per evitare l’emarginazione e l’isolamento prima degli Alunni e poi dei Cittadini, siamo arrivati alla chiusura delle scuole speciali, veri e propri ghetti. Ora, però, stiamo silenziosamente facendo un percorso inverso. Stiamo cioè marciando verso una sorta di “tribalismo della differenza”, si vanno affermando “sedicenti comunità” che si autodeterminano sulla base di un deficit fisico e che su questa base pretendono anche un riconoscimento legislativo. A vantaggio di chi? Solo ed esclusivamente di comunità chiuse che si autoalimentano.
Da qualche anno, poi, si sta tornando a parlare di interventi speciali e di classi con più di un alunno sordo…, «perché si capiscono meglio!»…
Qualcuno sostiene che i sordi sono tanti: ecco l’errore di voler categorizzare tante persone diverse in una sola etichetta! Sordi, sordastri, ipoacusici e il tutto magari senza nemmeno valutare quando si è presentato il problema sordità (in età pre-verbale o dopo). Questa è una discriminante fondamentale!
Le persone che portano gli occhiali sono tantissime, e allora? Nessuno propone classi con più di un ragazzo che porta gli occhiali! E nessuno si sogna di chiamarli non-vedenti!
Attenzione, perciò, che le scuole speciali sono dietro l’angolo e che creare o continuare con forme di educazione separata, significa solo continuare a condannare le persone sorde a essere “altri”. Se adottiamo strategie speciali, si possono ottenere soltanto risultati speciali che finiscono per stigmatizzare e differenziare l’alunno sordo.
Per raggiungere l’obiettivo della piena inclusione, della pari dignità sociale, non bisogna pertanto condannare gli alunni di oggi ad avere un futuro speciale, anche perché continueremo ad affrontare problemi che si autoalimenteranno in maniera esponenziale. Senza contare, naturalmente, che avremmo tutti perso una battaglia di civiltà a favore delle persone sorde e delle loro conquiste di autonomia e indipendenza.

*I contenuti del presente contributo sono stati presentati dal Comitato Nazionale Genitori Familiari Disabili Uditivi (comitatodisabiliuditivi@gmail.com) al Convegno di Firenze del 19 gennaio 2012, presso la sede della Regione Toscana, intitolato Nessuno sia escluso – La scuola è di tutti. Garantire i diritti degli alunni disabili. Esperienze e buone pratiche in Toscana.

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